Caravaggio a Napoli: il genio in fuga

Caravaggio a Napoli

Essere condannati a morte in contumacia dallo Stato Papale non è da tutti, eppure, Caravaggio è riuscito anche in questo. Caravaggio a Napoli ci è arrivato durante la sua latitanza, lasciando dietro di sé una scia di opere inestimabili, che lo hanno reso uno degli artisti più importanti al mondo e che testimoniano il suo genio irrequieto.

La storia di Caravaggio e la sua arte

Michelangelo Merisi, noto a tutti come Caravaggio, è nato il 29 settembre del 1571 a Milano ed è stato uno degli artisti più amati e conosciuti nella storia. La sua formazione artistica iniziò in Lombardia, ciononostante fu principalmente attivo a Roma. Arrivato nella capitale, iniziò a svolgere piccoli lavori su commissione o per botteghe, fino a quando venne notato dal cardinale Francesco Maria del Monte che lo introdusse negli ambienti più nobili.

La sua vita ebbe una svolta tragica quando venne coinvolto nel 1606 nell’omicidio di Ranuccio Tomassoni, per un probabile fallo a pallacorda. Era risaputo che il pittore lombardo fosse impulsivo e aggressivo; tuttavia l’uccisione dell’uomo lo condusse al punto di non ritorno perché fu condannato a morte dallo Stato Pontificio. Di conseguenza, lasciò Roma e scappò a Napoli perché era fuori dalla giurisdizione papale (faceva parte del Regno di Napoli, uno stato autonomo del Regno di Spagna) e dunque un rifugio relativamente sicuro. In seguito andò a Malta, Sicilia e infine di nuovo a Napoli. Nonostante le complicanze, continuò a dipingere; l’evento segnò profondamente il pittore e le sue opere che diventarono più cupe e drammatiche.

Caravaggio era vicino a ottenere il perdono papale, quando nel luglio del 1610, in Toscana, venne scambiato per un altro ricercato e arrestato. Fu rilasciato poco dopo, ma una delle ipotesi più accreditate è che morì di malaria prima di poter fare ritorno a Roma.

La sua arte si contraddistingue per diversi aspetti:

  • l’unione del sacro e del profano, del divino e dell’umano;
  • il chiaroscuro, di cui divenne l’esponente più rinomato (si parla addirittura di tenebrismo);
  • Il realismo, rappresentava le scene in maniera del tutto veritiera senza alcun abbellimento;
  • continuità del dipinto. Le figure erano spesso ritagliate ai bordi per indicare un continuo “al di fuori” della cornice;
  • forte introspezione psicologica nei personaggi.

Caravaggio a Napoli ha creato cinque opere meravigliose: 

  • Le Sette Opere di Misericordia (1606-1607) a Pio Monte della Misericordia, Napoli;
  • Flagellazione di Cristo (1607-1608) al Museo nazionale di Capodimonte, Napoli;
  • Salomè con la testa del Battista (1609-1610 circa) al National Gallery, Londra;
  • Davide con la testa di Golia (1609-1610 circa) alla Galleria Borghese, Roma;
  • Negazione di San Pietro (1609.1610) al Metropolitan Museum of Art, New York.

Le opere di Caravaggio presenti a Napoli

Le Sette opere della Misericordia è stato il primo dipinto olio su tela che Caravaggio ha realizzato durante il soggiorno a Napoli. La celebre opera ha influenzato fortemente tutta la pittura del Seicento e in particolare quella napoletana, tanto da parlare della corrente del caravaggismo napoletano

Per capire appieno la storia dietro questo dipinto, dobbiamo introdurre uno dei fondamenti alla base della religione cristiana narrato ne Il Giudizio Finale, dal Vangelo di Matteo (Mt 25:31-46). Nel brano, Gesù si rivolge ai suoi discepoli e racconta, tramite la metafora delle pecore (i giusti) e delle capre (i peccatori), del giudizio finale basato sulla valutazione dei gesti di carità compiuti da un individuo nel corso della propria vita. Naturalmente, coloro che sono stati caritatevoli verso il prossimo otterranno la vita eterna, coloro che invece non lo sono stati saranno condannati come peccatori. 

