Associazione Nazionale Hikikomori, intervista a Marco Crepaldi

Associazione Nazionale Hikikomori, intervista a Marco Crepaldi

Immaginate di isolarvi nella vostra stanza per il resto della vita. Tapparelle abbassate, porta serrata, letto disfatto e una vita che ruota per la maggior parte del tempo attorno a cibo, internet, videogiochi e fumetti. Non una richiesta di aiuto, non un contatto con il mondo esterno o con la vostra stessa famiglia. Un universo parallelo in cui non c’è nessun altro se non voi. Per molte persone, questa è realtà. Oltre 500.000 casi accertati in Giappone, circa 300.000 in Corea e ben 100.000 in Italia. Numeri probabilmente molto più elevati data la presenza di individui che, per vergogna o rifiuto di accettare la loro condizione, non ne parlano. Questa è la vita degli hikikomori, termine che in giapponese significa letteralmente “stare in disparte”, e sono giovani – principalmente dai 14 ai 30 anni – che decidono di ritirarsi volontariamente dalla vita sociale rinchiudendosi nella propria stanza e tagliando qualsiasi contatto diretto con il mondo esterno. Gli hikikomori sono individui estremamente introversi e sensibili che, a causa della loro visione negativa della società, soffrono particolarmente la pressione di realizzazione sociale, dalla quale fuggono nel modo più semplice che conoscono: isolandosi. Ma quali sono le altre cause che li spingono ad un atto così estremo? E soprattutto, com’è possibile affrontare il fenomeno in una realtà che sembra quasi ignorare il problema? Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Marco Crepaldi, psicologo sociale e fondatore dell’Associazione Nazionale Hikikomori, prima associazione nazionale di informazione e supporto sul tema dell’isolamento sociale volontario, ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Intervista a Marco Crepaldi dell’Associazione Nazionale Hikikomori

Ciao Marco! È un piacere potersi confrontare con il primo psicologo in Italia ad aver fondato l’Associazione Nazionale Hikikomori, dando finalmente importanza ad un tema che ancora non viene preso in considerazione come dovrebbe. Come abbiamo visto, l’essere “hikikomori” è dunque, più che una patologia, una condizione. Partendo da questo presupposto e avendo già visto la causa principale che spinge un hikikomori ad isolarsi, quali sono i primi campanelli d’allarme che ci aiutano a capire che qualcuno vicino a noi necessita di aiuto?

Ciao, nel caso di noi stessi è più semplice da riconoscere, poiché – a mio parere – l’hikikomori consiste in una costante e insistente pulsione all’isolamento sociale, per cui si arriva a preferire in modo sistematico lo stare da soli al fine di ridurre la pressione di realizzazione sociale derivante dal giudizio altrui. In altre parole, quando ci accorgiamo che la paura di essere giudicati ci spinge sempre di più a limitare le nostre attività sociali, allora significa che siamo a rischio di hikikomori. Per quanto riguarda i campanelli d’allarme visibili dall’esterno, il primo è sicuramente la tendenza a saltare giorni di scuola con una certa frequenza, proprio perché l’ambiente sociale scolastico è diventato fonte di malessere e viene vissuto con grande negatività dal ragazzo. Parallelamente a ciò, è facile che si cominci a invertire il ritmo sonno veglia, preferendo stare svegli di notte e dormire durante il giorno. Infine, già in questa fase vi è una tendenza a rifiutare gli amici e tutte le attività extrascolastiche.

Come detto da te, l’essere hikikomori non è da ricollegare direttamente all’essere depressi. Detto ciò, quale idea della società hanno in generale? La criminalizzano o sono coscienti di essere una “minoranza sociale” che, per un motivo o l’altro, non è stata capace di adattarsi ad essa?

Entrambe le cose. Ho condotto un sondaggio su circa 90 soggetti ritirati, chiedendo loro a chi o cosa attribuissero la colpa della propria condizione. Al quinto posto, abbastanza a sorpresa per me, ci sono i genitori, insegnati, scuola, coetanei e, con quasi il massimo grado possibile, la società in generale. La cosa interessante, però, è che subito prima della società ci sono loro stessi. In altre parole, gli hikikomori sono molto critici verso gli altri e verso le dinamiche sociali moderne, ma allo stesso tempo sono pienamente consci dei propri limiti e in senso di colpa, legato probabilmente a un’eccessiva autocritica, è molto alto. I dati di questa ricerca sono stati esposti nel mio libro uscito a febbraio 2019.

