I limiti della razionalità vanno specificati
I limiti della razionalità sembrano evidenti, ma è difficile elencarli. Non ci si può affidare unicamente alla nostra logica; la razionalità può essere fallace. Come scriveva Simon, la razionalità è limitata. Lo psicologo Miller nel 1973 scoprì che la nostra memoria a breve termine non è infinita (da qui infatti viene coniato il nome), e può immagazzinare in media solo dai 7 ai 9 dati alla volta. Tversky e Kahneman ci hanno insegnato che quasi tutti noi siamo soggetti a delle euristiche, cioè a delle distorsioni cognitive, e che la mente umana non ragiona in modo bayesiano. La ragione può ingannarci.
Sui limiti della scienza e della cultura , che risentono dei limiti della razionalità
I limiti della razionalità ci perseguitano. Nessuna scienza ormai è esatta. La fisica ha il principio di indeterminazione di Heisenberg (non si può misurare sia la velocità che la posizione di un elettrone), il principio di complementarità di Bohr (i fotoni sono onde o particelle?), la questione del determinismo o dell’indeterminismo (Dio gioca o non gioca a dadi?), i paradossi della meccanica quantistica. La matematica ha il paradosso del barbiere di Russell (si può formare la classe di tutte le classi che non contengono sé stesse, ma può questa classe contenere sé stessa?) e il teorema di incompletezza di Gödel. Tutte le scienze non hanno più un rapporto unilineare di causa ed effetto ma di multicausalità statistica e probabilistica. Le scienze umane, poi, si basano spesso su misurazioni indirette soggettive: ognuna di esse dipende dalla definizione operativa dell’ideatore del test. In linguistica, Wittgenstein considerava il linguaggio una “rappresentazione del mondo”. In filosofia, più in generale, il soggetto si autopredica, come nel paradosso del mentitore. La profezia spesso si autoavvera. La scienza, e con essa la ragione, sono in crisi.
E la letteratura? Può almeno essa salvarci o indicarci la strada maestra? Può ragguagliare? Per il grande critico e studioso Romano Luperini nel Novecento siamo passati dalla letteratura della crisi alla crisi della letteratura. I limiti della razionalità ci dominano. Da un punto di vista culturale ci siamo evoluti. Siamo dei nani sulle spalle dei giganti.
Da un punto di vista cerebrale le nostre capacità intellettive sono le stesse dei primi Homo Sapiens che vivevano nelle caverne. Abbiamo ancora quello che i neuroscienziati chiamano il cervello rettile, la parte neurale meno evoluta, che ci conduce all’emotività, all’aggressività, alla violenza. Sarà forse per questo che è avvenuto il progresso scientifico e tecnologico, ma non quello storico e ambientale. I limiti della razionalità ci possono far fare naufragio anche questa volta.
A essere troppo pratici e ad affidarsi troppo all’esperienza si rischia di fare come il tacchino induttivista di Russell, che pensava di mangiare tutti i giorni, anche per la vigilia di Natale, e invece quel giorno fu sgozzato. A essere troppo teorici si rischia di fare la fine di Talete, che a forza di guardare le stelle finì in un pozzo e si sorbì il riso della serva trace; oppure, peggio ancora, a forza di meditare troppo si rischia di fare la fine di Empedocle che, dopo anni di riflessioni, si credette immortale e si gettò nell’Etna. I limiti della razionalità ancora una volta ci mettono in crisi. Siamo pieni di limiti conoscitivi, empirici ed esistenziali. In filosofia ci vorrebbe una metafisica dei limiti. Le religioni stesse invano ci ammoniscono continuamente sui nostri limiti: la ragione è poca cosa, la carne è debole, siamo tutti mortali. La società odierna invece ci fa dimenticare tutto ciò, ci distrae continuamente, inneggiando al consumismo, al divertimento, alla futilità, alla ricerca del piacere e dei comfort.
