Politiche migratorie italiane: un resoconto degli ultimi anni

Politiche migratorie italiane: un resoconto degli ultimi anni

Nel 2023 c’è stato un aumento notevole degli sbarchi dei migranti in Italia superando quota 90mila. In attesa di quelle che saranno le misure adottate del governo italiano  e nella speranza che vengano tutelati i diritti di queste persone, vi presentiamo un resoconto delle politiche migratorie italiane di contrasto e più significative adottate negli ultimi anni.

Cooperazione con la Libia

Facendo un passo indietro nel 2017, il governo di quegli anni introduce una novità rispetto alle politiche migratorie italiane adottate negli anni precedenti: il 2 febbraio del 2017 viene firmato a Roma il Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di essere umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra la Libia e l’Italia. È uno strumento attraverso il quale il nostro paese adotta una politica di esternalizzazione dei controlli delle frontiere: da una parte l’Italia si impegna a supportare il governo libico attraverso finanziamenti, assistenza e programmi per lo sviluppo sociale; dall’altra la guardia costiera libica si impegna a rintracciare i migranti in mare e riportarli in Libia in modo che non arrivino sulle coste italiane. Recentemente, il Memorandum d’intesa si è rinnovato automaticamente. In circa 5 anni, quasi centomila persone sono state intercettate e riportate nei centri di accoglienza libici come riportato da Amnesty International.

Politica dei “porti chiusi”

Il governo insediatosi nel 2018, con l’adozione dei decreti “sicurezza” e “sicurezza-bis”, dà l’avvio a forse una delle più stringenti politiche migratorie italiane, la politica dei “porti chiusi”, e attribuisce al Ministro dell’Interno il potere di limitare o vietare l’accesso ai porti italiani alle navi che trasportano i migranti soccorsi in mare se queste operano attività contrarie alla normativa italiana in materia di immigrazione. Due casi dell’applicazione di tale politica sono emblematici: quello della Sea Watch 3 del giugno del 2019 e quello dell’ONG Open Arms dell’agosto dello stesso anno. In entrambi casi, le navi sono state lasciate in mare per più di quindici giorni poiché private dell’autorizzazione di entrare nelle acque territoriali.

I decreti sicurezza sono poi stati in parte abrogati dal decreto-legge n. 130/2020, conosciuto anche come decreto Lamorgese, che aveva l’obiettivo di rimediare ad alcune contraddizioni presenti nella normativa precedente e che modifica la norma di attribuzione del potere di vietare o limitare l’accesso ai porti precisando che non si applica nel momento in cui le operazioni di soccorso sono immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato della nave ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare.

Gli “sbarchi selettivi”

Tra le politiche migratorie italiane, vi è anche quella degli sbarchi selettivi il cui caso emblematico di attuazione (fallita) è l’emanazione nel novembre del 2022 di due decreti interministeriali nei confronti di due ONG con cui si permetteva solo ai migranti in condizioni sanitarie maggiormente precarie di scendere dalle navi, però successivamente è stato concesso lo sbarco a tutti i migranti a causa dei rischi che potevano derivare dalla permanenza prolungata sulla nave.

L’Italia e le ONG

Per concludere, tra le politiche migratorie italiane vanno menzionate quelle che limitano l’attività di ricerca e soccorso delle Organizzazioni non governative (ONG). Nel 2017 è stato adottato un Codice di condotta per le ONG impegnate nel salvataggio dei migranti in mare, attraverso il quale, in pratica, si impedisce alle ONG di interferire con la politica di esternalizzazione delle frontiere italiane in Libia, e, recentemente, è stato approvato il decreto-legge 1/2023, conosciuto anche come il nuovo codice di condotta per le ONG, con cui si stabiliscono una serie di requisiti che le ONG devono rispettare affinché gli sia concesso il transito e la sosta nelle acque territoriali e che ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso.

Fonte immagine di copertina: Pixabay

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