Chi è l’anatomopatologo e di cosa si occupa precisamente? Spesso confusa con altre figure, la sua professione è fondamentale nel percorso di diagnosi di moltissime malattie, in particolare quelle oncologiche. In questa intervista, la dottoressa Stefania Erra, direttrice del laboratorio di Istopatologia e Citopatologia della clinica Santa Rita a Vercelli, ci illustra in cosa consiste il suo lavoro.
Indice dei contenuti
- In cosa consiste la professione di anatomopatologo?
- Quando ha deciso di voler intraprendere questo percorso?
- Qual è l’aspetto più complesso del suo lavoro a livello umano?
- Ritiene sia stato fondamentale trasferirsi al Nord Italia?
- Ritiene che il suo percorso sia stato più difficile in quanto donna?
- Quali consigli darebbe alle giovani donne che sognano una carriera scientifica?
In cosa consiste la professione di anatomopatologo? quali sono le sue mansioni?
L’anatomopatologo è colui che riconosce le lesioni ed è in grado di dar loro un nome. La maggior parte dei medici clinici si interfacciano con i pazienti, ma non sono in grado di fare diagnosi di un tipo di patologia senza il supporto di esami strumentali. I medici specializzati in radiologia, medicina di laboratorio ed anatomia patologica sono gli unici ad avere il privilegio di poter guardare davvero, in maniera diretta, le lesioni. Attraverso metodiche complesse, l’anatomopatologo “lavora” il tessuto patologico, fino a farlo diventare un vetrino da osservare al microscopio ottico. È solo così che le malattie hanno una diagnosi di certezza: sulla base di questa i medici clinici decidono la terapia da attuare, in un’ottica di medicina personalizzata.
Anatomopatologo | Medico legale |
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Si occupa della diagnosi di malattie (in particolare tumori) su pazienti vivi, analizzando tessuti (biopsie) e cellule. | Indaga le cause di morte in un contesto giudiziario (crimini, incidenti), eseguendo autopsie su richiesta della magistratura. |
Il suo scopo è fornire una diagnosi precisa per orientare la terapia del paziente. Il suo interlocutore è il medico clinico. | Il suo scopo è fornire prove per un’indagine legale. Il suo interlocutore è il giudice o il pubblico ministero. |
Quando ha deciso di voler intraprendere questo percorso? cosa l’ha spinta a diventare anatomopatologo?
Ho deciso di diventare medico al liceo, per la voglia di capire e aiutare chi è malato. L’anatomia patologica è arrivata dopo, al quarto anno di medicina. Forse per i bravi docenti, o per la mia forma mentis, questa materia, difficilissima per tutti, era per me un libro aperto. Ora, dopo più di un quarto di secolo, il microscopio è diventato mio amico. Come tutti gli amici, sa consolarti, ma sa anche metterti in crisi. Come diceva una mia grande prof: “Non fai l’anatomopatologo, sei un anatomopatologo”, perché è una branca della medicina che ti trasforma.
Qual è l’aspetto più complesso del suo lavoro di anatomopatologo, a livello umano?
Sicuramente il burnout: lo vivono molti medici che gestiscono quotidianamente patologie oncologiche. Anche per noi patologi, ci sono giorni in cui referti così tanti tumori che inizi ad avere una percezione distorta della realtà, sentendo l’angoscia di essere circondata da malati. In realtà, il raziocinio ti aiuta a capire che, fortunatamente, non è così: in anatomia patologica la selezione è operata a monte, cioè arrivano prevalentemente casi già fortemente sospetti.
Ritiene sia stato fondamentale trasferirsi al Nord Italia per continuare la sua carriera?
No, non è stato necessario. Avrei trovato lavoro anche a Napoli, perché, modestamente, sono molto brava nel mio settore. Sono andata via per altri motivi, non ultima la voglia di scoprire come si lavora in altri posti. Negli anni, ho avuto molte possibilità di tornare, ma non l’ho fatto per motivi familiari: i miei figli sono nati in Piemonte e si trovano bene.
Ritiene che il suo percorso sia stato più difficile da affrontare in quanto donna?
No, perché anche se donna, ho vinto molti concorsi. Sì, perché da donna lavoratrice e dirigente ho fatto molta fatica a conciliare la famiglia con il lavoro e, soprattutto, ho lavorato più di un uomo per affermarmi professionalmente in maniera, per me, gratificante.
C’è qualcosa che vorrebbe dire alle giovani donne che sognano di intraprendere una carriera nel mondo scientifico?
In quanto docente universitario, ho notato che la maggior parte del mondo studentesco è costituito da donne: perché siamo più numerose, più riflessive, più pazienti, più caparbie. Abbiamo, insomma, quelle caratteristiche richieste dal mondo scientifico per raggiungere obiettivi importanti. E poi, la scienza è femmina!
Ringraziamo infinitamente la dottoressa Erra per essere stata con noi ed aver risposto alle nostre domande.
Informazioni sulla dott.ssa Erra
Laureata in medicina e specializzata in anatomia patologica all’Università Federico II di Napoli nel 1998. Insegna Citopatologia presso la Facoltà di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale ed è tutor aziendale per gli studenti di Biologia, Medicina e Tecniche di laboratorio. È inoltre autrice di numerosi report pubblicati su riviste nazionali ed internazionali.
Immagine di copertina: Pixabay
Articolo aggiornato il: 10/09/2025