La cosmologia indiana, caratteristiche

La cosmologia indiana, caratteristiche

La cosmologia indiana è estremamente complicata e ciò dipende dal fatto che essa è rimasta in gran parte un settore della mitologia almeno sino ai primi contatti con l’Occidente. Inoltre, le conoscenze astronomiche si trovano tutte inserite in testi religiosi, scritti in versi per essere imparati a memoria, il che certamente non ha facilitato la precisione del loro linguaggio.

L’enormità e la complessità della cosmologia rispecchiano il complesso sistema sociale indiano e sono un esempio della tendenza indiana a porre i nuovi elementi culturali accanto a quelli vecchi in ordine gerarchico, anziché effettuare delle nette sostituzioni. Nei tempi più antichi in India, lo studio dell’astronomia si fermava alle nozioni più generali. Si aveva qualche idea dei periodi del Sole, della Luna e del pianeta Giove. Queste conoscenze venivano utilizzate per i calendari e il moto della Luna era particolarmente importante per la determinazione dell’epoca più propizia per gli atti sacrificali. Se si prescinde da ciò, pare accertato che l’antica astronomia indiana si riducesse principalmente ad astrologia, ragion per cui non c’è traccia di una conoscenza accurata dei moti planetari prima del III secolo d.C.

L’astronomia indiana si complica anche a causa della presenza di diverse cosmologie: vedica, amina e buddista. In ognuna di esse, l’universo è attraversato da un’enorme montagna assiale, il monte Meru. Intorno a tale monte sono sistemati a diversi livelli i continenti del nostro mondo, nonché gli strati del Paradiso e dell’Inferno, secondo le esigenze della dottrina indiana della reincarnazione. Prenderemo ora in considerazione le tre cosmologie ora citate, cominciando dalla cosmologia vedica.

La cosmologia indiana, i Veda

I testi di base della tradizione induista sono i Veda, la cui origine risale per le parti più antiche ai 4000-6000 anni fa. Il loro nome deriva dalla radice sanscrita “vid” che significa “conoscere” o “sapere”. Dai testi più antichi di cosmologia vedica (seconda metà del II millennio a.C.) si desumono due ipotesi sulla struttura dell’Universo: un universo bipartito formato da Terra e Cielo e un universo tripartito formato da Terra, Atmosfera e Cielo. Probabilmente, la prima ipotesi è la più antica sulla quale in seguito si è innescata la seconda senza però cancellarla.

In questa prima ipotesi, Terra e Cielo vengono paragonate a due ciotole, facendo supporre così che esistesse un concetto di terra concava. Tuttavia, anche questo non è certo poiché in alcuni passi le similitudini fanno pensare a una terra piatta. In testi poco posteriori si propongono altre idee dell’Universo, non più coerenti delle precedenti. Si allude sempre alla bipartizione, in quanto il mondo è paragonato alle due metà di un guscio d’uovo, di cui quella del Cielo è d’oro e quella della Terra è d’argento. L’Universo viene anche descritto come una tartaruga: il suo guscio arcuato è il mondo e la sua parte piatta è la Terra. In altri testi compare l’Himalaya, la grande montagna che avrebbe diviso la Terra in Europa ed Asia. Attorno ad essa avrebbero ruotato tutti gli astri, compreso il Sole che avrebbe illuminato a turno ora l’Europa, ora l’Asia. In questa idea, ripresa poi dai Sumeri e dagli Assiro-Babilonesi, è già presente la convinzione che, mentre in una parte del mondo è giorno, nell’altra è notte.

Non meno complicate e fantasiose sono le ipotesi relative al Sole. Infatti, in alcuni testi è presente l’ipotesi che il Sole irradia luce verso l’alto di notte e verso il basso di giorno. In un altro scritto dello stesso periodo storico si trova anche l’idea che sarebbero i destrieri del Sole a trascinare sia la luce bianca del giorno che la luce nera della notte. Troviamo anche i primi tentativi molto fantasiosi per misurare le dimensioni del mondo. Secondo tali ipotesi, la Terra e il Cielo distano 1000 giornate di viaggio a cavallo, oppure l’altezza di 1000 vacche messe una sopra l’altra.

Passiamo ora alla cosmologia Jaina. Tale cosmologia è caratterizzata dall’idea che il mondo sia un uomo enorme. Tale uomo a volte è rappresentato come una clessidra stretta nella parte centrale. Questo uomo enorme viene misurato attraverso un’unità speciale, il Rajju, definito come uno spazio che un dio percorre in sei mesi volando alla velocità di 2.057.152 yojana al giorno. Tale unità di misura era usata nell’antica India ed era pari alla distanza che si pensava potesse percorrere in un giorno l’esercito reale. Un yojana è considerato equivalente a sette km.

Passiamo ora alla cosmologia buddista. Secondo i buddisti, l’universo è costituito da tre strati orizzontali. Il mondo del desiderio, in cui si trova la nostra Terra, è sovrastato dal mondo della forma e successivamente dal mondo misterioso della non-forma. Dobbiamo dire che tale mondo della non-forma si libra al di sopra della vetta della montagna assiale. Gli studiosi della cosmologia buddista pensano che questa visione dell’Universo è con tutta probabilità una traduzione spaziale dei diversi stati mistici della coscienza.

Da quanto abbiamo detto in tale articolo, appare evidente che le cosmologie indiane sono molto complesse, ragion per cui non è facile il compito degli studiosi di orientarsi nel labirintico Universo delle cosmologie indiane. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sulle cosmologie indiane.

Prof. Giovanni Pellegrino

Fonte dell’immagine dell’articolo sulla cosmologia indiana: Pixabay

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