Intervista a Nicola Dragotto, musicista che respira Napoli (e non solo)

nicola dragotto

Intervista a Nicola Dragotto, musicista che respira Napoli (e non solo)

Ci sono musicisti che sai che non scompariranno dopo una canzone, dopo un album.
Perché l’urgenza che li muove è pura e cristallina come l’acqua, come la pioggia d’estate: e proprio torrenziali sono le interviste che questi artisti rilasciano.
Aggiungere qualcosa alle parole di Nicola Dragotto, così autentiche e pulsanti di vita, significherebbe snaturarle.
Lasciamo quindi la parola a lui, un figlio di Napoli che respira la città (e non solo).

La nostra intervista al poliedrico Nicola Dragotto

1) Ciao Nicola! Innanzitutto grazie di aver accettato di rilasciare questa intervista. Iniziamo con la domanda più banale (o forse la più interessante). Chi è Nicola Dragotto e come si presenterebbe a chi non lo conosce?

1)Innanzi tutto ringrazio Eroica Fenice per essersi ancora una volta interessata a me.
Come mi presenterei? Nicola Dragotto è un artista imprestato all’avvocatura e comunque un
privilegiato, presente ma non invadente, geloso della sua casetta in pietra viva sul fiume, mai a corto di
pensieri in un mondo di… masterchef.

2) Come è stato il tuo esordio nel mondo della musica? Cosa ti ha spinto a lanciarti in quest’avventura? Hai qualche aneddoto da raccontarci?
2)Nonostante non sia “commercialmente famoso”, di aneddoti ce ne sarebbero davvero tanti
da potere scrivere un libro. Il mio esordio nella musica è iniziato presto. A 10 anni, dopo avere passato anni prima una selezione per lo Zecchino d’oro, mio padre per la promozione in seconda media, mi pose davanti ad una scelta, da un lato bella e dall’altro dolorosa: la bicicletta o la chitarra. Inutile dire quale fu la vittima sacrificale. Purtroppo di lì a poco mio padre morì e la chitarra, quella che il prossimo agosto compirà 53 anni, la misi da parte per sette lunghi anni. Ma lei seppe aspettarmi. Avevo 18 anni e devo riconoscere, a detta di tutti, in possesso di una voce molto bella, ma non era sufficiente. Era sempre il chitarrista ad essere attorniato dalle ragazze. Fu così che proprio quando esordì Edoardo Bennato, feci anche io il mio esordio. La passione, ragazze a parte, era fortissima tanto da farmi cominciare a scrivere i primi testi e farmi cantare e suonare nelle feste dell’Unità, armato anche io di armonica e chitarra e durante i viaggi all’estero con gli amici per le strade e le piazze delle capitali europee che visitavamo. Devo dire che si guadagnava quel tanto da pagarsi il viaggio. Niente male. Ricordo una volta a Parigi, suonammo per un paio d’ore ed un Giapponese aveva posato nel fodero un pezzo da dieci franchi. La sorpresa grande fu quando stavamo per posare le chitarre ed andare via e lui, rimasto a guardarci, ci chiese di suonare nuovamente Yesterday, poggiando con delicatezza un altro pezzo da dieci franchi. Credimi, fu un’emozione che mi porto ancora dentro. Chissà cosa gli doveva ricordare.
Poi la vita mi ha portato a scelte più borghesi e soprattutto ad un matrimonio troppo giovane. Poi la Laurea, l’esame di avvocato, uno studio da avviare fecero si che vedessi la chitarra come un passatempo da condividere con gli amici. Dieci anni di vita così fino a quando l’estate in cui mi separai da mia moglie, su una spiaggia pugliese, i ragazzi dell’animazione, ascoltandomi, mi invitarono a suonare sulla spiaggia. E qui avviene qualcosa di incredibile. Finisco di suonare ed un tizio di Milano si avvicina e mi chiede se avessi mai suonato in Calabria in un campeggio dieci anni prima. Li per lì restai un attimo perplesso, poi mi venne in mente una serata incredibile a Soverato, in cui, seduti al bar del campeggio, partimmo alle nove a suonare in due e finimmo alle due di notte accompagnati da altri musicisti davanti ad una folla di persone che man mano aumentava e non diminuiva, mentre il tavolino si riempiva di bottiglie di birra e bicchierini di liquore.

Ecco, fu allora che il tizio mi guardò dicendomi di essersi ricordato del mio modo di cantare alcuni brani e mi ringraziò perché per lui quella fu una delle serate, a suo dire, più belle della sua vita. Fu allora che ebbi un attimo di rimpianto sulle mie scelte mentre gli occhi si rigavano di timide lacrime.
Quanto sale ho ingoiato per amore della musica, per questo sogno troppe volta da me tradito per la paura di non credere nelle mie capacità. Un appuntamento sempre ritardato con la scusa di turno. Ma come dice Fossati, c’è un tempo per tutto e forse il mio percorso, complice soprattutto la mia personalità eclettica che non cede a compromessi, doveva essere questo. Arrivare a guardarmi nello specchio della mia anima in quell’estate del 2002, sì, a 46 anni, e capire che se la vuoi trovare c’è sempre un’alba dentro al tramonto ad aspettarti.
Potrei raccontarti di due produttori musicali di importanza internazionale che una sera di tre anni fa a casa di un amico ex dirigente RAI, ascoltando una registrazione di alcuni miei inediti voce e chitarra, si
espressero con accostamenti da brividi a storici cantautori fino a quando uno dei due disse chiaramente: “È davvero bravo, ma con questo i soldi li puoi fare solo dopo la sua morte con una studiata operazione
commerciale” . Ricordo che quando l’amico me lo scrisse via Whatsapp, la prima reazione fu il classico
rituale apotropaico della serie non ci credo ma a scanso di equivoci…

3) Chi sono i tuoi pilastri? I cosiddetti padri da amare e uccidere?

