Jacopo Facchi esordisce da solista con Stray Dogs | Intervista

Jacopo Facchi

Dopo alcuni progetti con gruppi come gli Odd Trio e gli Even, Jacopo Facchi trova la sua dimensione musicale individuale nella chitarra acustica. Pubblicato lo scorso 20 settembre Stray Dogs, il suo EP d’esordio da solista, esprime bene la spiccata propensione cantautoriale di Jacopo Facchi.

Influenzato dallo stile di chitarristi acustici come Chet Atkins e Mark Knopfler, il cantautore bresciano classe ‘90 racchiude in cinque tracce i pensieri, le riflessioni e le esperienze maturate dopo un intenso anno e mezzo passato negli Stati Uniti. Un viaggio di lavoro diventato un’opportunità di crescita e definizione non soltanto musicale ma anche umana.

Attraverso le sonorità acustiche e folk di Stray Dogs, Jacopo Facchi rievoca quelle atmosfere sognanti e avventurose, di quell’America dei grandi viaggi e degli spazi sconfinati. La bussola di questo breve ma intenso viaggio è stata soltanto una, la sua chitarra acustica: la condizione senza la quale non sarebbe partito.

Intervista a Jacopo Facchi

Incuriositi dagli immaginari evocati da Jacopo Facchi, abbiamo deciso di intervistarlo. Siamo riusciti a contattarlo telefonicamente mentre era a Berlino, questa volta non per un viaggio di lavoro ma per una vacanza e senza la chitarra (dannate policy di Ryanair!). 

Stray Dogs nasce dopo un anno e mezzo passato negli Stati Uniti, cosa puoi raccontarci a riguardo?

Sì, praticamente io sono andato negli Stati Uniti per lavoro. La domanda è stata: «Ti va di andare un anno e mezzo negli Stati Uniti?», ho detto subito di sì, l’unica condizione era di portare la chitarra con me. Fa un po’ ridere però è davvero l’unica cosa che ho chiesto. Dunque, sono partito con questa chitarra acustica e, una volta là, soprattutto all’inizio, ci sono stati molti momenti da solo. Quindi ho avuto l’occasione di suonicchiare nei pub e in quei momenti suonavo tanto.

È stata una bella spinta, suonavo con la chitarra acustica e di conseguenza sono nati questi pezzi molto incentrati su chitarra e voce. Da lì la decisione di unire alcuni brani in un EP. Dal punto di vista concettuale, le canzoni non sono molto legate una all’altra: alcune parlano di viaggi, altre di pensieri… Però rappresentano un po’ quella che è stata la successione di pensieri durante questo annetto.

Una volta registrato il disco ho aggiunto altri strumenti però l’idea di presentarlo in giro in acustico è per riproporre i brani così come sono stati scritti. Infatti, sto cercando di suonare in locali piccoli, non troppo luminosi, sempre abbastanza intimi.

Qual è il tuo lavoro?

Sono un solution architect, un lavoro che non c’entra nulla con la musica. Lavoro con software e automazione, macchinari praticamente. Il mio ruolo è creare progetti.

Il lavoro negli Stati Uniti riguardava appunto questo quindi.
Quel lavoro riguardava la stessa azienda che ha anche una sede in America. Ai tempi lavoravo al supporto tecnico e mi era stato chiesto di mettere in piedi il reparto del supporto tecnico nella sede americana e quindi sono andato lì per quello. Poi dopo un anno e mezzo il reparto si era formato e quindi sono tornato.

Dove hai abitato?

L’azienda era in New Jersey ma io abitavo a Philadelphia che è in Pennsylvania, a 20-25 minuti di macchina. Avevo chiesto di andare a Philadelphia perché è una città molto interessante dal punto di vista musicale.

Che realtà musicale hai trovato a Philadelphia? Hai avuto la possibilità di confrontarti con altri musicisti?

Sì, ho avuto la possibilità di incontrare molti artisti e molti cantautori folk. Ma comunque Philadelphia è piena di molte band e cantautori di tutti i generi molto in gamba. Ci sono molti locali e addirittura lo stesso locale fa suonare prima un gruppo di musica elettronica, poi uno rock, poi un cantautore folk, poi ancora un gruppo progressive rock. C’è veramente di tutto e la qualità è molto alta. Mi sono stupito di trovare grandi band per niente famose ma di livello altissimo.

Poi è pieno zeppo di open-mic, pub dove si suona a caso: tu prendi la chitarra sali e suoni.
Io vengo da Brescia e lì ci saranno tipo due locali che fanno questi tipo di formula, mentre lì è pieno zeppo.

Hanno molto seguito questi locali?

Sì, sì, hanno addirittura delle app che ti mostrano sulla mappa della città gli open-mic. C’è tantissima gente che ci va e diventano quindi dei punti nevralgici per incontrare i musicisti. È lì che ho avuto modo di confrontarmi con altri cantautori.

In che modo questa esperienza ti ha arricchito?

Io sono sempre stato abbastanza solitario però un viaggio del genere non l’avevo mai fatto. Sono stato spinto sicuramente dal fatto che fosse un viaggio lavorativo, quindi non dovevo preoccuparmi di vitto e alloggio. Nonostante tutto è stato un bel periodo per pensare, riflettere, fare viaggi da solo, girare un po’ l’America.