I nostri limiti ontologici e metafisici
Tutto questo è osservato da un punto di vista puramente gnoseologico. Per quanto riguarda piano ontologico? Aristotele sosteneva che l’essere si dice in molti modi e infatti l’ontologia antica e contemporanea ha stratificato, suddiviso l’essere in una serie di categorie. Sempre nell’ambito della stessa logica, cosa dire della deiezione di Heidegger? Chi ci ha gettati nel mondo e perché? Chi ci ha dato, più prosaicamente, il nostro DNA e l’ambiente in cui siamo cresciuti? E perché gran parte della nostra vita è inautentica?
Nessuno sa rispondere con certezza assoluta a quelli che Popper chiama gli interrogativi ultimi: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? A livello metafisico, sappiamo forse con certezza assoluta se esiste Dio, se abbiamo un’anima e se c’è un’altra vita dopo la morte? Tutto ciò è avvolto nel mistero, nel dubbio. La ragione non è sufficiente. I limiti della razionalità ci dominano. Non sappiamo neanche cosa alberga nel nostro animo. Come scrisse Geremia – Il cuore è ingannevole più di ogni cosa.
Neanche sappiamo con certezza cosa è giusto e sbagliato, dove sta il bene e dove il male. Come scrisse Pascal, la morale, la legge e persino la religione cambiano di latitudine e di longitudine. Ancora una volta la ragione non basta. Ancora una volta spuntano i limiti della razionalità. La razionalità può portarci fuori strada. Ogni segno può rimandare ad altri, ogni linguaggio può rinviare ad ulteriori, in un continuo gioco di specchi che si rimandano tra di loro, in un’infinita messa in abisso: questo ce lo insegnano i religiosi e i decostruzionisti.
Il soggetto cartesiano non esiste più. Ricoeur definì Nietzsche, Marx, Freud i maestri del sospetto. Marx ci insegna che le sovrastrutture della nostra coscienza sono determinate dalle strutture economiche; Nietzsche distrugge la metafisica platonica e cristiana, smaschera la genealogia della nostra morale, annuncia la morte di Dio; Freud ci insegna che parte della nostra vita è inconscia e che l’Io non è padrone a casa propria, che è tra il martello dell’Es e l’incudine del Super-Ego. Insomma la ragione è inadeguata. I limiti della razionalità ci sovrastano. Popper paragonava la conoscenza umana a una palafitta costruita su una palude.
I limiti esistenziali e il senso da dare alla vita
Zanzotto scriveva e diceva che nella vita bisogna spesso fare come il Barone di Munchhausen, che si tira fuori dalle sabbie mobili, afferrandosi per i propri capelli. E come si riesce in tale impresa? Anche qui la ragione subisce lo scacco matto.
A livello esistenziale, le cose quindi non vanno meglio. Ci sono aspetti che dipendono da noi e altri che non dipendono da noi, ma spesso è difficile distinguerle. Come scrisse ne La preghiera della serenità il teologo protestante Niebuhr: «Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza».
La ragione fallisce ancora. I limiti della razionalità ci dominano ancora. Gli esistenzialisti sostenevano che uno dei grandi problemi dell’uomo contemporaneo fosse l’angoscia della scelta. Adorno, filosofo e sociologo della scuola di Francoforte, scrisse che la scelta è tra crepare o crepare. In definitiva c’è la morte che nullifica ogni poter essere. Camus scrisse Il mito di Sisifo, un saggio illuminante contro il suicidio, fondamentalmente. La sostanza è che la nostra ragione si trova continuamente superata dell’assurdo, da ciò che sfugge alla nostra comprensione, da ciò che supera la nostra intelligenza. Insomma l’interpretazione/comprensione del mondo è una fatica di Sisifo. Dostoevskij fa dire a uno dei fratelli Karamazov: «Posso anche credere in Dio, ma non posso accettare questo mondo assurdo». Invece, per Camus, il segreto sta nell’accettare l’assurdità del mondo, l’insensatezza dell’esistenza. Che poi l’esistenza in sé e per sé è assurda, ma come scrive H.Hesse, spetta a noi darle un senso, attribuirle un significato preciso…e qui si chiude il cerchio.
Video di una conferenza del professor Umberto Galimberti sui limiti della razionalità
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