3)La luce che ha irradiato la mia alba sicuramente è stato Giorgio Gaber. Io amo molto anche recitare, in
particolar modo monologare. Giorgio Gaber oltre ad essere un patrimonio della cultura italiana l’ho sempre apprezzato per la sua signorilità sul palco. Puoi dire anche le cose più sconvolgenti, irriverenti, offensive, ma se le sai dire…semper licet. Inoltre l’autoironia è un’arma fondamentale e sin da ragazzo ne sono sempre stato dotato. Ecco, io, penso di appartenere a quella tipologia di artista.
Naturalmente, l’esperienza felicissima con il Be Quiet, il confronto con cantautori giovani, l’incontro con
Giovanni Block hanno rappresentato un momento di maturazione artistica in quanto oltre al teatro canzone mi sono potuto dedicare al cantautorato affinando molto la tecnica di scrittura che mi ha portato a festeggiare i miei sessant’anni con la produzione della POLO SUD RECORD del mio CD “L’ultima causa”.
Padri da ammazzare sinceramente non ne ho. Di sedicenti padri da ignorare, sicuramente tanti. Quelli che amo profondamente sono Battiato, filosofo, mistico ed intrepido rivoluzionario della musica cantautoriale italiana, Conte a cui mi lega il doppio filo cantautore – avvocato, De Andrè, Dalla, Fossati, De Gregori ( anche se con qualche riserva per la parte musicale), il Pino Daniele dall’esordio fino a Bella mbriana, Bobo Rondelli, Capossela, Tenco, Endrigo, Jacq Breil, Brassens, Leonard Cohen, il mio omonimo inglese Nick Drake e come amore giovanile il primo Edo Bennato. Sono loro che con i loro testi, mi sorprendono, per la profondità delle parole non sempre necessariamente complesse e delle immagini.

4) Raccontaci della tua esperienza, recente, con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli

4) Sulla mia esperienza di Maggio dei Monumenti, quest’anno dedicato a Giordano Bruno, posso dirti che è stata molto appagante. Ritornare dopo quasi un anno in scena, in una rassegna di grossa caratura, con uno spaccato del mio nuovo spettacolo di teatro canzone “IL ROVESCIO DEL MONDO imperniato sull’attualità del pensiero di Giordano Bruno, senza ricorrere ad alcuna citazione del nolano, con una operazione definita – in un articolo firmato dallo scrittore Vincenzo Giarritiello – “folle e per questo meritevole di attenzione per la felice riuscita” è stato per me esaltante, specialmente poi pensando che la canzone finale dal titolo “UOMO”, l’ho scritta all’età di 24 anni rimanendo “giovane ed attuale” nel contenuto, nel tempo senza tempo.

5) Come è la situazione musicale a Napoli, secondo Nicola Dragotto?

5)La situazione musicale a Napoli, secondo me è come in Italia. A parte la crisi attuale causata dal Covid che ha, ancora una volta, messo impietosamente a nudo la scarsa attenzione istituzionale verso la cultura a parte il siparietto del “divertire”, che tra l’altro mi è costato lezioni di semantica impartitemi sul social a seguito di un mio post ironico e provocatorio, ma si sa, oggi oltre alla faccia, se non ci metti la faccina è sempre più difficile farsi comprendere. A costo di risultare antipatico, non posso esimermi dall’esprimere il mio pensiero in merito. Vedi, è sempre più difficile trovare qualcuno che scriva una canzone che ti entra subito in testa. Troppi galli a cantare, qualità poca. Ma quella poca, che senza fare nomi apprezzo anche perché con alcuni ho avuto il piacere di condividere il palco, è senza dubbio in grado di esprimere qualcosa di buono. Purtroppo come dico in un monologo, oggi ancora più di ieri sono i signori del mercato a decretare la fama (quasi sempre immeritata) e senza fama solo fame ed il diritto inderogabile ad una domanda, sempre la stessa: bravo, ma poi nella vita di cosa ti occupi? Viviamo un’epoca in cui la speranza è poca come le idee. Il quotidiano sempre più precario affoga il pensiero, il re del mondo ha conferito al serraglio antropologico dei social il potere legislativo. Non è tempo per slanci rivoluzionari. Eccome se ce ne vorrebbero, invece. Manca il coraggio da parte degli addetti ai lavori, troppo impegnati a coltivare il proprio orticello in nome di un ipocrita “voler cambiare tutto sempre a patto che tutto resti come prima” per citare Gaber.
Un’idea buona in verità c’era stata e si chiama ancora Be Quiet. Avrebbe meritato sicuramente una
attenzione ed una cura maggiore da parte di tutti gli addetti ai lavori, in primis, gli aderenti al movimento.
La nuova canzone d’autore che ripartiva da Napoli. Purtroppo le riserve mentali e le ego compulsività sono spesso il limite con cui l’idealismo costruttivo deve fare i conti. E mi fermo qua solo perché l’argomento meriterebbe un’intervista a parte.

6) La prima cosa che farai quando si potrà ritornare alla normalità?

6) La prima cosa che mi piacerebbe fare quando si potrà tornare alla normalità? Continuare questa
intervista seduti ad un bar, possibilmente il Nea, davanti ad un caffè rigorosamente amaro ed un bicchiere di rum accompagnato da pezzetti di cioccolato fondente, naturalmente con la musica di sottofondo e un bel “vaffanculo” alla Piero Ciampi a tutte le squallide figure che attraversano il paese.

Grazie a Nicola Dragotto per l’illuminante intervista.

 

 

Fonte immagine: Facebook.

A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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