Cecco Angiolieri, poeta senese attivo tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300, è una tra le voci più dissonanti, ironiche e trasgressive del suo tempo, in netto contrasto sia con le convenzioni sociali (e familiari) che con i poeti della lirica amorosa “alta” (quelli dello Stilnovo) come Dante, Guinizzelli e Cavalcanti. La sua produzione poetica, seppur limitata (poco più di cento sonetti), restituisce l’altro aspetto della realtà medievale, quella delle locande, delle donne e del gioco, seguendo il filone della poesia “goliardica”, “giocosa”, con l’utilizzo di un linguaggio diretto e dissacrante che lo rende uno dei poeti più veri e ribelli del Medioevo.
Vita e contesto storico
Le notizie che si hanno su Cecco Angiolieri sono scarse e abbastanza frammentarie, ma quelle che ci sono arrivate permettono di ricostruire alcuni tratti salienti della sua vita ma soprattutto della sua personalità: proveniente da una famiglia guelfa benestante di Siena, il padre Angioliero fu un banchiere molto attivo nei commerci e legato alla curia pontificia. Cecco deve aver avuto esperienza di vita universitaria, forse a Bologna, perché conosceva le poesie di Cavalcanti e scrisse tre testi giocosi a Dante; fu soldato nelle guerre di Siena contro Firenze (durante le quali probabilmente conobbe Dante) e fu più volte multato e processato: dall’allontanamento senza permesso dal campo di battaglia nei pressi di Roccastrada, alle multe per aver violato il coprifuoco, fino all’implicazione in risse e aggressioni (qualcuno dice anche in un omicidio). Alla morte del padre, Cecco riuscì a sperperare tutti i beni ereditati; successivamente contrasse talmente tanti debiti che, alla sua morte, i suoi cinque figli rinunciarono all’eredità.
Cecco Angiolieri e le due polarità di letteratura e vita
Cecco Angiolieri è un poeta così caratterizzato che è difficile decifrare il punto che divide la realtà del dato biografico dall’identità poetica: i poeti sono “fingitori”, adottano un genere (in questo caso quello comico-realistico, che è quello più satirico); quindi vogliono evidentemente divertire, rifacendosi tra l’altro ad una tradizione come quella dei Carmina Burana o delle poesie universitarie. Ciò però non significa che si tratti solo ed esclusivamente di “invenzione”: come nel caso di Dante, Beatrice è realmente esistita e Dante è stato effettivamente innamorato di lei, così come Cecco di Becchina. Così, molte delle figure e delle immagini di Cecco sono sicuramente costruite per riuscire a fornire al lettore tutti gli strumenti necessari a indirizzarlo verso il suo messaggio poetico.
La poesia di Cecco: un’arte provocatoria
«Tre cose solamente mi so ‘n grado / le quali non posso ben men fornire, / ciò è la donna, / la taverna e ‘l dado, / queste mi fanno ‘l cuor lieto sentire». Questi versi riassumono il tipo di poetica comico-realistica di Cecco: muovendosi in linea parallela e contrapposta a quella del Dolce Stilnovo, questo tipo di produzione protesta contro quell’eccessiva idealizzazione della filosofia, dell’intellettualismo e soprattutto dell’amore tipiche della corrente “alta”, concentrandosi sugli elementi della realtà quotidiana (caratterizzata dalla donna, come sessualità; dal divertimento con la taverna e il vino; e il gioco, con il dado). Inoltre, così come Dante aveva la sua Beatrice, anche Cecco aveva la sua donna: Becchina. Figlia di un conciatore di pellami, Becchina è l’irraggiungibile oggetto del desiderio di Cecco, espressione di un amore curvato sugli aspetti più bassi della sensualità, quindi una sorta di anti-Beatrice. Erano questi gli espedienti poetici con cui Cecco sembra voler rovesciare e ridicolizzare la poetica stilnovista: laddove Dante decanta l’amore come via verso Dio, Cecco scrive: «S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo; / s’i’ fosse vento, lo tempestarei; / s’i’ fosse acqua, i’l’annegherei; / s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo» immaginando una serie di trasformazioni di sé in forze della natura o di elementi potenti che userebbe per distruggere tutto ciò che lo circonda e lo opprime, con un tono apocalittico e sarcastico, ma anche teatrale e ludico, rendendo la figura del poeta uno strumento di rabbia universale. Nella sua produzione non mancano poi le invettive, attraverso le quali non fa sconti a nessuno: il padre, che vorrebbe assolutamente vedere morto perché, pur essendo uno degli uomini più ricchi di Siena, non sostiene economicamente il figlio; seguono la moglie, le donne amate e lo stesso Dante. Le sue invettive si rivolgono anche a concetti astratti come la povertà, la virtù e la nobiltà, dipingendo un mondo con delle tinte pessimistiche perché governato da fame, sesso e denaro. Cecco non risparmia neanche sé stesso: in alcune composizioni il poeta offre un ritratto della sua persona grottesco e degradato: si descrive povero, brutto, sfortunato e dedito ai piaceri e all’ozio, sempre in conflitto con tutto e tutti — rivendicando però con forza il desiderio di libertà di essere sé stesso e rifiutando ogni tipo di ipocrisia, anche nel male e nel ridicolo.
Cecco Angiolieri e Dante
Non si hanno prove documentarie che i due poeti si siano effettivamente incontrati o abbiano avuto modo di interagire, ma è verosimile che si siano conosciuti o quanto meno fossero a conoscenza l’uno dell’altro. Cecco scrisse alcuni sonetti in cui nomina Dante direttamente, ma in tono satirico e polemico e questo ha fatto pensare ad un probabile rapporto e conoscenza tra i due poeti; altri invece suppongono che i versi rivolti a Dante siano in realtà solo esercizi letterari, come era consuetudine tra i poeti dell’epoca. Di fatto il “rapporto” tra Dante e Cecco resta uno dei nodi più interessanti della letteratura in quanto rappresentano due modelli antitetici della poesia medievale: Dante è il cantore della trascendenza e dell’ordine divino, Cecco è il poeta dell’immanenza e del disordine umano, un dialogo poetico quindi tra idealismo e realismo.
Conclusione
Cecco Angiolieri, insieme con Rustico di Filippo, ha rovesciato la poesia “alta” in “bassa”. Ha creato uno spazio di espressione poetica dedicato alla vitalità giocosa, dissipata dall’eros, tra il gioco e la vita di taverna. Ha trasformato il modello di donna-angelo in una popolana brutta e volgare, facendo confluire una certa tradizione misogina e l’enumerazione dei vizi tra i suoi versi. Anche i tratti malinconici hanno spazio nelle creazioni di Cecco: non si tratta però della malinconia tipica della “malattia dell’amore”, ma della privazione del denaro, dell’emarginazione sociale in un mondo dalle regole dure e senza possibilità di riscatto. La sua libertà espressiva e onestà lo rendono assolutamente attuale: attraverso quelle immagini poetiche così crude e realistiche, Cecco ci parla di autenticità e critica verso il conformismo, di quel desiderio di libertà di affermare la propria identità a prescindere da convenzioni e apparenze, e questo tipo di messaggio, che arriva dal Medioevo, è sorprendentemente e straordinariamente prezioso.
Fonte immagine di copertina: Wikimedia Commons – Miniatura di artista francese, Decameron (Nona giornata, quarta novella), 1425-1450.