A Tavola con l’Arte: Napoli tra cultura e turismo gastronomico

A Tavola con l'Arte: Napoli tra cultura e turismo gastronomico

La città di Napoli è al centro dell’attenzione turistica di massa degli ultimi anni e, se buona parte di questa fortuna la deve al turismo gastronomico, quello che spesso non ricerca grandissima qualità e che, proprio per questo motivo, ha donato alla città l’etichetta negativa di friggitoria all’aria aperta, è pur vero che questa terra conserva ancora nelle sue colture dei prodotti unici nella loro genuinità e nel loro valore. È con queste parole che Paola Ricciardi, Soprintendente ABAP dell’area metropolitana di Napoli, apre il convegno organizzato in occasione di Napoli 2500, iniziativa nata da uno spunto del Comune per celebrare la storia millenaria della città e tenutasi il 17 novembre nella suggestiva cornice del Palazzo Reale di Napoli. Ricciardi sottolinea come «Le colture cambiano il modo in cui il paesaggio esiste», ricordando che tutelare la terra significa preservare l’identità stessa dei territori.
A seguire, Brunella Como richiama l’attenzione sulla celebre Allegoria del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, mostrando come il paesaggio risenta degli effetti di una gestione volta alla sua tutela e di una che, invece, è vittima della tirannide, come quella raffigurata nel Cattivo Governo, invasa dagli eserciti e data alle fiamme. Ed è proprio da questa relazione profonda tra uomo e terra che emerge il filo rosso dell’incontro: raccontare il cibo non solo come consumo, ma come cultura e filo rosso di una storia identitaria.

Le eccellenze agricole: storie di famiglie e resistenza

L’intervento di Mimmo De Gregorio, esperto di arte culinaria, apre il viaggio nei sapori identitari del territorio. La sua testimonianza parte dalla mela limoncella, una varietà tipica di Sant’Agata sui Due Golfi, frazione del comune di Massa Lubrense, che cresce in questo lembo di terra presentandosi dal colore giallo paglierino e dal profumo leggermente acre. La storia raccontata da De Gregorio, quasi fiabesca, nasce nel 1892 grazie a un architetto arrivato nell’eremo di Sant’Agata che, rendendosi conto della fragilità economica dei contadini nel portare avanti la tradizione di questa mela, decise di sostenerli per salvaguardarne la coltivazione. Una sinergia tra imprenditoria e comunità rurale che oggi trova continuità anche grazie a realtà gastronomiche di eccellenza come Pepe in Grani, con cui De Gregorio collabora felicemente.

Di nicchia è anche la produzione raccontata da Francesco Scala, assessore all’agricoltura di Gragnano e discendente di una famiglia di coltivatori, le redini della cui azienda, che conta 8 ettari, sono nelle loro mani da ormai quattro generazioni. La Ciliegia Somma dei Monti Lattari è, infatti, una variante unica, delicatissima e poco adatta al trasporto, raccolta esclusivamente a mano e, come spiega Scala, necessita di una cura meticolosa anche il modo in cui la scala viene posizionata sull’albero, per raccogliere quei prodotti unici, dal colore chiaro e dalla punta bianca. Grazie a questo lavoro meticoloso, l’attività familiare ha ottenuto recentemente il riconoscimento di Presidio Slow Food e si apre sempre più al pubblico attraverso visite guidate che mostrano il vero lavoro dietro ogni prodotto: «La gente compra al supermercato ma non si rende conto del valore che c’è dietro», sottolinea Scala. Tra le iniziative di valorizzazione, l’evento annuale “Ciliegia in Arte”, che si svolge presso l’Antico Borgo di Castello, a Gragnano, un piccolo gioiellino medievale affacciato sulla Valle dei Mulini.
Bruno Maresca, infine, ripercorre la storia della sua azienda centenaria, fondata nel 1912 e specializzata nel Limone di Sorrento, un frutto simbolo della penisola sorrentina ma diventato dominante soltanto dopo la grande gelata del 1955, che compromise la produzione di arance, e dopo il declino delle coltivazioni di gelso, un tempo entrambe floride nell’economia post-unitaria.

Tradizione e futuro: un turismo che racconta il territorio

L’intervento conclusivo, prima di lasciare la parola ai funzionari del Palazzo Reale, è affidato ad Alessandro Manna, presidente dell’Associazione Siti Reali, che ripropone una mappa storica del 1856, la Carta dei prodotti alimentari delle province continentali del Regno delle Due Sicilie di Benedetto Marzolla. Quella mappa diventa oggi il simbolo di un racconto contemporaneo: i luoghi del gusto borbonico come tappe di un itinerario esperienziale integrato. Nasce così il Grand Tour del Gusto, un nuovo modo di esplorare il turismo gastronomico in Campania che attraversa Napoli, Caserta, Salerno, l’Irpinia e il Sannio unendo visite guidate e degustazioni. Tra le tappe più rappresentative ci sono La Vigna del Ventaglio, a San Leucio; Le reali delizie di Capodimonte, dove nacque uno dei primi forni per pizza; La Festa della mozzarella di bufala, a Carditello, e Il Festival della dieta mediterranea a Portici e all’Orto Botanico di Napoli.

Il percorso museale: l’arte racconta la tavola

Il convegno si chiude con una visita tematica nell’Appartamento di Etichetta e al Giardino Pensile del Palazzo Reale di Napoli, con al centro dell’itinerario alcune opere che celebrano la convivialità e i frutti della terra, come la Natura morta con piatto di maccheroni di Giacomo Nani, dipinto in cui troneggia una pentola piena di maccheroni, gli attuali ziti, preparati come si usava nel Settecento, prima che il pomodoro giungesse a diventare simbolo della nostra identità culturale. È questa, dopo più di 2000 anni, la sfida del turismo gastronomico a Napoli: valorizzare il proprio patrimonio culinario, senza svendersi alla mercificazione ma preservando quell’identità e quella qualità che hanno reso la Campania una terra fertile.

Immagine: Ufficio Stampa Palazzo Reale
Foto: archivio personale

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