Per le generazioni future che apriranno un libro di storia e studieranno gli avvenimenti susseguitisi nel primo ventennio del Duemila, sicuramente la rivolta in Nepal sarà uno degli argomenti trattati.
Il Nepal è uno Stato situato in Asia meridionale, al confine tra l’India e la Cina. Ad oggi, l’ordinamento politico del Paese si configura come una democrazia, più precisamente come Repubblica Federale, eppure il Nepal ha una storia tortuosa, fatta di violenza e impregnata di sangue.
Contesto storico: dalla monarchia al massacro reale
Dall’antichità fino al XX secolo il Nepal è stato sempre sotto un controllo di tipo monarchico, finché già a partire dagli anni Novanta si era cercato di muoversi verso un cambiamento con l’istituzione della monarchia costituzionale pluripartitica. L’escalation avvenne nei primi anni Duemila, quando nel 2001 il principe ereditario Dipendra commise il cosiddetto massacro dei reali nepalesi, che provocò la morte del sovrano e di altri membri della famiglia reale, incluso lo stesso Dipendra. L’evento, che sconvolse l’opinione pubblica, portò in seguito al decadimento del governo e, nel 2006, a un’insurrezione popolare che ebbe come risultato l’istituzione della Repubblica Federale Democratica del Nepal nel 2008.
La scintilla della rivolta: la censura dei social media
Dopo alcune insurrezioni minori tra il 2015 e il 2021, specialmente da parte dei sostenitori della monarchia, è nel settembre del 2025 che ha inizio la vera e propria rivolta in Nepal. Il 4 settembre, il governo ordina la chiusura di 26 piattaforme social, considerate non conformi alle nuove norme costituzionali. Il motivo reale dietro tale scelta sarebbe però legato a un trend “nepobaby” da parte di alcuni utenti della Generazione Z, il quale mostrava e criticava la disparità economica nel Paese rapportata ai figli di politici e altri funzionari. Infatti, in base alle foto postate sui social, questi ragazzi privilegiati avrebbero accesso a una vita di lusso che l’80% della popolazione non può permettersi.
Cronaca degli scontri e la caduta del governo
In seguito al divieto, interpretato da molti come un tentativo del potere di reprimere e censurare il dissenso, l’8 settembre una buona fetta della popolazione giovanile nepalese è scesa in massa in piazza. Questa mossa riflette una tattica sempre più comune a livello globale, come documentato da organizzazioni come Human Rights Watch, per silenziare le voci critiche. La protesta si è trasformata in uno scontro violento quando la polizia ha iniziato a rispondere con il fuoco; al momento si contano più di 20 morti e oltre 300 feriti.
Il giorno successivo la folla si è diretta verso Katmandu, davanti al palazzo del Parlamento, assediandolo e dandogli fuoco. Sono stati presi di mira dai manifestanti anche abitazioni e veicoli di vari politici, un chiaro messaggio contro la corruzione e il nepotismo. Il primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli si è dovuto dimettere e le Camere sono state sciolte.
L’esito: la Gen Z elegge un nuovo governo su Discord
Oltre ad aver rovesciato un governo senza alcun leader e ad aver ripulito le strade subito dopo le proteste, la Generazione Z si è distinta per aver eletto in maniera democratica e assolutamente innovativa la nuova prima ministra del Nepal ad interim, Sushila Karki, prima donna nella storia del Paese. Le votazioni per decidere il nuovo capo di governo sono avvenute online: vari membri si sono riuniti sulla piattaforma digitale Discord e, tramite un sondaggio, hanno votato la Karki, giudicata la candidata più adeguata a combattere la corruzione.
Dunque, la rivolta in Nepal ha messo in luce un aspetto sensazionale della società contemporanea: la Generazione Z è riuscita da sola, muovendosi all’unisono, a dare voce alle sofferenze politiche, economiche e sociali di un Paese corrotto, dimostrando che grazie ai social media e a degli ideali comuni si può combattere contro il degrado e gli abusi di potere.
Fonte immagine: Wikimedia Commons (Lowersilesian)