Il 25 aprile ricorre la Festa della Liberazione. Questo giorno è a tutti gli effetti una celebrazione che ha lo scopo di ricordare il valore della Resistenza, periodo storico nel quale i partigiani di ogni fronte hanno contribuito alla liberazione dell’Italia dalle potenze nazifasciste.
Il 25 aprile: la storia
La Seconda Guerra Mondiale è un periodo storico che va dal 1939 al 1945, durante il quale le cosiddette potenze «dell’Asse», quali Germania, Italia e Giappone, si contrapposero alle forze «Alleate», quali Inghilterra, Francia e Stati Uniti.
Quattro anni dopo l’inizio delle operazioni belliche, precisamente l’8 settembre 1943, l’Italia firmò l’armistizio con le forze appartenenti al secondo blocco, permettendo l’avanzata a Sud delle truppe anglo-americane, al contrario del Nord dove permanevano quelle tedesche.
In questo clima, il Re Vittorio Emanuele III si rifugiò in Puglia, scappando durante la notte col capo del Governo, Badoglio, mentre Mussolini fuggì in Germania.
Seguirono così lunghi mesi di lotta tra i due schieramenti, di cui è interessante notare l’avvalersi di un simbolo geopolitico dei combattenti, che divenne la Linea Gotica, estesa da Massa Carrara, alla Toscana, fino alle Marche. È dall’inverno del 1943 che i due blocchi cominciarono a combattersi con l’appoggio di eserciti stranieri che intanto provavano ad occupare ulteriormente il territorio nazionale. Ciò ha permesso di definire tale accaduto storico come l’inizio di una vera e propria guerra civile.
È così che nasce l’azione della Resistenza, fenomeno del tutto italiano, con il quale le forze antifasciste combatterono in nome della liberazione del Paese, ad esempio durante le rinomate Quattro Giornate di Napoli, che rendono quest’ultima la prima città d’Europa a liberarsi da sola dai nazisti, senza un comando strutturato che guidasse la rivolta. Le forze Alleate, infatti, poterono entrare in una città già libera. Segue la liberazione di Roma 4 mesi dopo soltanto grazie ad un’organizzazione capillare della Resistenza, per poi arrivare alla prima insurrezione organizzata a Firenze, che visse una lunga battaglia per venti giorni.
Al contrario, al Nord, il governo di Mussolini diede vita, in collaborazione con quello tedesco, alla «Repubblica Sociale Italiana» (RSI), allo scopo di governare parte dei territori italiani controllati militarmente, a loro volta, dai tedeschi. La prima è conosciuta come «Repubblica di Salò» in quanto è qui che aveva sede l’Agenzia di stampa ufficiale, che con un comunicato rese obbligatoria la leva per tutti i giovani, pena di morte in caso di rifiuto. Difatti, furono circa 600.000 i soldati deportati nei campi di concentramento tedeschi per aver rifiutato di aderire a tale obbligo.
È così che è possibile ricordare la Resistenza come un periodo che vede la partecipazione di circa 250mila combattenti, e di cui è importante definirne le sfaccettature:
- La Resistenza civile, impostata al fine di combattere per il mantenimento di condizioni di vita adeguate e che quindi pose un grande distacco tra sé e la martellante propaganda fascista;
- La Resistenza militare che in massa si pose contro gli schieramenti nazifascisti;
- Il rifiuto di migliaia di soldati di venire meno alla leva obbligatoria, o al giuramento di fedeltà al re, che portò al confinamento nei lager o nei campi di lavoro, l’opera preziosa svolta dai preti partigiani, ed infine, il ruolo delle donne.
Il 25 aprile: il ruolo delle donne
Il ruolo delle donne, per l’esattezza 53mila, fu molteplice: esse furono partigiane combattenti con azioni di supporto, operanti nei Gruppi di difesa della donna (GDD), così come furono condannate, deportate o arrestate. La componente femminile si attivò negli scioperi, durante le manifestazioni, per la trasmissione delle informazioni e per la diffusione della stampa.
