Sandro Maddalena è un fotoreporter originario di Meta di Sorrento che si interessa dal 2014 della questione russo-ucraina.
Si definisce un fotoreporter sociale in quanto i suoi lavori sono concentrati tendenzialmente su quelle che sono le conseguenze dei conflitti sui civili. Abbiamo avuto l’opportunità di fare una chiacchierata insieme sui lati più intimi del suo lavoro che ci hanno aiutati ad avere una prospettiva più ampia e a comprendere aspetti sottili del fenomeno guerra.
Chi è Sandro Maddalena
Sandro Maddalena ha iniziato ad interessarsi di fotografia durante il corso di laurea in scenografia per il teatro. In particolare nell’ambito di un esame di fotografia, che prevedeva anche la partecipazione ad un concorso, capisce immediatamente di aver un buon rapporto con la macchina, così comincia a definirsi la passione per quella che sarà poi in effetti la fotografia sociale.
Comincia a trattare la questione russo-ucraina sin dal 2014 e riesce ad ottenere presto vari riconoscimenti nazionali ed internazionali.
L’intervista
Grazie alla conversazione con Sandro Maddalena è stato possibile, come accennato, sviscerare alcuni aspetti singolari della vita durante la guerra. Uno di questi su cui vale la pena porre l’attenzione è proprio lo stato mentale ed emotivo dei civili. La maggior parte delle persone scappa, tra chi resta nelle zone a rischio però ci sono due categorie di soggetti: da un lato quelli che sono lì perché non hanno scelta, dall’altro ci sono quelli che sarebbero disposti a perdere anche la vita pur di non abbandonare “tutto quello che hanno”.
“Magari sono persone che non sono potute fuggire dal posto o magari sono persone che avrebbero potuto teoricamente lasciare il posto in cui si trovano ma in realtà non lo fanno perché tutto quello che hanno è esattamente nel villaggio/città che si trova nella zona di guerra e quindi spostarsi significherebbe praticamente perdere tutto”.
In quel contesto cos’è tutto quello che hai?
“La scena che mi veniva in mente è proprio quella della signora anziana o della coppia di anziani (…) che comunque sono soli e che tutto quello che hanno è la casetta con il loro orticello che si sono riusciti a costruire, non lo so, in 30 anni… e lasciare quella casa per poi ricominciare una vita da profughi, in un paese straniero, all’età di 70/75 anni è chiaramente impensable”.
È quasi assurdo da pensare da un punto di vista esterno…
“Un po’ sì però per noi napoletani non è neanche così tanto assurdo, no? Ti faccio l’esempio del Vesuvio… Sappiamo tutti quanti che il Vesuvio erutterà, certo non succede oggi, non succede domani (…) però io mi chiedo, in una situazione del genere in cui ci stanno allarmi, preallarmi, io sono sicuro che tutti i ragazzi giovani, le famiglie… cercheranno di lasciare la zona, ma non sono così tanto sicuro che i “vecchietti” che abitano i paesi vesuviani saranno disposti a lasciare la loro casa, per fare che? Per vivere in un container di una regione come sfollato interno con lo stigma sociale da povero…”
È interessante pensare come soffermarsi sulla guerra possa aiutare a riflettere su dinamiche che in sostanza appartengono alla vita di tutti i giorni. La scelta di fare il compromesso col perdere tutto ciò che si ha, e talvolta può trattarsi di sé stessi, pur consapevoli che compiere un’azione diversa potrebbe consentire di evitare, in qualche modo, il rischio… è all’ordine del giorno.
Sandro Maddalena: affrontare psicologicamente la guerra
Un elemento sicuramente non trascurabile nella vita di un fotoreporter – soprattutto quando si trova a vivere situazioni complesse come quelle dei momenti di guerra – è quello della tenuta psicologica, in questo caso la chiacchierata con Sandro Maddalena è riuscita a mettere in luce due verità cruciali. La prima è che la macchina fotografica riguardo a questo sa essere un filtro importante rispetto a ciò che accade intorno,
lui dice:
“molte volte mi sono chiesto, ma se io fossi nella stessa identica situazione, vedendo le stesse identiche scene, ma senza la macchina fotografica, quale sarebbe la mia reazione emotiva e la mia reazione psicologica? E penso che sarebbe completamente diversa, quindi in primis ci sta il discorso che la macchina fotografica è proprio un filtro, cioè ti aiuta a mantenere la distanza con quello che stai fotografando (…) fa in modo che poi i conti che devi fare con quello che hai visto li farai dopo insomma, quando torni a casa, in albergo…”
L’altra verità è che quando quella famosa tenuta psicologica comincia a crollare e “comincia a sopraggiungere il panico” significa che il proprio tempo in quel posto è scaduto, il che vuol dire che nel momento in cui non si riesce più a gestire bene il tempo bisogna andare.