Di conseguenza, mi ha fatto riflettere moltissimo su scenari che prima davo per scontati. Dalla società al come noi persone viviamo e ci interfacciamo tra di noi. Tutte queste cose che di solito sono i classici pensieri da doccia ma nel mio caso si sono protratti per un anno e mezzo, quindi ho avuto modo di “scervellarmi”.

Musicalmente invece, mi ha avvicinato ancora di più alla chitarra acustica. Io ho iniziato da piccolo a suonare chitarra classica e flamenco. Poi alle superiori sono passato all’elettrica e il rock e solo negli ultimi anni mi sono avvicinato alla chitarra acustica. E quest’esperienza, in cui avevo la chitarra acustica con me, mi ha fatto apprezzare ancora di più questo strumento che ti porti con te e riesce ad accompagnare benissimo le canzoni.

Per dire, non molto tempo fa, ho scoperto Chet Atkins che è un chitarrista che non aveva un bassista e quindi suonava la linea di basso con la chitarra. Le sue canzoni avevano la linea melodica e la linea di basso nello stesso strumento. Mi ha ispirato un po’ quell’idea lì, che è stata evidenziata dall’esperienza americana. Anche a livello compositivo c’è la chitarra che la fa molto da padrona e quindi cerca di essere più completa possibile.

Oltre a Chet Atkins, ti ispiri anche al Mark Knopfler. La sua è stata un’influenza precedente o successiva all’esperienza americana?

Lui precedente. Nella mia vita musicale lui mi ha accompagnato di più. Quando ero più piccolo mi piacevano molto i Dire Straits e lui mi è stato d’esempio. Quando passai dalla chitarra classica a quella elettrica, io la suonavo con le dita e quando ho visto che c’era qualcun altro che lo faceva mi ha rassicurato ed ho imparato molto ascoltando e riproducendo quello che faceva lui.

Poi seguendo il suo percorso professionale, ho visto che ha preso in mano l’acustica e ha fatto un bellissimo disco con Chet Atkins. Inoltre, i suoi ultimi dischi, da “Privateering” in poi, sono molto orientati al folk.
Da lì effettivamente mi sono detto di investire di più nella chitarra acustica.

Desideri che la musica diventi il tuo mestiere oppure vuoi continuare a portarla avanti parallelamente a quella che è adesso la tua vita lavorativa?

È una bella domanda, è un po’ un bivio. Da un lato il sogno è quello di vivere di musica, proprio scrivere canzoni e suonarle in giro, il sogno che si ha fin da piccoli insomma.

Però c’è un po’ un timore, il timore che se si dovesse realizzare- la vedo comunque molto difficile- perderebbe un po’ quel significato che ha adesso. Adesso la musica la vivo come ancora di salvezza in qualunque situazione: qualunque cosa succeda, ho la musica e la musica mi tira sempre fuori dai problemi.

Non vorrei che, diventando un lavoro, perdesse un pochino questa magia. Comunque dubito che succederà quindi non dovrebbe essere un problema (ride, nda).

Stray Dogs è quindi una composizione estemporanea volta a mettere il punto all’esperienza americana, oppure il primo passo per pubblicare in futuro un disco completo?

Prima di questo disco ne avevo fatto un altro, in una band trio con una batterista e un bassista, eravamo gli Even e il disco si chiamava “Doppelganger” ed era stato un disco completo. Però aveva il difetto di essere un po’ un compromesso.

C’era la mia natura di cantautore un po’ solitario e i pezzi erano nati prima da me e poi riarrangiati con la band, quindi ogni tanto si sentono delle scelte di compromesso dal punto di vista dell’arrangiamento musicale.

Questo secondo disco è stato sì spinto dall’esperienza americana, ma io continuo a scrivere. Pur senza aspettarmi dei ritorni economici sento la necessità di fare dischi, quindi sento che sarà un percorso che continuerà.

Molti miei amici mi dicono appunto “spendi tutti questi soldi per fare dischi e poi non ti preoccupi nemmeno di venderli”. Io di solito la metto giù come un pittore che ha un’idea per fare un quadro e il quadro lo fa lo stesso, perché ha bisogno di metterla su carta l’idea. Io faccio così, raggruppo un po’ di canzoni e poi sento la necessità di inciderle su un supporto che rimanga.

La frequenza non sarà come quella di chi lo fa per lavoro ma ci saranno sicuramente delle uscite future.

Adesso sei a Berlino sempre per lavoro?

No, adesso in realtà è una vacanza.

Anche Berlino ti sta in qualche modo ispirando musicalmente?

Avendo volato con RyanAir non ho potuto portarmi la chitarra e ne sento moltissimo la mancanza, quindi lo scoprirò la prossima settimana quando torno. Se salta fuori una canzone su quest’esperienza a Berlino significa che mi avrà ispirato abbastanza. E credo che succederà perché la sto valutando anche come città in cui un giorno potrei vivere.

Poi devo dire che per sfortuna non ho trovato troppi live musicali però ho visto che c’è una bella scena. Ho visto un solo concerto di una ragazza che cantava voce e loop station, molto molto brava.

Ringraziamo Jacopo Facchi per la gentilezza e la disponibilità

Fonte immagine: Macramè Trame Comunicative

Link per ascoltare Stray Dogs di Jacopo Facchi: https://www.youtube.com/watch?v=-vWmDXtyGiM&list=OLAK5uy_mcCbLmOidKPNyyRPa7HJGEkpkLo-fMqj4

A proposito di Angelo Baldini

Sono nato a Napoli nel 1996. Credo in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione, nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

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