Le rapsodie in prosa sulla Roccia Rossa: di che si tratta

Le rapsodie in prosa sulla Roccia Rossa: di che si tratta

In epoca Song (960-1279 d.C.) cominciano a farsi strada le rapsodie in prosa, Wen Fu文賦: un genere poetico con intermezzi in prosa, in cui questi ultimi sono più lungi rispetto a quelli della rapsodia tradizionale Fu赋 di epoca Han (206 a.C. – 220 d.C.). Inoltre, ciò che cambia è la tematica: passa dal tema fondamentale della celebrazione dell’impero e dell’imperatore, a trattare temi più intimistici e filosofici, elementi autobiografici, privati, domestici; quindi, diventa un genere espressivo e lirico.

Un esempio sono le rapsodie in prosa sulla Roccia Rossa.

Si tratta di due rapsodie in prosa scritte nello stesso anno, nello stesso luogo, ma in periodi diversi: una in autunno, l’altra in inverno. Il titolo è ispirato ad un luogo posto lungo il Fiume Azzurro, la cosiddetta località della roccia rossa, dove si svolse una grande battaglia navale nel III secolo. Durante la battaglia Chibi (“parete rocciosa”), Cao Cao, il comandante delle truppe del nord, fu sconfitto da due nemici: Sun Quan e Liu Bei, che governavano rispettivamente il sud-est e il sud-ovest della Cina. Questa battaglia è celebre perché segna la divisione della Cina in tre regni.

La prima delle due rapsodie in prosa ritrae una gita autunnale in barca tra amici: c’è un’atmosfera di serenità e leggerezza, generata dallo stato di ebbrezza tra un bicchiere di vino e l’altro. Uno di loro inizia a suonare con il flauto una melodia melanconica, rievocando la grandezza di Cao Cao: nonostante egli sia il comandante di un intera flotta di navi da guerra, cosa n’è di lui? E cosa ne sarà di loro, che in confronto a lui sono niente? Questi sono i dubbi esistenziali su cui riflettono. Su Shi, un gigante della letteratura dell’XI secolo e di tutta la tradizione cinese in generale, propone una riflessione poetica sul transitorietà della vita e sulla piccolezza dell’essere umano rispetto all’universo. Lo stile di vita di Su Shi è improntato sul concetto di superare le avversità, prima affrontandole e poi distaccandosene, per guardarle dall’esterno. Su Shi offre una risposta consolatrice all’amico sconsolato: spiega che non bisogna guardare l’aspetto mutevole del cose, altrimenti tutto svanirà in un batter d’occhio. Al contrario, bisogna soffermarsi sul lato permanente delle cose, solo così ci si può rendere conto che sia il mondo esterno che quello interno sono inesauribili. Di conseguenza, non è necessario invidiare la condizione degli immortali. La natura solo apparentemente cambia, ma, in realtà, essa permane. Propone l’esempio della luna, che ha le sue fasi, ma è sempre lì. Quello di cui Su Shi sta parlando è il paradosso del cambiamento, che è l’unica cosa che non cambia e noi esseri umani possiamo partecipare all’eternità proprio partecipando al mutamento.

La seconda delle due rapsodie in prosa ha un tono diverso rispetto alla prima ed è anche ambientata in un periodo diverso nello stesso anno, cioè in inverno. È sempre una gita in barca tra amici, ma c’è uno scenario diverso: il paesaggio è ostile e montuoso, caratterizzato da scogli che sembrano dei mostri e da pini che sembravano dei draghi per quanto sono intricati. Su Shi ancora una volta, come nella prima rapsodia, è il più coraggioso ed è l’unico del gruppo di amici a scendere dalla barca e ad avventurarsi in mezzo a queste rocce ostili. Tuttavia, non riesce a sostarvi, perciò, ritorna indietro sulla barca. Durante la notte passa sulle loro teste una gru, che emette un grido. Successivamente, appare in sogno a Su Shi un immortale taoista, a cui chiede se fosse lui quella gru, ma il taoista non dà risposta. Il finale di questa rapsodia in prosa è incentrato sul mistero dell’esistenza, sul mistero del mutamento che avviene in silenzio e forse è inesplicabile.

Del resto, ricordiamo come recita il Daodejing: «il dao che può essere nominato, non è il dao eterno»; quindi, il vero mistero non si può spiegare a parole e con il linguaggio

Fonte immagine di copertina: Wikimedia commons

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