Abbiamo intervistato l’artista Tommaso Ottieri in occasione dell’inaugurazione della sua personale “Mise en abyme” presso Gallerie Riunite.
Inaugurata il 24 settembre presso la nota galleria partenopea nel cuore del quartiere Chiaia, l’esposizione presenta un ciclo di opere inedite, che si inserisce nel solco di una profonda riflessione visiva e concettuale sul tema dell’“abisso” narrativo ed estetico.
‘Mise en abyme’: un’idea che si ripete all’infinito
Il titolo della mostra prende spunto dall’espediente narrativo noto come mise en abyme, una figura retorica spesso utilizzata in letteratura e arte. Coniata da André Gide, l’espressione si riferisce all’inserimento, all’interno di una narrazione o di un’opera, di un elemento speculare o riecheggiante che ne condensa il significato ultimo.

Nel linguaggio visivo di Tommaso Ottieri, questo si traduce in immagini dove un dettaglio, a volte quasi invisibile, si fa portatore della totalità dell’opera: una chiave di lettura nascosta – come ci spiega l’artista stesso durante la nostra intervista – un riflesso, un varco nel quadro che invita lo spettatore a “scivolare” in un abisso di senso e visione.
L’intervista a Tommaso Ottieri
Innanzitutto complimenti Tommaso, come si fa a non emozionarsi dinanzi a questi meravigliosi dipinti, a questa luce di cui sei un vero maestro! Ci potresti raccontare com’è nato il tuo interesse per questo elemento cardine della tua arte?
Effettivamente la luce è il vero soggetto dei miei dipinti. Per me la luce è la luce barocca che nel Seicento, sia in pittura che in architettura, era la luce della salvezza. Si credeva che la deformità delle strutture venisse interrotta quando illuminata da improvvisi e drammatici squarci di luce, proprio così come la concepiva Caravaggio o, nel Settecento, il nostro meraviglioso Luca Giordano. La luce era interpretata come una sorta di apparizione nella penombra, un simbolo di salvezza in un momento buio.
Nei nuovi dipinti usi l’affascinante espediente della “mise en abyme”. In quali abissi profondi vuoi trasportare gli spettatori delle tue opere?
Io vorrei che si percepisse l’idea, fondamentalmente vera, che nella vita di ognuno di noi ci sono dei momenti di “mise en abyme”. Non sono tanti in realtà, talvolta sono brevi istanti o anche alcune giornate che possono riassumere e contenere la stessa poetica e la stessa narrazione dell’intera vita di un individuo. Penso a momenti come la nascita, l’innamoramento, il primo bacio, gli anni della formazione, i successi come i fallimenti. Il soffermarci a ripercorrere quei momenti ci consente di guardare meglio dentro di noi e dentro le nostre vite.
In altri dipinti, sempre della nuova serie, si percepisce invece un senso di vuoto. È un vuoto esistenziale?
Io ho sempre dipinto delle città vuote, per un motivo pratico, dettato dal mio piacere di rappresentare città monumentali e magnifiche; la scelta di non dipingere figure umane mi permetteva di non mettere necessariamente in scala gli edifici. In questo nuovo ciclo si tratta di due vuoti per la precisione: un interno vuoto in cui c’è una finestra che affaccia su una città completamente vuota. In questo caso la stanza vuota non è una carenza, ma al contrario è un segno di ospitalità nei riguardi dello spettatore. Il messaggio è che ci sono due vuoti ma di natura diversa, un vuoto dentro di noi e un vuoto fuori di noi, che non vanno assolutamente confusi.
Parte della mostra si apre anche a suggestioni surrealiste, dove elementi apparentemente estranei al contesto scardinano la percezione realistica. Ce ne vuoi parlare?
In questo caso l’intento è quello di rivelare la bellezza attraverso il posizionamento di oggetti fuori dal loro solito contesto. Delle giostre nei luna park, ad esempio, nessuno fa caso a quanto siano belle, luminose, sofisticate. Ma se uno le vedesse illuminate all’interno di una foresta nebbiosa o tra le onde impetuose di una tempesta notturna, come si vede nel mio dipinto, la loro percezione cambierebbe completamente e in un attimo si trasformerebbero nell’oggetto più bello del mondo.
Una mostra da non perdere
Mise en abyme è un viaggio nella pittura, ma anche nella percezione e nel racconto. Attraverso dettagli sapientemente scelti, ogni opera offre una porta d’ingresso a un racconto potenziale, da interpretare in modo personale e soggettivo. Un’arte che non impone, ma che invita a fermarsi, a guardare più a fondo e a lasciarsi trasportare, dove ogni spettatore è libero di perdersi – o ritrovarsi – nell’abisso dell’immagine, nei molteplici strati di significato che ogni opera porta con sé.
La mostra di Tommaso Ottieri sarà visitabile fino al 22 novembre presso Gallerie Riunite.
Chi è Tommaso Ottieri
Tommaso Ottieri nasce a Napoli nel 1971. Dopo gli studi in architettura presso l’Università Federico II e la Robert Gordon School of Architecture di Aberdeen, si laurea con una tesi in bioarchitettura sul restauro del Porto di Napoli. Dopo un periodo di lavoro in Grecia, torna in Italia per collaborare con importanti aziende e avviare il proprio studio personale.
Parallelamente inizia a esporre i primi dipinti, coniugando l’influenza dell’architettura con una ricerca pittorica fortemente evocativa, che ha ricevuto l’attenzione di importanti testate di settore come Artribune. Dal 2003 Ottieri espone regolarmente in Italia e all’estero, partecipando a fiere e mostre in Europa, Stati Uniti, Russia e Cina.
Le sue opere ritraggono edifici e paesaggi urbani sospesi tra monumentalità storica e visione moderna, spesso avvolti in atmosfere notturne e colori intensi — rosso, blu e oro. Il suo linguaggio pittorico mira a una resa emozionale, quasi teatrale, che lascia spazio a riflessioni sulla bellezza, sul tempo e sulla condizione umana.
Fonte immagini: In evidenza (ufficio stampa); altre foto (archivio personale)