Tra le pieghe della lingua e della cultura svedese, si nasconde una parola dal fascino sottile: vemod. È un termine che occupa un posto speciale, perché cattura un’emozione che sfugge alle nostre definizioni abituali e resiste a traduzioni dirette. Questa parola intraducibile cerca di dare voce a una forma di malinconia dolceamara, a quel sentimento misto di serena tristezza, nostalgia sottile e una pacata accettazione del fluire del tempo e della natura fugace di ogni cosa. Più che un sentimento passeggero, vemod è quasi uno sguardo sul mondo, una prospettiva esistenziale che affonda le sue radici nell’immaginario collettivo svedese, legata a doppio filo con la natura, il silenzio e i momenti di riflessione interiore.
La bellezza poetica nella tristezza e nella transitorietà
Non è la malinconia cupa che a volte associamo alla perdita in Occidente. Vemod, invece, porta con sé una consapevolezza quieta e quasi poetica dell’inevitabile cambiamento. È quella sensazione che può coglierci alla fine dell’estate, quando l’aria si fa più fresca, o mentre osserviamo un tramonto che si spegne lentamente dietro un lago silenzioso, o ancora sfogliando vecchie fotografie che risvegliano ricordi lontani. Non c’è disperazione nel vemod, ma piuttosto la capacità di scorgere una forma di bellezza intrinseca proprio in ciò che è transitorio. Questo sentire si manifesta spesso nel modo in cui gli svedesi vivono il passare del tempo e l’alternarsi delle stagioni, in particolare l’autunno, con i suoi colori caldi e quella luce dorata e decrescente che già sussurra l’arrivo del lungo inverno.
Il vemod riflesso nell’arte e nella cultura svedese
Culturalmente, questa sensibilità permea l’arte, la letteratura e la musica svedese. Nelle poesie di Tomas Tranströmer, ad esempio, ritroviamo spesso questo sguardo malinconico che osserva la realtà con una tenerezza quasi distante. Anche nella musica popolare e nel cantautorato, da figure storiche come Cornelis Vreeswijk a voci contemporanee come Veronica Maggio, si avverte quella tensione costante tra luce e ombra, tra momenti di gioia e il peso lieve del rimpianto. E come non pensare al cinema svedese, dove maestri come Ingmar Bergman hanno fatto del vemod uno dei colori fondamentali della loro tavolozza emotiva, rendendolo palpabile attraverso ritmi lenti, silenzi carichi di significato e profonde immersioni nell’animo umano.
Le possibili origini: natura e paesaggio nordico
Questa particolare inclinazione affonda molto probabilmente le radici nell’esperienza stessa dell’ambiente nordico. Gli spazi sono immensi, ci sono lunghi inverni avvolti nel buio e le estati sono luminose. Da queste caratteristiche sembra scaturire un modo profondo di sentire la vita, dove la solitudine si fonde con un legame quasi spirituale con il paesaggio circostante. Non sorprende, quindi, che nel folklore svedese e nelle ballate raccolte tra l’Ottocento e il Novecento, si avverta spesso una struggente consapevolezza di ciò che è stato e non può più tornare.
Il significato del vemod oggi: un invito all’accettazione
In fondo, pur nella sua intraducibilità, vemod rimane una chiave preziosa per accostarsi alla sensibilità svedese. In un’epoca che spesso ci spinge a fuggire dalle emozioni complesse o scomode, vemod ci offre un invito diverso: quello a fermarci, ad accogliere quella tristezza dolce che accompagna i ricordi, il passare inesorabile del tempo, e a riconoscere la bellezza struggente che si nasconde anche nelle cose perdute o destinate a svanire.
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