Il corpo femminile: Her Body

Esiste una sorta di discriminazione lessicale quando si desidera parlare della natura ricreativa del corpo femminile e quando occorre effettivamente citare la sua biologia. Il corpo femminile, nello specifico, conserva nelle dinamiche sociali due nature diverse e opposte: la prima è la forza di attrazione sessuale che il corpo stesso è destinato a esercitare; la seconda è, invece, la tendenza a mortificare questo stesso corpo per la prima istanza.

Un corpo che attira troppe tensioni sessuali è “un corpo che, per i suoi comportamenti, se le va a cercare”. Spiegare la dinamica di tali cose ci impone uno sforzo di natura intellettuale e culturale in quanto dobbiamo ricongiungerci al passato mitico delle generazioni umane e considerare che la donna, persino la donna moderna del ventunesimo secolo-anarchica, atea, indipendente-eredita nel sangue, nella composizione genetica del disegno cromosomico xy, la colpa di Eva che indusse la cacciata dall’Eden (non inventò, forse, – citando la Fallaci – la virtù della disobbedienza?), la tracotanza di Lilith che si ribellò (non inventò, forse, l’auto-determinazione?), la leggerezza di Pandora che liberò tutti i mali del mondo da un vaso (non inventò, forse, la curiosità che è il segreto della conoscenza?) e di questi peccati sconta la pena tuttora poiché il corpo di donna è considerato ampolla per pericolosi liquidi inebrianti, artefice di incanti inspiegabili, bersaglio di critiche costanti, autore di malefatte e guai.  Il corpo femminile, dunque, secondo questa logica si auto-destina alla vergogna e alla colpa: oggettificato e sessualizzato non possiede nessun altro senso se non quello decorativo e per tali motivi è obbligato ad aderire a dei canoni entro i quali deve definirsi desiderabile. Ne conviene che illustrare l’effettiva natura di un corpo femminile che sanguina mensilmente, che si sporca, che si ricopre di peli non rispetta gli alti standard dell’estetica ideale: una bellezza formulata per accondiscendere il desiderio dell’altro, un dogma costituito per oggettificare un creato potente che si auto-conserva, una istanza che nega le caratteristiche viventi a favore del mantenimento dell’ideale.

La biologia di un corpo femminile è un argomento sociale talmente esasperante che oggi il corpo di donna è a tutti gli effetti un luogo di battaglie politiche: parole come “vagina”, “orgasmo femminile” e “ciclo mestruale” rappresentano i vessilli di una rivoluzione. Circa la tematica del ciclo mestruale, molte sono le leggende che animano la ripetizione di questo misterioso e austero rito femminile per via del quale, per citare le parole di Müesser Yeniay, “l’uovo che abbandona il mio grembo/ogni mese/ possiede una leggenda nel mio corpo/ ha una traccia/la mia femminilità/il mio tallone d’Achille/il mio cane che abbaia ogni mese”. Il corpo femminile è un dogma per cui tacere di avere le mestruazioni, nasconderlo con parole allusive che sostituiscono l’effettiva parola che lo rappresenta, non è l’esigenza di una discrezione intima e personale, determinata dalla propria volontà ma un’imposizione sociale in quanto il contesto rifiuta di accettare che il corpo perfetto, che è progettato per indurre desiderio e stimolare il piacere nell’altro, possa effettivamente possedere delle dinamiche interne che convenzionalmente lo rendono “non-desiderabile”. Lo stesso dogma incide profondamente non solo sulle azioni interne del corpo ma anche sulla sua rappresentazione esteriore: la bellezza standardizzata è un prototipo al quale il corpo femminile si è adeguato e la cui ricerca è diventata un’esigenza naturale.

