In sole due settimane, il remix “Io sono Giorgia” ha raggiunto oltre i 5 milioni di visualizzazioni.
Realizzato da MEM & J, si tratta di una canzone creata con gli spezzoni del discorso del 19 ottobre scorso, pronunciato da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, durante il comizio svoltosi a Roma.
La hit ha spopolato tra i vari social e i vari profili, anche di personaggi dello spettacolo, come Luciana Littizzietto, Malgioglio e M¥SS KETA.
Le intenzioni degli autori erano quelle di creare un inno a favore della comunità LGBT+, l’associazione che celebra l’orgoglio, la diversità e la libertà sessuale, proprio deridendo la Meloni sulla sua ormai celebre affermazione “Vogliono che siamo Genitore 1 e Genitore 2”.
Parodia e effetto boomerang
Il successo ottenuto ha, però, creato un vero effetto boomerang: quelli che avrebbero dovuto subire il colpo, gli elettori di “destra” e la leader del partito, lo hanno trasformato in un canto di celebrazione. La stessa Meloni ha rivelato in un’intervista a Radio1 di considerarlo un vero e proprio tormentone, che entra in testa e non ne esce più.
Così, la parodia di Io sono Giorgia si è mostrata costituita, ancora una volta, da una linea sottilissima ed ha deviato il percorso volutamente intrapreso: una cerchia numerosissima di giovani e giovanissimi è, in questo modo, entrata in contatto con gli ideali della Meloni, canticchiando una canzone che, senza un fondamento politico o una conoscenza adeguata, non è più una denuncia, ma solo musica. Così, far giungere il messaggio che una donna è tale perché una madre e una cristiana o che siamo circondati da costanti tentativi di sradicamento dell’identità e delle nostre radici è diventato più semplice del previsto e ha riscosso più successo di qualsiasi discorso politico degli ultimi tempi.
Gli stessi giovanissimi, nell’ascoltarla, hanno guardato per 2 minuti e 33 secondi sbandierare un tricolore italiano posto su una scritta che cita “Una Patria da amare e difendere”.
I nuovi espedienti della retorica politica
Questo episodio si inserisce così in una più complessa riflessione, fortemente attuale: la retorica politica, quella celebrata dai più grandi studiosi dell’antica Roma, è stata sostituita da un linguaggio semplice e diretto, dall’utilizzo dei social come mezzo di comunicazione primaria, dalla ripetizione insistente degli stessi termini facilmente memorizzabili e utilizzabili. Questa stessa fruibilità viene poi accostata al fattore emotivo, al tentativo di mostrarsi partecipi di una più ampia e condivisa condizione, di fare populismo.
Questi elementi appaiono come la versione evoluta delle più antiche tecniche di propaganda dei totalitarismi del secolo scorso, dai caratteri vistosi alle immagini di vita quotidiana.
Così, liberandosi da ogni preconcetto complottista, è necessario fare attenzione e riflettere sul fatto che il diretto e il semplice non sono sempre elementi indicativi di un’intenzione sincera.
Rendere comprensibile, divertente e popolare la politica, senza tenere conto di quanta disinformazione dilaga a riguardo tra i giovani e non, induce a dimenticare che si tratta di una cosa seria, oltre che molto importante.
La prossima volta che canteremo un motivetto popolare dagli ideali retrogradi o che rideremo guardando un cartone animato con la voce di un politico, oltre a divertirci, potremo anche fermarci a riflettere.