Res publica. Lo cosa pubblica. Permettete una domanda? A voi che leggete, e che, presumibilmente, siete italiani, cosa viene in mente quando sentite pronunciare le parole “cosa pubblica”? La domanda non è affatto banale – mi duole dirlo, ma l’italico popolo, e forse più d’altri (sono stato un po’ all’estero e, quindi, parlo con un minimo di cognizione di causa), resta alquanto spiazzato dinanzi a questa espressione… Non a parole, certo: e via alle disquisizioni sulla abietta classe politica che ci governa, che mal ci rappresenta e sperpera denaro pubblico; sugli incivili abitanti del quartiere che non raccolgono i bisogni dei loro amici quadrupedi; sul vicino di casa che mai si avvede di quanto sia alto il volume del proprio televisore… e la lista potrebbe continuare ben oltre! A fatti, però, è tutto un altro discorso: e, allora, a votare non ci va quasi nessuno, perché “tanto è inutile”; la carta delle nostre caramelle preferite può essere gettata per terra: è cosa da nulla e per le strade è di già un porcile; lo stereo posso tenerlo alto fino all’una di notte: in fondo è un’occasione speciale, stiamo festeggiando una laurea; e non c’è nulla di sconveniente, né di irrispettoso, nello strombazzare all’indirizzo dei netturbini che, al momento della raccolta, interrompono per pochi minuti il flusso del traffico.
Chiedo perdono se quanto finora affermato sa tanto di generalizzazione: i maleducati e gli irrispettosi sono ovunque, ovvio… ma il punto, qui, non è l’educazione, né il rispetto! Quando andiamo al bar per il caffè salutiamo garbatamente, e ringraziamo il barista che ci porge la bevanda (che pure è pagato per farlo!); nell’imbatterci anche nei più anonimi volti che ci paiono vagamente conosciuti simuliamo al meglio il piacere provocatoci dall’inatteso incontro; nel declinare un invito sempre alberga, sui nostri volti, un sorriso, a dimostrare che “non ho nulla contro di te, ma proprio non posso”…
Res publica, una mancanza di coscienza
Ma, allora, qual è il problema? Temo proprio che sia la nostra manchevole coscienza della res publica! Anche il netturbino che blocca il traffico lavora per noi, ma nessuno si sognerebbe mai di abbandonare la propria auto per approcciare un operatore ecologico e ringraziarlo: è un problema di coinvolgimento – quando sono al bar stabilisco una breve relazione col mio barista, gli comunico “sono tuo cliente!”, gli dimostro rispetto e prevedo altrettanto! L’operatore ecologico, invece, non è lì per me, o, meglio, non solo per me: è lì per tutti, per la comunità, la cosa pubblica… e ciò non ci basta!
Non ho citato a caso quest’ultimo esempio: vivendo all’estero (in Germania, per la precisione) constatato quanto differisca svolgere una mansione tra quelle terre piuttosto che nel nostro paese – c’è qualcosa di diverso nel rapportarsi di un tedesco medio ad un concittadino nell’esercizio del proprio mestiere, qualcosa che sulle prime non potei ben definire, ma che altri miei connazionali, trapiantati in terra tedesca, pure notavano: c’è rispetto! Rispetto perché quella persona (indipendentemente dal proprio ruolo, che potrebbe consistere nel riparare motori, nello spaccare pietre o nel giocare nella Bundesliga) conduce una vita onesta, mette le proprie abilità al servizio della società, condivide spazi comuni, ha interessi non necessariamente contrastanti, e, spesso, identiche radici.
Ma non mi sorprese poi molto constatare il “sentire della cosa pubblica, della res publica” – ciò che mi lasciò esterrefatto fu quanto tale emozione mi fosse estranea: l’Italia è il paese dello “io per me, e gli altri si arrangino”, dei partiti politici che rappresentano anche soltanto una porzione del paese (su discriminante geografica), di chi evade il fisco per diletto, incurante di quanto tale atteggiamento si ripercuota negativamente sulla “cosa pubblica”, e di chi vede e sta zitto! E come evitare che ti sovvenga la massima “ogni popolo ha il governo che si merita”? Quanto è applicabile tale proverbio al pacchetto Italia? Ci sono dei dovuti distinguo (ovvio), ma direi che l’espressione calza: e, allora, via ai rimborsi elettorali stragonfiati, al voto di scambio e a un sistema dove il merito è l’ultimo dei parametri da prendere in considerazione, preceduto da un’infinita sequela di “parentelismi” e nepotismi vari – tanto non importa che tutti insieme ci muoviamo sulla via del cambiamento, del miglioramento… ciò che importa è che nel mio piccolo circolo esclusivo nessuno sia scontento!
Res publica, un bene interconnesso
La res publica, in Italia, è sempre meno un “io per la comunità”, ed è sempre maggiormente un “la comunità per me”. Ma come si può invertire la rotta? Da dove si riparte? Dalla classe politica? Non ritengo necessario soffermarmi su questo o quel partito, anche perché ognuno è assolutamente in grado di osservare, riflettere e trarre da sé le proprie conclusioni – mi limito a constatare che la prospettiva non è allettante… Ma, allora, da dove? Dal cittadino? E come si spiega a chi è stato abituato a pensare che “il mio bene viene prima di quello degli altri” di essere nel torto? Come gli si comunica che, spesso, il nostro bene è, invece, interconnesso a quello degli altri? Non pretendo certo di avere formule magiche – ma, forse, si dovrebbe cominciare proprio da lì, dalla cosa pubblica, dalla considerazione che quanto diamo per scontato non lo era affatto, ma lo è divenuto grazie a chi ci ha preceduto; che “l’erba del prato del mio vicino” potrebbe essere, domani, l’erba del mio prato; che tutto ciò che ci appartiene non è soltanto nostro – anzi, ci è stato donato – e sarebbe saggio far sì che trovi uno, due, mille altri momentanei proprietari.