La storia della letteratura giapponese classica è ricca di figure retoriche che impreziosiscono i testi. Tra queste, una delle più affascinanti e complesse è la tecnica dell’honkadori (本歌取り), traducibile come “prendere da una poesia di base” o, più liberamente, “variazione allusiva”. Lungi dall’essere un plagio, era una forma d’arte che metteva alla prova la cultura e la sensibilità sia del poeta che del lettore.
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In cosa consiste la tecnica dell’honkadori?
L’honkadori è una tecnica retorica che consiste nell’inserire all’interno di un nuovo componimento (waka) un’espressione, una parola o versi di una poesia famosa e già esistente. Questo metodo, che oggi potremmo considerare al limite del plagio, era invece largamente utilizzato e apprezzato, poiché dimostrava il profondo bagaglio culturale del poeta e creava un dialogo con la tradizione letteraria. La tecnica comparve già nel Man’yōshū (VIII secolo), ma fu perfezionata e codificata nel periodo Heian e Kamakura, diventando sempre più sofisticata.
Le regole dell’honkadori secondo Fujiwara no Teika
Fu il grande poeta e critico Fujiwara no Teika (1162-1241) a stilare una serie di criteri precisi per un corretto utilizzo dell’honkadori, distinguendolo così dalla semplice imitazione. L’obiettivo era creare un equilibrio tra il recupero della tradizione e la produzione di una nuova letteratura.
Regola | Descrizione |
---|---|
Non citare troppo | Non si devono usare più di due versi consecutivi della poesia originale. L’allusione deve essere sottile. |
Cambiare il contesto | La trama (kokoro) e l’atmosfera della nuova poesia devono essere diverse da quelle dell’originale. |
Spostare i versi | La posizione dei versi citati deve essere cambiata rispetto alla poesia di partenza (es. un verso iniziale diventa finale). |
Usare poesie antiche | La poesia di riferimento deve essere antica e molto nota, in modo che il lettore possa cogliere l’allusione. |
Un esempio concreto di honkadori
Per capire meglio, confrontiamo una poesia originale (honka) con una che ne fa l’honkadori.
Poesia Originale (di Ariwara no Narihira, IX sec.):
Tsuki ya aranu / haru ya mukashi no / haru naranu / waga mi hitotsu wa / moto no mi ni shite
(Non è questa la luna? / Non è questa la primavera / la primavera di un tempo? / Solo il mio corpo / è rimasto lo stesso.)
Honkadori (di Fujiwara no Teika, XII sec.):
Haru ya mukashi no / iro narade / kasumu waga mi no / sode no ka ni
(La primavera non ha più / il colore di un tempo, / velata come il mio corpo / nel profumo delle maniche.)
Teika riprende il verso “haru ya mukashi no” (la primavera di un tempo) ma lo inserisce in un contesto completamente nuovo: non parla più del tempo che passa lasciando solo lui immutato, ma di una primavera che ha perso il suo colore, evocando un sentimento di malinconia e perdita più intimo e personale.
La tecnica dell’honkadori e il suo lettore modello
Un concetto chiave per comprendere l’honkadori è quello di lettore modello. Come teorizzato da Umberto Eco per la letteratura occidentale, il lettore modello è colui che il testo prevede e che possiede le competenze per interpretarlo. L’honkadori inserisce nella lirica un “link ipertestuale” che apre un’altra pagina nella mente del lettore. Così facendo, il testo assume un significato più complesso, ma comprensibile solo a chi possiede la chiave di lettura, cioè a chi conosce la poesia originale. È necessaria una stretta collaborazione tra lettore e poeta, che condividono lo stesso bagaglio culturale. Come affermava il saggista Roland Barthes, i testi non sono mai “vergini”, ma sono il risultato di una storia e di citazioni precedenti che gli autori portano inevitabilmente con sé. L’honkadori è la celebrazione consapevole di questa idea.
Fonte immagine in evidenza: Foto di Gaijinsan da Pixabay
Articolo aggiornato il: 02/09/2025