Il 12 marzo è uscito l’album Teresa, quarta opera da solista di Marcello Giannini, disponibile in digitale e presto anche in versione vinile. L’album, prodotto da NoWords, è anticipato dall’omonimo singolo, in uscita con un video, curato da Loredana Antonelli, che tocca le corde giuste, malinconico senza mai essere triste, suggestivo ed evocativo come le note che accompagna. Teresa segue a distanza di un anno, che potrebbe tranquillamente contenerne dieci, l’uscita dell’album Delirium tremens ed è innanzitutto un omaggio alla nonna Teresa; ma Teresa è anche una sfida, un grido di vitalità nel forzoso silenzio dei palcoscenici, una sfida a tutte le restrizioni e costrizioni che da ormai un anno hanno fatto calare il sipario su tutte le forme di manifestazione artistica e culturale.
Con Giannini c’eravamo lasciati un anno fa all’Auditorium Novecento, accalcati e festaioli, come in un’altra vita, a festeggiare un compleanno e un album che regalava grandi promesse, non ultima la promessa di rincontrarci presto ad ascoltarne le note con la stessa voglia di festa e buona musica. Ci ritroviamo dopo un altro compleanno con molta meno voglia di festa, o forse di più secondo gli umorali punti di vista, ma senza dubbio con una sete inappagata di creatività e speranza. E Giannini mantiene le sue promesse regalandoci un nuovo album che scorre coraggioso e cristallino come un rivolo tra impervie alture; perché coraggioso e faticoso è scrivere musica in un anno in cui tutto il mondo dell’arte è stato messo a tacere.
Teresa aggiunge un nuovo tassello al percorso artistico di Marcello Giannini, che dopo e oltre le esperienze corali degli Slivovitz, dei Nu Guinea e dei Guru, ha ormai fatto molti passi attraversando poliedriche sperimentazioni e arricchendosi di preziosi spunti creativi. Con Teresa il sound di Giannini si allontana un po’ dalle sonorità jazzrock ed elettroniche per convergere verso strutture musicali più semplici ed essenziali, molto più vicine allo schema canzone ma sempre fedeli a quella cura e raffinatezza che è la cifra stilistica di Giannini. Tutti i brani hanno come genesi comune una traccia di batteria che si arricchisce attraverso la sovrapposizione di strati di melodie, ispirati alle sonorità rock e blues e sovrapposti senza mai alterare l’essenzialità della composizione. Non mancano le sperimentazioni e le contaminazioni di frammenti elettronici, così come è evidente in ogni traccia il tentativo di restituire la sensazione e il gusto di una composizione corale. Ed ecco che in ogni traccia trovano spazio ancora una volta strumenti e strumentisti diversi, dalle batterie di Marco Castaldo, Andrea De Fazio e Stefano Costanzo, alle percussioni di Michele Maione, il sax di Pietro Santangelo, l’armonica di Dereck di Perri, il violino di Riccardo Villari e ancora il contrabbasso di Paolo Petrella, nonché una traccia di basso elettrico di Stefano Mujura Simonetta. E allora non ci resta che lasciarci avvolgere dalle note di Giannini, nella speranza di rivederlo e rivederci presto dal vivo tra molto meno di un altro anno, accalcati e pieni di voglia di fare festa come un anno fa.
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