L’esperimento di Milgram: è possibile obbedire al male?

Esperimento di Milgram: è possibile obbedire al male?

Tre mesi dopo l’inizio del processo svoltosi a Gerusalemme ai danni di Adolf Eichmann, membro delle SS condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità, prese parte lo studio più significativo dello psicologo Stanley Milgram, conosciuto col nome di “Esperimento di Milgram”.

 In cosa consiste? 

Il celebre esperimento di Milgram, iniziato nel 1961, aveva come obiettivo quello di analizzare il comportamento di alcuni individui in seguito a degli ordini imposti da parte di un’autorità superiore, e in questo caso specifico, parliamo di uno scienziato. Gli ordini sarebbero entrati in conflitto con le convinzioni morali ed etiche dei soggetti all’esperimento e avrebbero determinato reazioni contrastanti, da un lato di obbedienza e dall’altro di ribellione. Partendo dalla diffusione dell’ideologia nazista, lo psicologo statunitense voleva comprendere in che modo un singolo uomo avesse portato al totale asservimento una nazione e causato lo sterminio di milioni di persone. Come era possibile che Eichmann e le altre SS “stessero solo eseguendo degli ordini”?

Come si è svolto l’esperimento?

Per l’esperimento di Milgram fu reclutato un campione di 40 uomini, in età compresa fra i 20 e i 50, provenienti tutti da diverse estrazioni sociali. Il falso annuncio, a loro rivolto, tramite giornali o inviti per posta, prevedeva che i soggetti partecipassero ad uno studio sulla memoria e sull’apprendimento. Milgram costruì un finto generatore di corrente elettrica, i cui 30 voltaggi potevano andare da un’intensità di 15 a 450 volt. Ad un collaboratore di Milgram era quindi assegnato il ruolo di “allievo”, mentre al soggetto dell’esperimento quello di “insegnante” e inviati in due stanze separate. Naturalmente l’ignaro insegnante era portato nella stanza del generatore e, per provare l’effettivo funzionamento dei pulsanti di voltaggio, subiva la scossa di intensità 45 volt collegata al terzo pulsante. Il complice-allievo era condotto invece su una sedia elettrica e gli era applicato un elettrodo al polso collegato al generatore.
Venivano quindi illustrati i compiti al soggetto-insegnante:

• Illustrare al complice-allievo delle coppie di parole che egli avrebbe dovuto memorizzare per il secondo step della prova, es: “giornata serena”;
• Ripetere una parola di una delle precedenti coppie e illustrare una sequenza di altri quattro termini, all’interno dei quali l’allievo avrebbe dovuto scegliere la parola corretta della coppia, es: alla parola “serena” associare una di queste quattro – giornata, voce, aria, morte;
• Decidere la correttezza o l’inesattezza della risposta dell’allievo;
• Infliggere una punizione in caso di risposta inesatta attraverso il generatore di corrente. Ad ogni risposta sbagliata aumentare il voltaggio.

Il compito del complice di Milgram era quello di rispondere alle domande e simulare reazioni di panico, dolore, lamenti e grida al crescere della potenza delle scosse elettriche, le quali tuttavia non erano realmente inflitte. Una volta giunti al voltaggio più alto, l’allievo non doveva emettere alcun suono, in modo tale da far credere al soggetto dell’esperimento che egli fosse svenuto. In caso di dubbi da parte dei partecipanti, lo sperimentatore avrebbe dovuto fornire un set di risposte predisposte, quali ad esempio “per favore, vada avanti”, “non ha scelta, vada avanti”, “l’esperimento richiede che lei proceda”, “è assolutamente necessario che lei vada avanti”. Ai soggetti veniva quindi assegnato un grado di obbedienza variabile in base al numero dell’ultimo pulsante premuto prima della definitiva e volontaria interruzione dell’esperimento, che in alcuni casi poteva anche continuare fino all’ultimo interruttore. Al termine della prova veniva riferito ai soggetti che gli “allievi” non avevano subìto alcuna scossa e che il macchinario da loro utilizzato era fasullo.

