“La prova del nostro progresso non è quella di accrescere la ricchezza di chi ha tanto, ma di dare abbastanza a chi ha troppo poco”. È con queste parole che Franklin Delano Roosevelt getta le basi per porre fine alla crisi economica più famosa della storia americana: la crisi del ’29, così chiamata poiché verificatasi nel 1929, con il crollo della borsa di Wall Street.
Durante i “Ruggenti anni ‘20”, nonostante la stabilità politica e sociale seguita alla Prima Guerra Mondiale, sull’America si abbatté la prima catastrofe di ordine economico.
Evento catastrofico, sì, non solo per la devastazione che si lasciò dietro, ma anche per essere stata una delle fautrici, insieme al totalitarismo, della Seconda Grande Guerra.
La crisi e i successivi eventi che ne derivarono presero il nome di Grande Depressione e furono testimonianza del più grande economico mai visto fino a quel momento, in una società dove il progresso si era succeduto senza ricadute sin dalla Rivoluzione Industriale.
Politicamente parlando, il potere si riversò totalmente nelle mani del partito repubblicano, con Harding e in seguito Coolidge, i quali sostenevano l’accumulo della ricchezza privata, a scapito delle classi più povere. Nonostante le discriminazioni delle classi inferiori, l’ottimismo generale non subì una battuta d’arresto, anzi vide il fulcro del suo sviluppo in Wall Street, sede della Borsa di New York.
Ma cosa generò la crisi?
Il periodo di benessere che investì gli Stati Uniti, aveva portato a un aumento della domanda di consumo, al punto tale da generare una produzione senza precedenti. Tuttavia, il mercato interno non fu in grado di assorbire la grande mole di prodotti, portando a un crollo dei prezzi e ad un conseguente crollo della produzione, nonché la presenza di materiale in eccedenza, incapace di essere smaltito.
Il 24 ottobre 1929, conosciuto come il giovedì nero, sancì l’inizio della catastrofe con la svalutazione di 13 milioni di azioni che vennero vendute senza limite di prezzo e il crollo del valore dei titoli. Tuttavia, il crollo vero e proprio della Borsa di Wall Street si verificò il 29 ottobre, che passò alla storia come “martedì nero”, quando circa 16 milioni di azioni vennero vendute in un solo giorno. A questo evento seguirono numerosi suicidi da parte di speculatori e azionisti, per non parlare delle conseguenze che si riversarono sui ceti meno abbienti, generando una disoccupazione di massa. La crisi del ’29 produsse una ferita ingente che sfregiava il volto dell’America ricca di sogni, che era stata il sostegno economico della maggior parte dei paesi.
L’approccio protezionistico che aveva portato alla sovra-produzione durante la crisi del ‘29, proseguì anche dopo il crollo della borsa, e la sua estensione a tutti gli altri paesi produttori, generò un collasso del commercio internazionale. Per quanto riguarda l’America, in particolare, si registrò un vertiginoso incremento della disoccupazione e una contrazione del reddito. A coronare il tutto, gli Stati Uniti si videro costretti a richiamare i prestiti che avevano erogato ai paesi esteri in difficoltà, incrementando in questo modo la crisi internazionale.
La situazione migliorò unicamente con Roosevelt e il New Deal, del 1933: un programma economico volto al rilancio produttivo americano, attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro. Questa iniziativa portò sicuramente alla fine della crisi del ’29, ma non poté evitare il crollo che sarebbe seguito di lì a sei anni e che avrebbe portato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
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