La violenza domestica non nasce in un giorno, né si risolve con una sola decisione. È un fenomeno complesso, radicato in modelli culturali, emozioni non gestite, ruoli di potere interiorizzati e schemi relazionali distorti. Eppure, sempre più uomini, dopo aver vissuto episodi di aggressività verbale o fisica, iniziano a chiedere aiuto, a riconoscere la necessità di un cambiamento profondo. Ma come accompagnarli davvero in un percorso di trasformazione? Come guidarli a ricostruire un nuovo modo di vivere le emozioni, le relazioni, il conflitto?
In questo contesto, l’uso di strumenti non verbali come l’arte partecipativa o la facilitazione creativa, incluso l’uso dei mattoncini LEGO, si rivela un alleato prezioso. Costruire con le mani, mettere in scena un’emozione, vedere da fuori ciò che si agita dentro, può aprire spazi che le parole, da sole, spesso non raggiungono.
La rabbia, se negata o repressa, esplode. Se invece è accolta, nominata, ascoltata, può diventare un segnale potente. Molti uomini crescono con l’idea che “non si deve mostrare debolezza”, e che il controllo sia l’unico modo per gestire le emozioni. Ma la rabbia, così come il possesso o la gelosia, non sono “maschere virili”: sono ferite che chiedono spazio e cura. Affrontare la rabbia significa riconoscerla come emozione legittima, ma agire per trasformarla in espressione sana. La violenza verbale e fisica nasce quasi sempre da un’incapacità di gestire vulnerabilità, frustrazioni, paure. Il primo passo per un cambiamento reale è aiutare l’uomo a raccontarsi, a capire da dove nasce il bisogno di controllo, a sentire, senza fuggire ciò che prova.
Per gli operatori, i facilitatori, gli educatori che accompagnano questi percorsi, è fondamentale sospendere il giudizio senza giustificare, creare un ambiente protetto in cui possa emergere il non detto. La relazione di aiuto, in questi casi, è anche una sfida etica: occorre essere specchio, confine e sostegno allo stesso tempo. Spesso il primo segnale di una relazione tossica è la violenza verbale. Offese, sarcasmo, urla, silenzi manipolatori: sono tutte forme di linguaggio che feriscono, spezzano la fiducia e distruggono l’intimità. Gli uomini che ripetono questi schemi spesso non se ne rendono conto, o li minimizzano perché cresciuti in contesti dove la comunicazione affettiva era assente o violenta a sua volta.
Il lavoro allora non è solo “contenere la rabbia”, ma educare alla comunicazione empatica. Aiutare a riconoscere il potere delle parole, l’impatto che hanno sull’altro, la differenza tra parlare “contro” e parlare “per”. Questo tipo di educazione emotiva non si impara solo teoricamente: si sperimenta, si vive, si costruisce con strumenti che permettano di visualizzare e rielaborare.
Qui entra in campo l’arte partecipativa, e in particolare strumenti come il metodo LEGO® SERIOUS PLAY®, sempre più utilizzato in contesti terapeutici, educativi e di facilitazione sociale. I mattoncini LEGO, nella loro semplicità, diventano metafore tridimensionali delle emozioni e delle relazioni. Un uomo può costruire la propria rabbia come una torre instabile, il conflitto come un muro, la relazione desiderata come un ponte. E, soprattutto, può mettere in scena sé stesso in relazione agli altri, rendendo visibile ciò che spesso resta solo dentro. Questa costruzione permette di osservare i propri schemi di comportamento da una nuova prospettiva; di dare parola all’emozione in modo simbolico e non minaccioso; di aprire uno spazio di racconto condiviso con il facilitatore e con il gruppo e di immaginare soluzioni, non solo analizzando il problema, ma costruendo alternative concrete. La potenza del metodo sta nella sua capacità di integrare corpo, mente ed emozione. Non si tratta di “parlare di sé”, ma di vedersi fuori di sé, attraverso ciò che si crea con le mani.
Uno degli snodi fondamentali nel lavoro con uomini che vogliono uscire da dinamiche violente è passare dal bisogno di controllo al senso di responsabilità. Dove il possesso dice: “l’altro è mio”, la cura dice: “l’altro è libero, e io scelgo come stare in relazione con rispetto”. Costruire relazioni sane significa accettare il conflitto come occasione di crescita, non come minaccia da dominare. Significa imparare a chiedere, a negoziare, a tollerare la frustrazione, a non fuggire nell’aggressività. Per molti uomini questo è un territorio nuovo, che va attraversato con strumenti adeguati.
L’arte, la facilitazione, i processi partecipativi sono vie di accesso all’intelligenza emotiva. Offrono un’alternativa concreta alla rigidità del “devi cambiare”, permettendo alle persone di sperimentare il cambiamento in modo attivo e non passivo. Infatti, lavorare con uomini che vogliono cambiare dopo episodi di violenza è una sfida complessa, ma non impossibile. Richiede pazienza, professionalità, empatia e limiti chiari. Richiede anche strumenti creativi, capaci di aggirare le difese, di accendere la consapevolezza e di attivare nuove possibilità relazionali. Costruire con i LEGO, in questo percorso, non è un gioco. È un atto profondamente simbolico: si smonta per comprendere, si ricostruisce per trasformare. Si fa spazio al racconto, alla possibilità, al desiderio di cambiare davvero. E ogni volta che un uomo riesce a vedere la propria rabbia non come un’arma, ma come un segnale; ogni volta che trova parole nuove per dire chi è; ogni volta che sceglie di costruire un legame invece di distruggerlo allora qualcosa si muove qualcosa davvero, perché anche la relazione, come una casa, si può costruire. Con cura. Con responsabilità. Con altri mattoni.
Di Yuleisy Cruz Lezcano