Tuttavia, è indubbio che questi compiti le misero a dura prova, perché consapevoli della necessità di sfidare numerosi tabù sociali che impedirono loro di emanciparsi. L’idea alla base di essi fu che le donne non avrebbero dovuto ostacolare la lotta dell’uomo.
Ciononostante, le donne, durante il perpetuarsi del conflitto, si fecero carico di più responsabilità, sostituendo l’uomo nel lavoro e nel mantenimento della famiglia, assicurando la cura della casa e contemporaneamente occupandosi della propaganda contro il nazifascismo, con le azioni di volantinaggio, la raccolta di documenti, di viveri, di esplosivi, di munizioni e di rifugi per i partigiani.
La contrapposizione «sfera pubblica» maschile, e «sfera privata» femminile, si assottigliò sempre di più. L’azione femminile divenne sia teorica che pratica nell’organizzazione di corsi di preparazione politica e tecnica, per l’assistenza sanitaria e per la stampa dei giornali del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Le promotrici di queste attività provenivano dalle più diversificate classi sociali: operaie, studentesse, casalinghe e insegnanti originarie della città o della campagna, che indifferentemente, mai parlarono o tradirono. Decine di migliaia di donne, guidate da un senso di giustizia così come dalla modestia e dai sentimenti, si assunsero l’incarico di battersi per le misere condizioni di vita che la guerra inevitabilmente provocò.
Simbolo di ciò fu lo «sciopero del pane» del 16 ottobre 1941, quando la maggioranza della componente femminile della popolazione scese in piazza per assalire il furgoncino della Barilla, a simboleggiare non soltanto una rivendicazione materiale, ma il dissenso popolare verso le forze fasciste.
Si delineò così una «diversità» tale che tratteggiò le caratteristiche di un antifascismo al femminile, composto da donne consapevoli e responsabili delle proprie scelte, che si incamminarono in un percorso tortuoso, composto da nuove abitudini culturali, modi di vestire, di rapportarsi, di interpretare le situazioni o i comportamenti altrui. Il loro impegno nella Resistenza non fu il diretto risultato della volontà dei mariti o dei figli, ma della propria, da intendere in una duplice matrice: da un lato la volontà femminile di combattere in nome di un futuro libero, dall’altro ottenere una rivendicazione dei diritti concretizzata nella parificazione uomo-donna.
Così come i primi, esse divennero membri attivi dei Gruppi d’azione partigiana (GAP) e delle Squadre d’azione partigiana (SAP) nati al fine di combattere contro i soldati nazifascisti, assunsero il ruolo di infermiere per curare ribelli e «fratelli» di guerra, intrapresero azioni di sabotaggio delle fabbriche per frenare la produzione delle armi destinate alla guerra nazifascista, e idearono, per esempio, l’utilizzo di una comune borsa da spesa nel quale, oltre ortaggi o frutta di vario tipo, nascondevano le informazioni cifrate dei partigiani durante lo svolgimento di missioni di collegamento.
Nonostante le diverse estrazioni sociali, che divisero tante donne tra chi fosse originariamente borghese o proletaria, tutte si unirono nel medesimo gruppo per combattere in nome di una causa comune. In questo, le donne, al contrario di ciò che è usualmente raccontato, non sono state soltanto soggetti vittime della violenza, ma coloro che l’hanno perpetuata, divenendo parte attiva delle formazioni armate.
Il 25 aprile è quindi necessario menzionarle.
La scelta di divenire partigiane trova la sua spiegazione in ideali di libertà contrapposti a quelli teorizzati dal fascismo, che designava le donne come «spose e madri esemplari». Quanto detto trova la sua dimostrazione nelle memorie di queste combattenti, che mai mostrarono rimpianto o rammarico per la scelta intrapresa. Come dimostra un articolo del giornale «Noi donne, Napoli, a.I, n.2. Agosto 1944: «[..] dove le donne non meno degli uomini giustiziavano i traditori, senza sadismo e senza leggerezza; rendendosi ben conto della gravità di quello che facevano, ma sicure di agire secondo giustizia. Ed era per questa certezza se riuscivamo in definitiva ad essere allegre e a conservar quasi sempre la nostra serenità; era senza dubbio per la coscienza di sentirci utili».
