Chi è il malessere: tra cultura napoletana e letteratura

Chi è il malessere: tra cultura napoletana e letteratura

Quella del malessere è una figura che nell’anno 2023 ha avuto una notevole risonanza nella cultura napoletana, e non solo, imperversando su social come Instagram e TikTok, tra reel, video, canzoni, foto e post con dediche.

Ma, esattamente, cosa significa essere un malessere

Secondo alcune teorie, il termine malessere ha avuto i suoi esordi grazie al successo dei protagonisti maschi della serie Mare Fuori, etichettati appunto come malesseri in tanti TikTok. Il malessere altro non è che un ragazzo bello, affascinante, geloso, possessivo, manipolativo e controllante; uno di quelli che fa scenate di gelosia, le così dette tarantelle, se viene a sapere che la sua ragazza è andata in discoteca senza di lui, o è vestita in un modo che lui non approva, o ancora si permette di parlare e di farsi vedere con un essere umano di genere maschile che non sia lui. In termini meno dialettali: un narcisista. L’utilizzo di parole come malessere e narcisista sta diventando sempre più inflazionato tra i giovani di oggi, a volte pronunciate con cognizione di causa, altre volte per stereotipare il genere maschile, altre ancora dette per gioco e con una certa fierezza. La psicoanalisi, a seconda della gravità del problema, ci offre diverse tipologie di narcisismo, da quella più sana, legata semplicemente a tratti della personalità, a quella più patologica, dove il narcisismo non è più un concetto sociale e culturale che interessa l’intera umanità, bensì un vero e proprio disturbo. L’obiettivo che si prefigge il seguente articolo non è quello di definire il malessere in termini psicoanalitici, ma di riportare alla memoria come questi sia sempre esistito, e non solo nella cultura napoletana.

Vediamo insieme 2 dei tanti esempi di malessere che la letteratura ci propone: 

Tomàš: il malessere epico 

Tomàš è il protagonista del romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere scritto da Milan Kundera nel 1982, e ambientato intorno al 1968, in una Praga che oppone resistenza al Comunismo. Kundera definisce il suo personaggio un donnaiolo epico:

«Gli uomini che inseguono una moltitudine di donne possono facilmente essere distinti in due categorie. Gli uni cercano in tutte le donne la donna dei loro sogni, un’idea soggettiva e sempre uguale. Gli altri sono mossi dal desiderio di impadronirsi dell’infinita varietà del mondo femminile oggettivo. L’ossessione dei primi è lirica: nelle donne essi cercano sé stessi, il proprio ideale, e sono sempre e continuamente delusi perché l’ideale, com’è noto, è ciò che non è mai possibile trovare. Poiché la delusione che li spinge da una donna all’altra dà alla loro incostanza una sorta di scusa romantica, molte donne sentimentali sono commosse dalla loro ostinata poligamia. L’altra ossessione è un’ossessione epica e in essa le donne non trovano nulla di commovente: l’uomo non proietta sulle donne alcun ideale soggettivo, perciò ogni cosa lo interessa e nulla può deluderlo […] Nella loro caccia alla conoscenza, i donnaioli epici (e a questa categoria appartiene ovviamente Tomàš) si allontanano sempre di più dalla bellezza femminile convenzionale, della quale si stancano presto, e finiscono irrimediabilmente per diventare dei collezionisti di curiosità».

Questo è Tomàš, un donnaiolo, oggi diremmo malessere, epico. Un ingordo cacciatore di donne che considera le sue avventure sessuali come tante piccole conquiste, mentre a casa ad attenderlo c’è Tereza, l’unica donna che, a detta di Kundera, occupa lo spazio della memoria poetica di Tomàš: «Si direbbe che nel cervello esista una regione del tutto particolare che si potrebbe chiamare memoria poetica e che registra ciò che ci affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita. Da quando lui ha conosciuto Tereza, nessuna donna ha il diritto di lasciare in quella parte del suo cervello foss’anche la più fuggevole impronta».

