Trattoria Iam Ià: la cucina partenopea a Pozzuoli

Sul Lungomare Pertini, in una posizione privilegiata e dove è facile parcheggiare (cosa non banale a Pozzuoli), precisamente a Corso Umberto I 69, apre Iam Ià – Trattoria Napoletana. Un locale che propone ricette della vera cucina partenopea e affonda le sue radici direttamente nell’Ottocento, con lo scopo di riportare alla luce la tradizione e quindi l’autenticità e la complessità dei sapori antichi.

Il bar del ristorante

Elemento distintivo Dettagli esperienza
Nome e località Iam Ià – Trattoria Napoletana, Pozzuoli (Corso Umberto I)
Focus gastronomico Cucina partenopea dell’Ottocento e tradizione monzù
Chef executive Mauro Buonanno (formazione ALMA e internazionale)
Piatto forte Sartù di riso in bianco e ziti alla genovese spezzati a mano
Atmosfera Popolare ma moderna, ispirata al cinema napoletano

L’atmosfera, il design e la proposta mixology

L’atmosfera del luogo è accogliente, vivace, dall’anima popolare, tipica di una trattoria che rimane saldamente ancorata alle sue origini. Il ristorante si trova a pochi passi dal mare e dispone di un comodo parcheggio. Al suo interno il locale, dotato di colori molto accesi ed avvolgenti, combina sia modernità che tradizione. Sulle pareti, infatti, vi sono raffigurati personaggi simbolo della napoletanità autentica: Iam Ià, Napulè, Ricomincio da tre e Malafemmina.

I tavoli nella sala centrale

A questi personaggi iconici si ispira un bartender d’eccellenza, Giovanni Pellino, il quale propone una selezione di drink raffinati e di altissima qualità. Se si vuole, ci si può recare anche solo per un aperitivo che offre un ottimo tagliere misto, provola di Agerola e mozzarella. Con l’avvicinarsi del Natale, inoltre, è consigliato ordinare il cocktail a base di gin, cannella, mela e zenzero.

Il bartender ed il suo drink alla mela (ufficio stampa)

La filosofia della cucina e lo chef Mauro Buonanno

Il progetto dello chef è quello di recuperare i piatti della cucina napoletana che alle spalle hanno una lunga storia legata a quella del Settecento e Ottocento, in particolare quella del periodo borbonico e dei monzù, in cui avviene una fusione tra la gastronomia partenopea e quella francese caratterizzata da salse e cotture lente. A proporre tutto ciò è lo chef Mauro Buonanno, classe 1986, puteolano di nascita (nato tra l’altro proprio nei pressi della trattoria), il quale sviluppa una forte passione per la cucina dopo una laurea in Scienze del Turismo e la formazione all’ALMA di Gualtiero Marchesi. La sua formazione lavorativa avviene soprattutto in Francia, tra Parigi e Lione ma anche a Barcellona, e in Germania. Nel 2019, inoltre, ottiene un riconoscimento Michelin a Siena. Adesso, dopo tutte queste esperienze all’estero, riapproda nella sua terra natale e con il prezioso supporto dello chef Nicola De Filippo, propone ricette ispirate ai grandi testi della cucina napoletana tra i quali quelli del Cavalcanti e dei monzù borbonici.

Lo chef Buonanno ed il suo sartù di riso

L’interesse per l’arte culinaria, racconta Buonanno con entusiasmo, nasce dal mangiare bene ed è il primo della sua famiglia ad intraprendere la carriera di cuoco. Le ricette storiche dello street food napoletano rappresentano a pieno l’identità del ristorante. Così viene ricreato l’immaginario del mangiare con le mani, una passeggiata a Via Toledo, insomma: il panzerotto o la montanarina. Tra la varia selezione di ricette, la più interessante da ricreare al di là della genovese, il ragù, la braciola, la polpetta e la minestra di fagioli è il sartù di riso in bianco (tiene a specificare che infatti in origine era così e che poi col tempo è diventato rosso) sia per storicità che per difficoltà.

La sala del buffet

Ma a chi si rivolge il ristorante? Qual è il target di preciso? La fascia di riferimento è un po’ generica, forse non per tutti, ma per parecchi. I prezzi sono tranquillamente accessibili a tutti, quindi anche per i ragazzi. Infine, lo chef si augura che i commensali escano sempre dal ristorante sazi, ma non appesantiti (la cucina napoletana spesso la immaginiamo ricca, opulenta ma se fatta bene può risultare equilibrata e giusta) sorridenti, felici e che ritornino presto.

La magica pastiera dello chef

La degustazione: un percorso tra i sapori storici

La serata stampa, a cui siamo stati invitati da Veronica Caprio e Maria Carla Palermo, procede con una ricca degustazione che inizia con un abbondante buffet di antipasti che prevede le uova in purgatorio (tipico della tradizione popolare) ed un’eccezionale frittata di Scammaro (piatto di magro nato per la Quaresima) a base di spaghetti, olive, capperi, pinoli, acciughe ed uvetta.

La frittata di Scammaro

A tavola poi vengono serviti i primi: il segreto del Monzù, ovvero il sartù di riso, amatissimo dallo chef (e anche dai commensali), ricetta storica di Ippolito Cavalcanti e subito dopo il segreto delle sorelle ovvero dei fantastici ziti alla genovese spezzati a mano (con 9 ore di cottura del sugo).

I buonissimi ziti alla Genovese

Per ultimi ma non per importanza: i dolci. Una profumata e soffice pastiera seguita dopo da una Tarte Tatin di mela annurca.

La Tarte Tatin

L’eccellenza delle materie prime e i prodotti locali

Per quanto riguarda le bevande, oltre agli ottimi drink, sia alcolici che analcolici, ci sono vini selezionati, tra cui Tareni della Cantina Pellegrino.

I prodotti utilizzati, inoltre, sono selezionati DOP e locali per garantire il massimo della qualità. Tra questi troviamo:

  • Pasta di Gragnano IGP;
  • Pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino (Casa Marrazzo, Casa Manfuso);
  • Cipolle di Montoro per la genovese autentica;
  • Salumi: culatello di Zibello, carpaccio di suino nero lucano, mortadella IGP Bologna “Mini Favola”;
  • Formaggi: erborinato di pecora, semi-stagionato di capra e vaccino a pasta dura;
  • Confetture e mieli biologici, tra cui il miele dell’Azienda Agricola Il Laghetto.

La Trattoria Iam Ià è, in conclusione, un indirizzo da segnare in agenda, un ristorante da provare assolutamente, soprattutto per chi ama la cucina napoletana e desidera riscoprire quei sapori che l’omologazione culturale tenta spesso di portarci via. Un’occasione preziosa per ritrovare nel piatto la storia e l’identità più profonda del territorio.

Fonte immagine: archivio personale

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