È ormai chiaro che gli hikikomori usino internet un po’ come se fosse un rifugio dalla realtà, come descritto nel sito ufficiale dell’Associazione Nazionale Hikikomori. Un mondo a parte che, in un modo o nell’altro, non fa premere su di loro le stesse responsabilità e le stesse pressioni che invece fa premere la società. Insomma, una vera e propria via di fuga. È quindi secondo te da criminalizzare come viene spesso fatto dalla “vecchia generazione” o deve essere considerato come qualcosa che aiuta la loro condizione? E soprattutto, alimenta davvero il fenomeno?

Da giorno uno ribadisco che l’eventuale abuso di internet ad opera degli hikikomori non è da considerare come una causa del ritiro, ma piuttosto come una conseguenza dello stesso, dal momento che esso permette loro di rimanere in contatto con la società e di intessere relazioni sociali nonostante la condizione di isolamento. Togliere internet a un hikikomori significa spesso condannarlo a un isolamento ancor più estremo, senza ottenere nessun effetto positivo. Il fatto che l’hikikomori nasca come un fenomeno sociale indipendente dalle nuove tecnologie è testimoniato dal fatto che i primi ritirati sociali giapponesi appartenevano agli anni 80, quando ancora il personal computer e Internet non facevano parte della vita quotidiana delle persone. Sicuramente, però, la rete gioca un ruolo nella velocità con la quale si sta diffondendo il fenomeno, in Giappone, così come nel resto del mondo. A mio parere, infatti, essa funge da acceleratore, in quanto rende decisamente più appetibile la strada dell’isolamento rispetto a quanto non lo fosse nell’era predigitale. Dunque, oggi un hikikomori sa che, qualora non riuscisse più a stare nella società e decidesse di abbandonarsi all’impulso di isolarsi, non sarebbe condannato a un isolamento estremo ma potrebbe comunque mantenere dei contatti sociali, seppur virtuali, nonché rimanere costantemente aggiornato su cosa accade nel mondo.

Secondo una recente stima i casi di hikikomori in Italia sarebbero circa 100.000 e, come si legge sul sito ufficiale dell’Associazione Nazionale Hikikomori, si tratta di un numero in continuo aumento. Un numero già così elevatissimo, eppure se ne sente parlare davvero poco. Trovi che il fenomeno nel nostro paese sia sottovalutato e necessiti di maggiore attenzione?

Sì, è una stima che facciamo noi come Associazione Nazionale Hikikomori basandoci sulle richieste di aiuto che riceviamo ogni mese. Ad oggi i genitori che gravitano attorno ai nostri servizi, online ed offline, sono migliaia e provengono da ogni parte del paese. Anche i soggetti isolati che ci contattano sono numerosissimi e ogni volta che parliamo del fenomeno in tv, sui giornali o nelle scuole, ecco che emergono decine e decine di nuovi casi. Il fatto che quasi nessuno ne parli fa sì che questi genitori e questi ragazzi si sentano soli ad affrontare la grande sfida umana rappresentata da questa condizione, con la conseguenza che finiranno ancor più per isolarsi o sentirsi in colpa. Quando arrivano a conoscere il termine “hikikomori” e scoprono la nostra associazione, capendo contestualmente che si tratta di un fenomeno sociale più ampio che riguarda milioni di persone nel mondo, allora cominciano a trovare conforto al proprio malessere.

Siamo giunti al termine dell’intervista. Hai un consiglio da dare a chiunque si trovi in questa condizione? Oltre, chiaramente, al rivolgersi direttamente all’Associazione Nazionale Hikikomori qualora dovessero avere bisogno di supporto.

Di chiedere aiuto perché c’è il rischio che la condizione di hikikomori non si risolva spontaneamente e si aggravi fino a cronicizzarsi e diventare difficilmente reversibile. Non si tratta di una fase della vita, ma di uno stato mentale che deriva da una particolare interpretazione della realtà circostante, il quale genera una grande sofferenza psicologica, sia nei soggetti isolati, sia nelle persone che stanno loro attorno.

L’ONLUS Genitori

Dal 2017, inoltre, si costituisce l’Associazione Hikikomori Italia Genitori, affiliata naturalmente all’Associazione Nazionale Hikikomori.  Lo scopo è fornire un supporto costante ai genitori di figli hikikomori con problemi di isolamento sociale, oltre che una piattaforma attraverso la quale sostenere la causa al fine di sensibilizzare le istituzioni per ottenere maggiori diritti e servizi ai ragazzi e alle ragazze che vivono questa condizione.

Fonte dell’immagine: www.hikikomoriitalia.it

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