Trentotto anni fa, la sera del 23 settembre 1985, viene rinvenuto il corpo senza vita del giornalista Giancarlo Siani all’interno della sua auto, presso il Vomero.
Ancora una vittima. La camorra colpisce ancora, spezzando una giovane vita, ma non la sua memoria, non l’impegno e il coraggio profusi nell’opposizione al cancro dal volto mafioso, che opprime continuamente la parte genuina di una città bella e dannata, così come di un intero Paese, in bilico sul cornicione che separa la legalità dall’illegalità, un cornicione sottilissimo, che sembra quasi disintegrarsi sotto il peso dell’omertà. Ma c’è chi, come Giancarlo Siani e molti altri, non si lascia vincere dalla paura, lottando in nome di una speranza alimentata dalla fiamma dell’amore e della dedizione. Siani non si ferma, nonostante le intimidazioni, nonostante il pericolo crescente. Il suo omicidio è sprone a non arrendersi. È la vittoria dei pensieri e di una volontà che si fanno azione. È doveroso pertanto scrivere un po’ della sua vita, dei suoi sogni, per toccare con mano tanta genuina passione.
Chi era Giancarlo Siani
Giancarlo Siani nasce in un giorno simbolico per la città partenopea, il 19 settembre 1959, quello del santo patrono di Napoli, San Gennaro. Cresce nel quartiere del Vomero, coltivando i suoi sogni di scrittore. Un ragazzo tenace e meticolosamente attento a ciò che succede intorno, nella sua amata e dannata città e fuori di essa. Il suo desiderio più maturo vuole Giancarlo non solo protagonista di eventi politico-sociali, bensì informatore di una società, che non intende solo osservare, bensì raccontare.
Durante gli anni universitari Giancarlo comincia a collaborare con periodici locali, raccontando tutto ciò che vede con i suoi occhi, andando a scavare al fondo di ogni verità: attenziona i temi dell’emarginazione sociale, della povertà e della criminalità organizzata, che proprio in quei luoghi trova terreno fertile per proliferare.
Ecco che per Giancarlo informare diviene un’autentica missione, fondando tra l’altro insieme ad alcuni colleghi il Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione, sostenendo così la libertà di stampa. Giunge poi la sua prolifera collaborazione con Il Mattino, come corrispondente a Torre Annunziata, uno dei più turbolenti comuni dell’area vesuviana, che solo un anno prima del suo omicidio si fa protagonista della più cruenta strage della storia della camorra, la “Strage del Circolo dei pescatori” del 1984, contando ben otto vittime e una ventina di feriti. E proprio da Torre Annunziata Giancarlo parte per raccontare quelle verità nascoste, fatte di giochi di potere, collusioni, regolamenti di conti tra cosche, rendendo la sua posizione di cronista “scomoda”, così come la sua penna, agli occhi della criminalità organizzata. Siani scava e scava, raccontando non solo delle guerre intestine tra clan, bensì degli accordi tra politica e mafia per gli appalti pubblici e tutta una serie di favori, al centro di un ingente movimento di denaro e potere.
Giancarlo si pone in prima fila per raccogliere informazioni presso commissariati, sindacati e amministrazioni pubbliche, consapevole che le notizie te le devi andare a cercare, anche nel fango o nella melma, non aspettando che piovano sulla scrivania come per miracolo.
Giancarlo inizia anche a collaborare con l’Osservatorio sulla Camorra, diretto da Amato Lamberti. Pur tuttavia il giovane scrittore non è ancora ufficialmente un giornalista: lavora duramente e senza risparmiarsi per sostenere l’esame e diventare giornalista pubblicista. Un sogno che si materializzerà solo dopo la sua morte, con il riconoscimento ad honorem da parte dell’Ordine dei Giornalisti.
Le inchieste di Giancarlo si concentrano in quel periodo intorno alla figura del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, svelando le sue attività illecite e il suo essere pedina nelle mani di vertici più scaltri e potenti di lui.
Giancarlo studia e analizza i rapporti e le gerarchie delle famiglie camorriste, che controllano Torre Annunziata e dintorni, giungendo a scoprire il marciume, quella serie di connivenze createsi tra politica e camorra, intuendo e portando in auge una fitta rete di corruzione, infastidendo progressivamente i boss della zona e accrescendo la sua posizione di “giornalista scomodo”, o “giornalista giornalista”, così come viene descritto nella pellicola cinematografica Fortapàsc del 2009, diretta da Marco Risi: “Ci stanno i giornalisti giornalisti e i giornalisti impiegati. I giornalisti giornalisti sono tutta un’altra cosa. Quelli portano le notizie, gli scoop, e non sempre si devono aspettare gli applausi della redazione. No, perché le notizie e gli scoop sono una rottura di cazzo… fanno male, fanno malissimo. Dai retta a me, questo non è un Paese da giornalisti giornalisti, è un Paese da giornalisti impiegati!”
Proprio così, Giancarlo non avrebbe ricevuto applausi, ma cazzotti, intimidazioni. Eppure il suo obiettivo è chiaro. Lui non rinuncia ad informare. Lui non desidera essere un placido giornalista impiegato da scrivania. Lui è un giornalista giornalista, con le palle, anche se nemmeno lui si rende subito conto di firmare così la sua condanna a morte. Tale arriva con uno degli articoli che provoca più scalpore dei precedenti, quello del 10 giugno 1985, in cui Giancarlo rivela un patto segreto tra due clan: i Nuvoletta, alleati di Totò Riina, e i Bardellino si accordano per vendere alle forze armate il boss Valentino Gionta, in modo da eliminarlo dal panorama criminale e garantire una pace tra clan fino ad allora minata.