Tereza è consapevole dei tradimenti seriali del suo compagno, quello stesso uomo che dorme accanto a lei ogni notte, pronto a stringerla a sé per rassicurarla di essere la più importante tra tutte. Lui è leggero, lei è pesante. Tomàš vorrebbe che Tereza imparasse ad essere più leggera, e nel tentativo di accontentarlo, lei non fa altro che reprimere la sua tristezza e gelosia, sentendosi costantemente in colpa per i sentimenti che prova, a causa dei quali pensa di essergli di peso. Tereza prova ad andarsene, lasciandolo con una lettera, ma lui, dopo vari ripensamenti, la raggiunge. Lui crede di amarla. Lei crede, o almeno le piace credere, di essere davvero l’unica.

Otello: il malessere che uccide per amore 

Otello è una tragedia di Shakespeare, scritta all’inizio del XVII secolo, anche definita tragedia della parola, perché sono proprio le parole a mettere in scena un teatro di bugie vestite da verità, che convertiranno la commedia in tragedia. Otello è un turco, per questo detto anche moro, uomo dalle mille gesta valorose, al servizio della repubblica di Venezia. I racconti dei suoi viaggi e delle sue battaglie conquistano la bella Desdemona che, all’insaputa del padre, decide di sposarlo di nascosto. Il loro è un amore che presto verrà meno a causa delle false voci che Iago, alfiere di Otello, inizia a diffondere riguardo Desdemona ed il suo caro amico Cassio. Otello, che all’inizio della storia viene presentato come un uomo dominante, rude, valoroso, coraggioso e forte, si rivela essere debole e insicuro. La sua identità è facilmente scalfibile dalle parole di Iago, che lo inducono a dubitare del suo valore e dell’amore che Desdemona prova per lui.

La tragedia di Otello, o la tragedia di un malessere? 

Otello inizia a credere che Desdemona lo tradisca e, ferito nell’orgoglio, si prepara ad ucciderla, perché se non può essere più sua, allora non sarà di nessun altro; perché se un problema non può essere accettato, allora è meglio eliminarlo, senza alcuna possibilità di ritrattazione. Desdemona non riesce ancora a credere che l’uomo che tanto decantava davanti alla sua dama di compagnia, le abbia dato uno schiaffo, per giunta davanti ad un suo parente, allora escogita un modo per ammansirlo, e quale alternativa ha se non quella di usare il suo corpo? Se non far preparare la loro camera, per ricordare le notti in cui si sono amati? Eppure sarà proprio quella stanza a diventare la sua tomba. Otello la uccide, ma quando scopre la sua innocenza, decide di porre fine anche alla sua stessa vita.

«Vi prego, quando riferirete questi eventi sfortunati, parlate di me quale sono: non attenuate nulla né dite alcunché con malizia. E allora dovrete parlare di uno che amò non saggiamente ma all’eccesso; di uno non facilmente geloso ma che, istigato, fu confuso all’estremo; di uno la cui mano, come il barbaro indiano, gettò via una perla più ricca di tutta la sua tribù; di uno i cui occhi abbassati, per quanto non adusi alle lacrime, le fanno cadere veloci come gli alberi di Arabia le loro gocce di resina salutare. Questo scrivete e dite inoltre che una volta, ad Aleppo, quando un turco malvagio e col turbante batté un veneziano e offese lo stato, io presi per la gola il cane circonciso e lo finii, così». Dice Otello poco prima di pugnalarsi, ancora aggiungendo: «Ti baciai prima di ucciderti. Non c’è altra strada che questa, uccidermi e morire su un bacio», mentre si lascia cadere sul letto accanto a lei. Più malessere di così, appunto, si muore!

Non sempre si ha il potere di evitare un simile destino, ma sicuramente si ha il potere e la libertà di informarsi, lasciarsi educare, mettersi in discussione ed impegnarsi a diventare una persona migliore, affinché si possa vivere quanto più lontano possibile dall’essere un nuovo Tomàš/Otello e una nuova Tereza/Desdemona; in altre parole, quanto più lontano possibile dall’essere e dal desiderare per partner un malessere.

Fonte immagine: Freepik

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