Dignità al merito: il precariato è un crimine di Stato

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Da anni l’Italia è nell’occhio del ciclone a causa dell’annoso problema dell’abuso di contratti a tempo determinato in successione nella Pubblica Amministrazione.

Per arginare l’ennesima condanna da parte dell’Unione Europea, è notizia degli ultimi giorni che il Decreto Legge Salva Infrazioni dovrebbe sanare la falla istituendo un indennizzo tra le quattro e le ventiquattro mensilità destinato ai cosiddetti precari storici della PA: docenti che lavorano più o meno stabilmente nelle scuole statali da almeno tre anni, senza aver tuttavia ottenuto il tanto sospirato contratto a tempo indeterminato, laddove invece nel privato, dopo il terzo rinnovo, questo scatta in automatico per legge.
In Italia, il precariato riguarda un docente su quattro. Lo Stato si trova, dunque, nella scomoda posizione di disattendere nella Pubblica Amministrazione una sua stessa legge. Ma in Italia, si sa, la legge non è uguale per tutti.

Al di là dei roboanti annunci dei Ministri che si susseguono, e che giurano alla nazione di mettere la parola “fine” al precariato nella scuola, superando quello che è a tutti gli effetti un problema endemico del sistema scolastico italiano, c’è da fare i conti con la realtà: una realtà fatta da uomini e donne che portano avanti il sistema scuola, sulle cui spalle si reggono non soltanto i propri nuclei familiari, ma quelli di tutti, che hanno fatto propria la missione di educare e formare le nuove leve – ma non per questo vanno considerati missionari, perché si tratta di professionisti – , uomini e donne che spendono sé stessi al massimo nelle aule scolastiche e che, se crollassero, porterebbero al tracollo il sistema scuola intero. Un sistema scuola che, di fatto, si regge sulle spalle dei docenti precari, sempre più fragili e demotivati a causa di scelte governative poco rispettose del merito e dell’esperienza maturata sul campo.
Mai come quest’anno, la misura è colma: il mondo della scuola si mobilita e compatto manifesta contro il precariato il 27 settembre 2024 dalle ore 16:00 di fronte agli Uffici Scolastici Regionali di Milano, Firenze, Roma, Napoli e Bari, per chiedere che venga attribuita dignità al merito, al lavoro svolto, al sacrificio.

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Superare il precariato: perché la risposta non può essere nei concorsi PNRR e nei percorsi abilitanti

Superare un concorso non garantisce più il ruolo

La ricetta proposta dal Governo contro il precariato è semplice: bandire in due anni tre concorsi pubblici per assumere 70.000 docenti, come imposto dall’Unione Europea, al fine di ottenere i fondi PNRR. Sembrerebbe un piano perfetto, se non fosse chiara la priorità di ottenere questi fondi rispetto alla reale volontà di assumere tutti i docenti necessari, che vanno ben oltre le unità autorizzate dal Governo per le assunzioni.

Il primo concorso PNRR si è svolto nel corso degli ultimi mesi. Questo prevedeva una prova scritta, identica per i docenti di tutte le discipline, inerente a conoscenze e contenuti psico-pedagogici, di normativa scolastica, inclusione, informatica ed inglese, ed una prova orale sui contenuti specifici della propria disciplina.
Il concorso ha visto i docenti italiani sottrarre tempo al lavoro e alla propria vita familiare per riprendere in mano libri e dispense e prepararsi al meglio allo svolgimento delle prove concorsuali, spesso in regioni diverse da quelle di residenza, il che si è tradotto anche in un notevole dispendio economico, per un pugno di posti autorizzati di gran lunga inferiore alle reali necessità delle scuole italiane. Sacrifici, questi, che ognuno è disposto a fare in nome della stabilità, per dire, finalmente, “addio” al precariato.
Peccato che oggi superare un concorso non garantisca stabilità, né nel breve né nel lungo termine, se non per pochi non più meritevoli, ma spesso semplicemente più tutelati dalle riserve previste dalla legge: l’ultima – un autentico schiaffo morale al precariato e all’esperienza maturata sul campo, una vera e propria discriminazione basata sull’età autorizzata dalla legge – per coloro che hanno svolto il servizio civile universale, istituto nel 2017 e accessibile soltanto a chi ha meno di 28 anni. Una riserva del 15% sul totale dei vincitori che, di fatto, taglia fuori una notevole fetta di candidati per motivi anagrafici. 
Superare un concorso, si diceva, oggi non garantisce l’accesso al ruolo: ebbene, superare un concorso PNRR e non rientrare nel novero dei pochi posti per l’immissione in ruolo non apporta ai candidati nessun beneficio, in quanto, da bando, tale concorso non prevede una graduatoria di idonei ma soltanto quella dei vincitori. Una graduatoria opaca e, spesso, composta in gran numero da riservisti, spesso entrati in ruolo avendo totalizzato nelle prove punteggi molto più bassi dei colleghi rimasti a casa, in barba alla meritocrazia, che pure ritroviamo nel nome del Ministero dell’Istruzione. 
Negato l’accesso agli atti, se non tramite vie legali, negato il ruolo. Cosa ne è, almeno, dell’abilitazione?