La scoperta di Giancarlo genera sgomento e preoccupazione nell’ambiente camorrista, giacché in quell’articolo viene svelata l’infamia del clan Nuvoletta, trattante con le forze armate, e contravvenendo pertanto al codice d’onore rispettato dalla mafia.
Così, per smentire le parole del cronista e difendere agli occhi dei vertici la propria credibilità minata, i Nuvoletta e Bardellino decidono la condanna per Siani. Quel giornalista aveva superato i limiti, era andato troppo oltre. Andava fermato! Tra l’altro Giancarlo, pochi giorni prima di morire, è in procinto di pubblicare un libro, o aprire una vera inchiesta, con materiale bollente ed esplosivo raccolto con le proprie meticolose ed instancabili indagini.
23 settembre 1985: l’omicidio di Giancarlo Siani
Dopo diversi incontri, e con il benestare di Totò Riina, Lorenzo e Angelo Nuvoletta, insieme a Bardellino, decidono la data della condanna a morte di Giancarlo Siani. Lo uccideranno lontano da Torre Annunziata per eludere ogni sospetto. Giancarlo comincia a sperimentare la paura nelle ultime sue ore di vita: chiamate senza risposta in redazione, continue e insistenti. Il segnale è lanciato, e lui in fondo sa a cosa va incontro. Ma non si ferma, fino alla fine, sebbene quel libro dedicato alle collusioni stato-mafia non avrebbe mai visto la luce.
È una bellissima sera del 23 settembre 1985. Dopo aver lasciato la redazione, Giancarlo si dirige verso la sua abitazione, sita in via Romaniello, nel quartiere del Vomero. Quella sera avrebbe dovuto recarsi al concerto di Vasco Rossi, in programma allo Stadio San Paolo. Con Ogni volta in sottofondo, Giancarlo raggiunge casa sua a bordo della sua Citroën Méhari verde con capote in tela. Spegne il motore, è pronto a scendere, quando due uomini gli si avvicinano freddandolo, ancora seduto, con dieci colpi alla testa da due pistole Beretta 7.65 mm. L’agguato avviene intorno alle 20.50 circa. Commovente il suo sorriso, misto di terrore e consapevolezza, interpretato mirabilmente da Libero De Rienzo nella fatidica scena del film.
Giancarlo muore, ma Fortapàsc non vince. Giustizia sarà fatta per un omicidio rimasto sotto sabbia per ben dodici anni. Giancarlo viene ammazzato perché ha svolto il suo lavoro, e lo ha svolto nel migliore dei modi possibili, cercando la trucida verità nelle strade, nei bassi, tra i colletti bianchi. E lo fa con l’innocenza del giovane cronista ventiseienne, squarciando le fogne nelle roccaforti di Fortapàsc, per lasciar filtrare finalmente la luce della dignità, della legalità, della giustizia, immolando la sua vita, che diviene simbolo di una lotta costante e ineclissabile contro la piovra della criminalità organizzata.
23 settembre 1985. Condanne e memoria
Oggi è impossibile dimenticare il coraggio di Siani. Eppure allora la storia del suo delitto sfocia presto in vicende giudiziarie tormentate, giungendo ad essere insabbiato e liquidato come un omicidio legato a qualche oscura faccenda di carattere personale. Ecco, la mafia uccide sempre due volte, o almeno cerca!
Ad evitare però che il caso venisse archiviato come uno tra i tanti misteri irrisolti è il pubblico ministero Armando D’Alterio, decidendo di riaprire il fascicolo sulla base di nuovi e determinanti indizi forniti dal nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Migliorino, appartenente al clan Gionta.
Sono occorsi ben dodici anni. Dodici lunghi anni, affinché Giancarlo Siani potesse avere giustizia. Dodici anni per riconoscere in quell’omicidio un delitto di camorra, grazie anche alla redenzione preziosa dei pentiti.
Nel 1997 inizia il processo. La Corte d’Assise di Napoli condanna all’ergastolo i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta, insieme a Luigi Baccante, quali mandanti dell’omicidio. Condannati all’ergastolo come esecutori materiali, invece, Ciro Cappuccio e Armando Del Core. La Corte condanna all’ergastolo anche Valentino Gionta, assolto però dalla Cassazione, in quanto ritenuto estraneo al fatto, che confermerà invece le altre condanne.
Son trascorsi trentotto anni da quel giorno infame. Ma la storia di Giancarlo oggi si respira e riecheggia nella città partenopea, tra le scuole a lui dedicate, nelle strade che portano il suo nome. Nel 2016 viene inaugurato un murales in sua memoria, sul muretto in via Romaniello, davanti al quale Giancarlo viene assassinato la sera del 23 settembre 1985. L’opera è fortemente voluta dal fratello Paolo Siani. Lui, che si è sempre battuto per far emergere la verità sulla morte di Giancarlo. Il murales ritrae il viso sorridente del giornalista, con il simbolo della pace dipinto sul volto. Compaiono inoltre la sua Olivetti e la Méhari verde, emblema ormai della lotta alla camorra. A completare l’opera, frasi delle canzoni di Vasco Rossi – il suo cantante del cuore, al cui concerto avrebbe dovuto prendere parte quella sera – e una poesia di Alda Merini. Da quel muretto Giancarlo sorride idealmente al suo omicidio e ai suoi assassini, infondendo alle generazioni il calore insito in quel coraggio ingenuo e determinato insieme, in quell’inconsapevolezza con cui Giancarlo sfida a volto scoperto la criminalità organizzata, usando un’arma forse più potente di pistole e pugnali: le parole! Perché le idee e le parole di chi muore continuano a camminare con le gambe di chi la fiamma della speranza non la spegne, alimentandola anzi giorno dopo giorno.