Progetti fotografici sull’Ucraina
Sandro Maddalena ha presentato recentemente al Dipartimento di Scienze Politiche della Federico II 3 progetti fotografici sull’Ucraina. Durante la nostra chiacchierata il fotoreporter è riuscito a fare una panoramica di quali sono stati i momenti più significativi durante la realizzazione degli stessi. Attraverso i suoi lavori Maddalena è riuscito a testimoniare snodi storici importanti di quanto accaduto nel paese sin dal 2014, come dalla rivolta di Maidan si sia arrivati a quella che è stata la vera e propria invasione del territorio ucraino.
Il progetto dove tutto è iniziato è Battle of Kiev realizzato a febbraio 2014, poi c’è Donbass Crisis che riguarda il percorso che c’è stato dall’inizio delle manifestazioni e l’occupazione dei palazzi alla risposta militare del governo ucraino (che non riesce ad essere risolutiva – come viene spiegato – per l’arrivo sempre più massiccio del supporto russo di cui Sandro Maddalena racconta nell’intervista un episodio particolare circa il battaglione Vostok).
Il terzo lavoro – Wounds – è stato realizzato invece tra marzo e aprile 2022 ed è incentrato sulla scena di distruzione che aveva lasciato l’invasione russa quando si è ritirata dai territori nella regione di Kiev in cittadine come Bucha, Irpin, Gostomel, Borodyanka.
L’ultimo lavoro invece è incentrato sulle ferrovie ucraine che hanno avuto un ruolo cruciale in tutti i momenti della guerra.
Sandro Maddalena: fare il fotoreporter oggi
Il mondo del giornalismo, si sa, sta attraversando una fase di transizione complessa, con Sandro Maddalena abbiamo avuto l’opportunità di discutere insieme di alcuni elementi determinanti del mestiere del fotoreporter oggi, sia da un punto di vista strettamente dell’informazione, sia da un punto di vista pratico/operativo. Si potrebbe dire che esiste una linea retta ai cui estremi vi sono la tempestività e la qualità dell’informazione che viene percorsa in ordine cronologico – dal lavoro di qualità – sempre di più verso la seconda, dove qualità non significa solo approfondimento ma spesso anche “punto di vista”.
Questo perché la tempestività dell’informazione non è più delegata completamente al giornalista, in questo caso al fotoreporter, ma tutti in qualche modo siamo padroni della diffusione di immagini e notizie, ed è per questo che a rendere prezioso un prodotto spesso è proprio la rarità e la singolarità, oltre che spesso la “lentezza” con cui viene portato a termine un progetto.
“Il fotoreporter non serve più a riportare la notizia (…) è importante adesso lo sguardo, approfondire, le notizie in quanto notizie sono ben più che assicurate”
Crisi del mondo giornalistico
“In Italia, come in tanti altri campi purtroppo, il livello del giornalismo è più basso che altrove, prendendo tutta una serie di parametri come il fact checking (controllo delle fonti), la diffusione, la tipologia di spazio concesso ai grandi temi internazionali (…) a volte anche proprio l’educazione delle persone del settore. Diciamo che se c’è un problema a livello internazionale in Italia poi si sente ancora più forte”
“Ci dovranno essere necessariamente dei cambiamenti nel mondo del giornalismo, nel mondo della diffusione delle informazioni, stanno già avvenendo. Però è come se in questa fase ancora di transizione avvengano in maniera un po’ brutale. Adesso c’è questa gara a chi dà la notizia prima di tutti e, non che prima non esistesse questa cosa, parlo proprio di questo eccesso di rapidità a cui ci siamo abituati (…) che rende molte volte poi il contenuto delle stesse non all’altezza. Il fatto di lavorare in maniera un pochino più lenta non è un fatto di pigrizia ma è una questione anche di cercare di lavorare in maniera più seria (…) questo secondo me è uno degli aspetti su cui si deve lavorare tanto. Mi sembra che si stia andando in una direzione in cui la rapidità sia più importante della qualità e non penso che sia una soluzione vincente”.
Questi sono soltanto alcuni degli argomenti toccati durante la conversazione con Sandro Maddalena, ma si è parlato anche di PTSD (disturbo da stress post traumatico), di Napoli e la sua rappresentazione come “un’esperienza a buon mercato del Sud America” e tanto altro.
Ma la scintilla, come si vedrà, resta sempre la stessa: l’ambizione di proporre un punto di vista per apportare dentro e intorno un cambiamento!