Alfabeto georgiano: origini, caratteristiche e sviluppo

Ci sono alfabeti che sembrano disegnati per restare nascosti, come il glagolitico, l’ogham o il tifinagh. Altri che si impongono con la forza di una norma globale, se pensiamo a quelli più diffusi, come quello latino, il cirillico o l’arabo. Poi ci sono scritture come il georgiano, che non assomigliano a nulla, ma proprio per questo si fanno ricordare. Lo guardi per la prima volta e ti chiedi se sia una danza calligrafica o un codice cifrato. È morbido, rotondo, a tratti ipnotico. Eppure, dietro quella dolcezza grafica, c’è una storia lunga millenni fatta di sopravvivenza, isolamento e orgoglio nazionale. Una panoramica sulle origini, le caratteristiche e lo sviluppo dell’alfabeto georgiano.

Vista sulla capitale georgiana Tbilisi. Fonte immagine: Wikipedia (Boris Kuznetsov)

Georgia: un ponte tra montagne, imperi e alfabeti

La Georgia non è Europa, ma nemmeno Asia. È Caucaso: una parola che evoca confine. Un luogo sospeso, dove le civiltà si sono sfiorate senza mai sovrapporsi del tutto. Cristiana già dal IV secolo, circondata da mondi musulmani, minacciata da imperi più grandi (persiano, bizantino, ottomano, russo), la Georgia ha sempre difeso un’identità tenacemente autonoma.

Questa autonomia ha trovato il suo baluardo più duraturo proprio nella lingua e nella scrittura. Il georgiano non si parla fuori dalla Georgia. Eppure si scrive, si canta, si incide da secoli, senza interruzioni, con un alfabeto che non somiglia a nessun altro. Una forma visiva di resistenza. Un codice intimo di appartenenza.

Alfabeto georgiano
La Georgia evidenziata in arancione sulla mappa. Fonte immagine: Wikipedia

Alfabeto georgiano: isolato, come il suo popolo

Il georgiano appartiene a una famiglia linguistica sui generis e poco conosciuta: la cartvelica. Questo ramo è parlato praticamente solo nel Caucaso meridionale. Nessuna parentela diretta con le lingue indoeuropee, né con le semitiche, né con le turche. Rappresenta quindi un mondo a sé, chiuso tra montagne, valli e confini sempre minacciati. Proprio per questo, sviluppare un proprio sistema di scrittura fu un atto non solo culturale, ma esistenziale. Non è un caso che secondo la tradizione la scrittura georgiana sia stata “rivelata” dal cielo, e non semplicemente inventata.

Tre alfabeti, una sola lingua

Parlare di “alfabeto georgiano” è, in realtà, una semplificazione. Ne esistono tre varianti storiche:

  • Asomtavruli, l’antico, solenne, usato in testi religiosi medievali;
  • Nuskhuri, più corsivo, spesso in combinazione con l’Asomtavruli nei testi ecclesiastici;
  • Mkhedruli, l’alfabeto moderno, usato oggi nella scrittura corrente.

Il passaggio non è stato brusco. I tre sistemi sono stratificati nel tempo, come livelli archeologici: il sacro, il cerimoniale, il quotidiano. E ciò che colpisce è che non sono mai coesistiti in conflitto, ma come parti di un tutto, proprio come la lingua georgiana ha mantenuto una coerenza profonda nei secoli, pur passando tra imperi, occupazioni e rivoluzioni.

Le lettere dell’alfabeto georgiano moderno, il Mkhedruli, con l’ordine dei tratti e la direzione di ciascuna lettera. Fonte immagine: Wikipedia

Caratteristiche: cosa lo rende unico

Il Mkhedruli, oggi in uso, è composto da 33 lettere (dopo che alcune sono state eliminate nel XX secolo) e non distingue maiuscole e minuscole. La sua grafia è:

  • tonda e fluida, come se ogni lettera fosse parte di una danza senza angoli;
  • priva di segni esterni: niente accenti, niente segni diacritici;
  • fonemica: ogni lettera corrisponde a un suono, senza ambiguità.