La dispendiosa e macchinosa istituzione dei percorsi abilitanti

Fino al precedente concorso, tenutosi nel 2022, l’abilitazione era diretta conseguenza dell’aver superato tutte le prove concorsuali: gli idonei non vincitori erano abilitati ed entravano nella prima fascia delle GPS, le graduatorie cui si attinge per chi incarichi di supplenza annuali o fino al termine delle attività didattiche. Costoro erano, in breve, i primi ad essere convocati a ricoprire cattedre vacanti, in quanto abilitati a farlo. Solo in seconda battuta venivano convocati i docenti della seconda fascia, in ordine di punteggio, ovvero coloro che non avevano ancora ottenuto l’abilitazione tramite concorso.

Ciò che fino al precedente concorso era possibile ottenere per merito, avendo superato un concorso, oggi è accessibile a tutti grazie al vil denaro. A tutti o quasi: a tutti coloro che siano disposti a spendere dai 2000 ai 2500€ per un percorso abilitante che riguarda gli stessi contenuti sui quali i docenti sono stati esaminati, e con successo, solo pochi mesi fa, svolto, tra l’altro, da docenti universitari che spesso non hanno né esperienza né la reale conoscenza del mondo scolastico. Un percorso infarcito di teoria e che prevede la pratica, forse, soltanto nella fase conclusiva del tirocinio, che dovranno svolgere anche docenti con decenni d’insegnamento alle spalle.
Ma la beffa è maggiore del danno: l’accesso ai percorsi abilitanti è stato disomogeneo e ha riguardato, in prima battuta, soltanto coloro che risultavano già abilitati su un’altra classe di concorso o un altro grado. A questi è stato permesso di accedere ai percorsi con diritto di prelazione, durante la primavera, seguendo l’intero percorso online: in due mesi e alla modica cifra di poco meno di due stipendi, ex docenti di sostegno e maestri di scuola primaria hanno avuto accesso alla prima fascia delle GPS di scuola secondaria in anticipo e in tempi utili per l’aggiornamento delle graduatorie, superando tutti i colleghi in seconda fascia, colpevoli soltanto di non aver già speso 5.000€ per il TFA sostegno, il corso abilitante per il sostegno al quale si può accedere anche con il solo diploma tecnico o professionale.

La prima fascia delle supplenze è stata così saturata, superare a pieni voti un concorso pubblico non  è servito.
Cosa fare, dunque? Non resta che aspettare di ricevere la disoccupazione o, nella migliore delle ipotesi, un breve incarico di supplenza, racimolare i propri risparmi e investire nuovamente in formazione, per provare ad entrare nei percorsi abilitanti da 60 o 30 CFU (a seconda dell’esperienza del docente), a numero chiuso per coloro che non hanno una precedente abilitazione ma, di fatto, obbligatori per continuare a sperare di lavorare con una certa stabilità: ritornare nelle aule universitarie, facendo salti mortali per conciliare supplenze, famiglia e lezioni in presenza e online.
Studiare come se non si dovesse, al contempo, lavorare, e lavorare come se non si dovesse, nel frattempo, anche studiare. Prepararsi per il prossimo concorso, che si terrà di qui a due mesi, nonostante graduatorie piene di idonei che non aspetterebbero altro che l’immissione in ruolo e che dovranno ripetere tutto da capo, come in un sadico gioco del Monopoly dove si va in prigione senza passare dal via, e senza capire bene il perché.

Ma come si diventa, in definitiva, oggi, docenti di ruolo? Niente di più facile, soprattutto se privi di riserve e di grandi disponibilità economiche: basta vincere un concorso e poi svolgere a proprie spese un percorso abilitante.

Diventare docente, oggi, è un sogno da ricchi che tuttavia non garantisce uno stipendio da ricchi.

Fonte immagine in evidenza: Pixabay
Fonte immagine articolo: foto scattata durante la manifestazione da una redattrice presente alla manifestazione svoltasi a Napoli

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