L’artista aveva il compito di rappresentare tutte le sette opere di misericordia corporali in un unico quadro, nonché: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, seppellire i morti, visitare i carcerati e visitare gli infermi. Caravaggio riuscì a rappresentare tutti i personaggi in maniera estremamente dinamica, con un intreccio dei corpi inimitabile.

I personaggi sono ispirati da persone reali poste in un ipotetico scenario partenopeo, per enfatizzare la non idealizzazione e per rendere la scena del tutto realistica. Il suo intento era quello di rappresentare le opere di misericordia messe in atto dall’uomo senza alcun intervento divino, infatti, sono presenti solo la Madonna, il Bambino e gli angeli a osservare e benedire la scena dall’alto. Lo sfondo è volutamente molto scuro così da mettere in risalto le azioni rappresentate e le espressioni dei personaggi.

La tela piacque così tanto alla Congregazione del Pio Monte, che anni dopo stabilirono che non potesse essere venduto a nessun prezzo e che si dovesse conservare nella suddetta chiesa.

La Flagellazione di Cristo a differenza delle Sette Opere di Misericordia, non fu commissionata da un’istituzione benefica, ma da Tommaso de’ Franchis appartenente a una delle famiglie più influenti di Napoli. Venne richiesta per la cappella della chiesa di San Domenico Maggiore di Napoli, tuttavia dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, venne portato per ragioni di sicurezza al Museo di Capodimonte.

I personaggi e l’intera scena ruotano attorno alla colonna dove hanno legato Cristo, in procinto di essere flagellato, e ai suoi lati gli aguzzini. Il punto focale del dipinto è il corpo di Cristo e la sua sofferenza fisica e spirituale, ed è esattamente per questa ragione che Caravaggio ha voluto rappresentare gli attimi prima della tragedia per rendere l’iconografia ancora più spietata.

Caravaggio si ispira al dipinto Flagellazione di Sebastiano del Piombo (Roma) per la disposizione dei personaggi e per l’assenza degli abiti classici dei soldati romani; la differenza sta nella caratterizzazione dei personaggi, se nel dipinto romani gli aguzzini sono uomini costretti a svolgere un lavoro, in quello napoletano ci sono due interpretazioni diverse: se da un lato sembrano privi di espressione, dall’altro appaiono come consapevoli di ciò che stavano per compiere e nascondono i loro turbamenti con un’apparente freddezza. Inoltre, è interessante la scelta degli abiti contemporanei, probabilmente per rendere la scena coeva al suo tempo, umanizzandoli, senza però privare il quadro della sua sacralità.

Il chiaroscuro è onnipresente e la luce è esageratamente puntata sul corpo di Cristo per renderlo l’unico protagonista. Caravaggio lo rappresenta certamente sofferente, ma sempre dignitoso e rassegnato al suo destino. 

A differenza dell’opera precedente, non è costruita attorno a tante scene ma su un unico potente evento.

L’influenza napoletana

Nel Seicento, Napoli era una delle città più grandi e influenti in Europa, ed era un concentrato di culture e differenze sociali. L’ambiente, nel bene e nel male, influenzano fortemente il pittore e il suo stile. A Napoli, le commissioni erano legate spesso alla religione o confraternite, cosa gradita da Caravaggio dato che ambiva a rappresentare il sacro nel quotidiano. 

Già durante il suo soggiorno a Roma faceva un grande uso del chiaroscuro, tuttavia a Napoli c’è un’intensificazione dell’utilizzo della tecnica, e le scene diventano più cupe, gli sfondi quasi del tutto neri, e inizia a mettere in risalto quasi esclusivamente i personaggi e i loro corpi. Prende ispirazione dalla vita di strada partenopea e i modelli che ritrae sono spesso segnati dalla fatica e dal pathos. È presente una forte meticolosità nei dettagli per rendere i dipinti più toccanti per il popolo.

Pittori come Battistello Caracciolo e Massimo Stanzione (da cui sono nate anche le omonime via a Napoli) furono influenzati dal realismo, dalla drammaticità di Caravaggio e reinterpretarono  la sua arte e la rinnovarono, dando vita a una corrente tutta napoletana che ha dominato la scena artistica per decenni.

 

Fonti: Ottavio LeoniWikicommons; Wikicommons

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