In una parola: coerente. In un’epoca in cui il latino è pieno di eccezioni, il cirillico di regole arbitrarie, e l’arabo di segni che cambiano forma a seconda della posizione, il georgiano si mostra lineare, deciso, quasi minimale. Ma mai banale. Nel georgiano originario, come già anticipato, non esistono lettere maiuscole, né distinzioni grafiche tra forme alte e basse. La punteggiatura è stata introdotta solo in epoca moderna, con l’influenza delle lingue europee. Di seguito, un video che mostra le parole più utili della lingua georgiana:

Alfabeto come atto politico

La diffusione dell’alfabeto fu strettamente legata alla conversione della Georgia al cristianesimo. La lingua scritta divenne subito lingua liturgica, alternativa al greco e al siriaco, e strumento di costruzione identitaria.

Durante l’Impero russo, e poi nell’Unione Sovietica, si tentò più volte di rimpiazzare il georgiano con il cirillico, come avvenne con molte altre lingue del Caucaso e dell’Asia Centrale. Tutti questi tentativi, però, fallirono. Anche quando tutto il resto cambiava (bandiere, confini, governi, a tratti anche usi e costumi), la scrittura rimaneva. Era il punto d’appoggio di un’identità collettiva profonda, il modo in cui un popolo non smetteva di riconoscersi, di leggere la propria storia in sé stesso. Un baluardo contro l’invasore russo.

Ancora oggi, l’alfabeto e la lingua georgiani rappresentano un elemento di resistenza contro il governo filorusso: durante le proteste del 2024–2025, proprio le curve dell’alfabeto Mkhedruli sono apparse ovunque, sugli striscioni, sui social, sui muri, come simbolo visibile di un’identità che non si lascia tradurre o sottomettere. Il governo georgiano filorusso, guidato dal partito al potere Sogno Georgiano, è stato infatti percepito come sempre più autoritario e vicino agli interessi del Cremlino, in contrasto con la volontà popolare di avvicinamento all’Unione Europea.

Proteste a Tbilisi, la capitale georgiana, nel novembre 2024. In basso, le lettere georgiane si impongono in uno striscione tra due bandiere: quella georgiana e quella dell’Unione Europea. L’identità di un popolo passa anche dalla scrittura. Fonte immagine: Wikipedia (Jelger Groeneveld)

Alfabeto georgiano: un sistema che resiste al tempo

Oggi il georgiano si scrive ovunque: sui cartelli stradali, sulle etichette del vino, nelle canzoni pop, nei romanzi contemporanei. È una lingua viva, e il suo alfabeto non è un reperto da museo, ma uno strumento quotidiano. Eppure, guardandolo, si ha sempre la sensazione che conservi qualcosa di sacro, come se ogni parola scritta fosse anche una piccola invocazione, un atto di fedeltà alla memoria.

In Georgia anche il canto ha forma scritta. La tradizione millenaria del canto polifonico, trasmessa per secoli a voce, ha trovato nell’alfabeto georgiano il suo spazio fisso: le voci si intrecciano come lettere, e le lettere conservano l’eco di quelle voci. È una tradizione millenaria, trasmessa oralmente e praticata in contesti sia religiosi che profani: nei monasteri, nei villaggi, nelle cerimonie familiari o nei brindisi rituali (supra). Nel 2001 è stato inserito dall’UNESCO tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell’Umanità, come uno dei sistemi musicali più antichi e distintivi del mondo.

Anche se non sai leggere il georgiano, ti fermi a guardarlo. È una scrittura che si fa guardare, che ha un’estetica propria, un’eleganza raffinata, una voce muta ma eloquente. Non ti invita neanche a decifrare: ti invita ad ammirare e rispettare. È l’alfabeto di un popolo che ha scelto di essere sé stesso nella forma, prima ancora che nel contenuto.

E oggi, mentre in Georgia tornano a riempirsi le piazze per difendere la libertà, proprio la lingua e l’alfabeto diventano ancora una volta strumenti di affermazione identitaria. In un mondo dove i confini si fanno digitali e le pressioni esterne si moltiplicano, scrivere in georgiano è ancora un gesto politico. E non è un caso che, nelle proteste contro il governo e la legge “filorussa”, i cartelli più fieri siano scritti proprio con quelle curve antiche. Perché in ogni lettera c’è la memoria di sé.

Fonte immagine in evidenzia: Wikipedia (Buba Kudava)

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