Il 25 aprile: la Guerra di Liberazione
La giornata del 25 aprile viene ricordata perché la Resistenza ha rappresentato una vera e propria frattura rispetto al Fascismo, ventennio nel quale l’atteggiamento prevalente fu quello di ubbidire; ora subentrava la necessità di schierarsi e scegliere.
Proprio a questo scopo lo storico Claudio Pavone parla di «moralità», ad intendere la ricerca, nonostante le differenze politiche partitiche, di nuovi valori, che fossero il risultato di una scelta personale e consapevole, non più imposta. Per quanto difficile, il popolo italiano decise di agire contro i soprusi di uno Stato che puniva chi decideva di ribellarsi, privando il Paese intero di ogni forma di vita democratica. È così che l’8 settembre 1943 si inaugurò una vera e propria guerra civile, tra italiani antifascisti e italiani che si riconoscevano nella RSI.
L’obiettivo prioritario era sicuramente la liberazione, ma con essa la volontà di pensare al futuro: basti pensare all’esistenza dei Comitati di Liberazione Nazionale (CLN), che svolgevano vere e proprie funzioni di governo nel gestire gruppi autonomi di varia ispirazione, tra comunisti, socialisti e democristiani che si rapportavano a loro volta con le formazioni armate. I CLN, difatti, sono considerati un laboratorio di quella che sarà la Costituente.
A questo proposito lo studioso A. Manzella, in «La Costituzione antifascista», in «La Repubblica», 25 aprile 2005, afferma «Quando gli Italiani scelsero un giorno diverso da tutti gli altri europei per ricordare la guerra più grande, compirono un atto di umiltà e di dignità insieme. Di umiltà perché riconobbero che non potevano condividere memorie con gli altri paesi, dal momento che in tutto il mondo «fascismo» era parola italiana. Di dignità, perché vollero indicare che, nella culla del fascismo e nella terra del suo più largo consenso, c’era stata una specifica via nazionale di contrasto e di alternativa. Data nostra anche perché la resistenza italiana, attiva o passiva al fascismo, aveva avuto un suo carattere specifico. Per gli altri paesi di Occidente era stato un fatto politico-militare di liberazione, per tornare ad una loro consolidata democrazia. Per noi, che avevamo avuto un consenso di massa al fascismo, fu diverso. L’insurrezione, come ha scritto Giorgio Bocca, fu totalmente politica, perché coincideva con la fabbrica di una democrazia. Quella democrazia di massa che non avevamo mai conosciuto. La Resistenza fu dunque anche e soprattutto una prima fase costituente, la premessa e la promessa di una Costituzione democratica».
La giornata del 25 aprile, grazie all’impegno della Resistenza, così come delle forze angloamericane, segnò quindi la fine di un dramma che ha causato innumerevoli spargimenti di sangue, terminati definitivamente solo nella primavera del 1945, quando le forze alleate, insieme ai gruppi partigiani, riuscirono ad imprimere una svolta nelle proprie operazioni, che portarono ufficialmente alla liberazione di tutto il Paese.
Il 21 aprile l’ultima città fu Bologna, ed è così che il 25 aprile il CLN diffuse il proclama ufficiale.
Oggi celebrare il 25 aprile vuole dire ripensare ai valori fondativi della Costituzione, quali democrazia effettiva, aperta, basata sulla libertà e l’uguaglianza, così come sulla partecipazione dei cittadini nella sfera sia politica, che economica e sociale.
È fondamentale in tale giorno riflettere sull’identità nazionale e sulla storia che ha costruito il Paese prima di noi.
Fonte Immagine Articolo “Il 25 aprile in Italia: la Festa della Liberazione”: Wikipedia