Sta accadendo però, contemporaneamente a queste cose che abbiamo descritto, un’esigenza di rivoluzione. Il corpo femminile rivendica la sua identità esteriore e interiore: desidera evidenziare le proprie smagliature, pretende che non si demonizzi ulteriormente la cellulite, vuole straripare dagli argini delle logiche del peso ideale, chiede la libertà del decorarsi nel modo che asseconda la propria volontà, si sforza di esistere alla stregua di tutti gli altri elementi naturali presenti sulla terra. Come il fiore, come il sasso, come il felino cui non si chiede di esistere diversamente da com’è, così la donna chiede di esistere senza che nessuno le imponga di nascondere la biologia del corpo. Neanche un lamento si eleva dai borghi del corpo, ma tutto è in procinto della rivoluzione e della liberazione. I peli si districano come una vegetazione mediterranea lungo le gambe: resilientemente reagiscono alla distruzione operata dal sistema, si ribellano agli strappi, ricrescono. Scrive Rupi Kaur:” togliere tutti i peli/ dal tuo corpo va benissimo/ se è ciò che tu vuoi/ parimenti tenere tutti i peli/sul tuo corpo va benissimo/ se è ciò che vuoi tu/-appartieni solo a te stessa” e questa citazione descrive perfettamente il principio di autodeterminazione sul quale vogliamo focalizzare l’attenzione e l’esortazione a “tutte le donne del mondo” a non cedere il possesso del proprio corpo a nessuno che non sia se stessa.

Anche il piacere sessuale femminile, connesso logicamente ai luoghi più intimi del corpo, è un tabù del quale non si è sentita la necessità di indagare per lungo tempo: un corpo femminile progettato per il godimento altrui non è mai stato concentrato sul proprio piacere e intorno a questo vige infatti il veto della discrezione e della segretezza. Dire “orgasmo femminile” è un’azione considerata al limite della spavalderia, recriminare per sé stesse il diritto al piacere fisico è un atto di ribelli coraggiose o di incantevoli spregiudicate. E questa incantevole spregiudicatezza è stata rinvenuta nel romanzo novecentista dissacrante, anarchico e ateo in termini di morale e condizionamenti sociali, di Goliarda Sapienza, L’arte della gioia, in cui la protagonista Modesta è una donna alla costante ricerca del piacere fisico e intellettuale. Dotata di un’energia vitale fortissima, insegue l’appagamento delle sue esigenze corporee e mentali, spregiudicatamente desidera e spregiudicatamente ottiene il soddisfacimento dei suoi desideri. Il corpo di Modesta è un ordigno capace di spostarsi meccanicamente, di mangiare, pregare, ascoltare, parlare e studiare ma nel substrato della pelle, al di sotto della superficie tangibile, si realizzano in verità i moti primitivi e ancestrali del magma vitale e così Modesta si pone al pari di un uomo-che socialmente è autorizzato a desiderare e a lottare per il soddisfacimento del desiderio- e vive priva dello stigma della colpa e della vergogna il suo piacere sessuale.

Sottrarsi dunque dalle istanze della bellezza femminile canonizzata, dal dominio che altri esercitano sul corpo di donna e distrarsi dai precetti di perfezione che in verità dipingono esseri irreali come i dei e le dee degli antichi ,è una possibilità attuabile per la quale però bisognerà ancora issare parole, costruire macchine per assorbenti Fly (“così le donne possono volare. Il nostro obiettivo è che si alzino e spicchino il volo”) come quelli celebrati nel documentario “il ciclo del progresso” diretto dalla regista Ryka Zehtabchi che racconta la rivoluzione di un gruppo di donne di un villaggio indiano che iniziano a usare gli assorbenti, senza i quali “non possiamo uscire di casa in quei giorni!”. Mentre il mondo considera di esplorare i pianeti del cosmo, mentre i sottosuoli prolificano e i ghiacci artici seppelliscono segreti antichi, noi pensiamo a fare la rivoluzione di the Pad-man e crediamo fermamente che si possa cambiare il mondo con qualche parola e un assorbente issato orgogliosamente come una bandiera!

A proposito di Arianna Orlando

Classe 1995, diplomata presso il Liceo Classico di Ischia, attualmente studente presso la Facoltà di Lettere all’Università di Napoli Federico II, coltiva da sempre l'interesse per la scrittura e coniuga alla curiosità verso gli aspetti più eterogenei della cultura umana contemporanea, un profondissimo e intenso amore verso l’antichità. Collabora con una testata giornalistica locale, è coinvolta in attività e progetti culturali a favore della valorizzazione del territorio e coordina con altri le attività social-mediatiche delle pagine di una Pro Loco ischitana.

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