Risultati finali e considerazioni

I risultati dell’esperimento Milgram furono discussi all’università di Yale, dove lo stesso ideatore lavorava all’epoca. Milgram chiese agli insegnati di psicologia dell’ateneo a cui sottopose la ricerca di predire in che modo si fossero comportati i soggetti. I docenti affermarono che solo un 1,2% dei partecipanti sarebbe arrivato ad infliggere la scossa da 450 volt, ma, stando ai dati raccolti, scoprirono che 26 persone su 40 avevano concluso senza interruzioni l’esperimento. Molti di essi mostrarono risa nervose, cominciarono a balbettare, tremare, sudare, perfino graffiarsi o avere convulsioni.
Come è possibile spiegare un tale grado di obbedienza che arriva persino a violare le regole morali insite in un essere umano? Milgram discusse che l’autorità, personificata da una figura legittima, indurrebbe all’obbedienza attraverso uno stato eteronomico. Si definisce eteronomia uno stato in cui un individuo o una collettività agiscono ricevendo le norme e i motivi dietro le proprie azioni dall’esterno; in caso di colpa, le responsabilità sono attribuite quindi all’agente fuori dal sé.
In che modo può verificarsi uno stato eteronomico? Alla sua creazione possono intercorrere tre fattori principali: la percezione della legittimità dell’autorità, l’adesione al sistema dell’autorità (sin dai primi processi sociali viene insegnato ad un essere umano ad ubbidire) e le pressioni sociali (la disobbedienza all’autorità è percepita negativamente e come la rottura di un patto ideale).
Tuttavia, il grado di obbedienza variava in base al rapporto di vicinanza o distanza che intercorreva fra insegnante e allievo durante l’esperimento di Milgram. I gradi erano quattro:

• Nel primo, l’insegnante non poteva percepire attraverso vista e udito le reazioni dell’allievo (qui il 65% dei soggetti inflisse l’ultima scossa);
• Nel secondo, l’insegnante poteva solo ascoltare l’allievo (62,5%);
• Nel terzo, l’insegnante poteva ascoltare e vedere l’allievo (40%);
• Nel quarto, l’insegnante doveva infliggere l’ultima punizione spingendo direttamente il braccio dell’allievo su una piastra (30%).

Secondo tali risultati, Milgram argomentò che l’obbedienza dipendeva anche dalla situazione. Ridefinire il significato di una situazione avrebbe portato quindi ad alterare la percezione di sé del soggetto, portandolo ad auto-convincersi di essere soltanto un “agente” (stato d’agente) di una volontà esterna. Dunque egli non avrebbe percepito le responsabilità delle azioni commesse come proprie. Nell’esperimento di Milgram coesistono norme sociali contrastanti: una condanna l’uso della violenza, mentre l’altra suggerisce una reazione aggressiva ad un comportamento sbagliato. Tale coesistenza sarebbe in grado di influenzare la possibilità dell’uso della violenza in base alla percezione individuale di una situazione (vale a dire la percezione di quali norme siano pertinenti ad un dato contesto e debbano essere rispettate). Nel contesto dell’esperimento, l’insegnante, percependo come corretta la definizione della situazione dell’autorità, considera la punizione violenta logica e necessaria.
Negli anni a seguire, molti scienziati hanno riutilizzato le ricerche di Milgram per ulteriori esperimenti, i quali hanno generalmente ottenuto gli stessi risultati dello psicologo e sono stati di fondamentale importanza nell’ambito di studi degli orrori perpetrati dai nazisti.

Immagine di copertina: Pixabay

A proposito di Sara Napolitano

Ciao! Sono Sara, studentessa iscritta al terzo anno del corso di laurea Lingue e Culture Comparate presso l'università "L'Orientale" di Napoli. Studio inglese e giapponese (strizzando un po' di più l'occhio all'estremo Est del mondo). Le mie passioni ruotano attorno ad anime, manga, libri, musica, sport, ma anche natura e animali! Da sempre un'irriducibile curiosa.

Vedi tutti gli articoli di Sara Napolitano

Commenta