Espressionismo tedesco: i poeti della metropoli moderna

L espressionismo tedesco, i poeti della metropoli moderna

Nella Berlino di inizio secolo scorso una generazione di audaci scrittori infiammano pagine di versi urlati, laceranti, che solo per un attimo distraggono il pubblico dall’assurdità della modernità. Era l’inizio dell’espressionismo tedesco.

Crepuscolo dell’umanità

Nel 1919 viene pubblicato, a Berlino, “Menschheitdämnerung” (‘Crepuscolo dell’umanità’), un’antologia che raccoglie le voci della poesia tedesca contemporanea. È il primo tentativo di rendere canone, nella letteratura, l’espressionismo tedesco, che a partire dagli anni 10 del novecento proponeva una distruzione delle forme precedenti. La rivoluzione è totale: sia formale che contenutistica. I versi sciolti e liberi prevalgono sulle metriche tradizionali e il  tema principale è la città. Berlino, che allora contava quasi 2 milioni di abitanti, era diventata la metropoli per eccellenza. Berlino era agli occhi degli espressionisti un’entità crudele, un Dio dell’antico testamento di cui l’uomo è in balìa. Come nella poesia “Die Stadt” (‘La città’) di Gerorg Heym del 1911. 

La città 

Molto lunga è questa notte. E il chiarore delle nuvole

Si lacera davanti al tramonto della luna .

E lungo la notte mille finestre

Ammiccano con le palpebre rosse e sottili.

 

Le strade corrono nella città come un sistema venoso,           

Trascinando infiniti uomini in ogni direzione,

E in eterno  il suono spento di un’esistenza spenta

Fuoriesce monotono nel silenzio opaco .

 

Nascita, morte, monotonia intrecciata ,

Mugolio delle doglie, lungo rantolo della morte,

Tutto scorre confuso nel cieco mutamento.

 

E bagliori ,fuochi, rosse torce e incendi,

Che in lontananza minacciano con la mano sguainata

Splendendo dall’alto d’una muraglia di nuvole morte.

(trad. Sergio Baldelli)

La città mefitica, malsana, labirintica, è il simbolo della sconfitta definitiva del positivismo dell’Ottocento. Nei versi dei principali esponenti dell’espressionismo tedesco, come Heym, Benn, van Hoddis, Trakl, Lasker- Schüler, aleggia una costante sensazione della fine. Incarnazione di questo sentimento è la “lirica Weltende” (‘La fine del mondo’) di Jakob van Hoddis, che apre l’antologia Menschheitdämnerung:

La fine del mondo

Al borghese dalla testa aguzza vola via il cappello,

tutt’intorno risuonano come delle grida.

Le tegole cadono dai tetti e vanno in frantumi

e sulle coste – si legge – sale la marea.

 

Arriva la tempesta. le onde selvagge balzano

a terra per distruggere le robuste dighe.

Quasi tutti hanno un’infreddatura.

Le ferrovie cadono giù dai ponti.

(Trad. Giovanni Polizzi)

L’espressionismo tedesco e il cinema

La descrizione della poesia è degna di un film, le scene si susseguono come in un film di Ejzenštejn. Van Hoddis applica la tecnica del montaggio in poesia e non è un caso, infatti i poeti espressionisti si ispiravano alle arti figurative ed in particolare alle opere del gruppo di pittori die Brücke.
Negli anni ’20 poi saranno i cineasti Robert Wiene e Fritz Lang a rendere pop l’espressionismo con delle perle cinematografiche. In particolare il film espressionista Metropolis di Fritz Lang deve molto alle visioni dei poeti espressionisti. La città estraniante, il fallimento del progresso, lo sfruttamento delle classi operaie sono al centro della sua opera. Il film distopico rappresenta molto bene la suddivisione della città, i poveri, relegati al sottosuolon che vivono la claustrofobia e la schizofrenia del progresso; mentre i ricchi, nei grattacieli, sono i padroni della metropoli e ne fanno ciò che vogliono. Sono un po’ come il “dio Baal” nella lirica di George Heym in Der Gott der Stadt (‘Il Dio della città’)

Il Dio della città

Siede a cavalcioni di un isolato.

Neri venti avvolgono la sua fronte.

Guarda rabbioso la desolazione

dove si perdono le ultime case.

 

Rosseggia il ventre di Baal nella sera,

grandi città s’inginocchiano intorno.

Dal mare di torre nere lo investe

un’ondata d’infinite campane.

 

Simile a una danza di coribanti,

romba la musica d’immense folle

come un azzurro incenso a lui si innalzano

fuliggine e fumo di ciminiere.

 

L’uragano cova nelle sue ciglia.

La notte intorpida la cupa sera.

dai suoi capelli irti di rabbia guatano

le burrasche simili ad avvoltoi.

 

Agita il pugno nell’oscurità.

Un mare di fuoco avvampa la strada

ruggisce il fumo ardente e la divora 

finché più tardi si leva il mattino. 

 

Immagine in evidenza: Wikimedia commons

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