Poetica di Eugenio Montale: dal male di vivere al correlativo

Eugenio Montale

Eugenio Montale, considerato uno dei massimi poeti del Novecento, occupa un posto di assoluto rilievo nel panorama letterario italiano. La sua produzione poetica, estesa dal 1920 al 1980, attraversa le principali correnti della poesia italiana del Novecento, testimoniando un’incessante ricerca stilistica e una profonda riflessione sulla condizione umana. Le raccolte di Montale, da Ossi di Seppia a Satura, rivelano un’evoluzione costante, pur mantenendo una sostanziale coerenza di fondo nella sua visione del mondo e dell’arte poetica.

Il “male di vivere” e la poetica dell’oggetto in Eugenio Montale

Al centro della poesia di Montale si colloca una visione profondamente pessimistica dell’esistenza, dominata da un senso di precarietà, di dolore e di incomunicabilità. Montale guarda il mondo come a un teatro dell’assurdo, in cui gli eventi si susseguono in modo casuale e insensato, privi di un disegno provvidenziale o di una finalità trascendente. In questo scenario, l’uomo avverte tutta la sua fragilità e inadeguatezza, un’angosciosa disarmonia che Montale definisce “male di vivere”. Questa condizione esistenziale, che richiama il pessimismo leopardiano e presenta affinità con l’esistenzialismo filosofico, nasce dalla consapevolezza di un’esistenza priva di senso, di un’assenza di scopo che nemmeno la religione riesce a colmare.

Di fronte a tale desolante realtà, il poeta, secondo Eugenio Montale, non può più arrogarsi il ruolo di vate o di portatore di verità assolute, né può offrire facili consolazioni o soluzioni salvifiche. Il compito della poesia, per Montale, è quello di farsi testimone del “male di vivere”, di registrare con lucida consapevolezza la sofferenza e la dignità dell’uomo nel suo vano tentativo di sopravvivere al caos dell’universo. Montale rifiuta dunque la figura del poeta-vate, dell’artista come portatore di certezze assolute, a favore di una poesia “scabra ed essenziale”, che esprime il dolore esistenziale attraverso immagini concrete, dimesse, prive di qualsiasi enfasi retorica.

La ricerca del “varco” e l’evoluzione della poetica montaliana

Nonostante questa visione pessimistica, la poesia di Montale non si risolve mai in un nichilismo sterile o in una resa incondizionata al non-senso. Al contrario, in tutta la sua opera, da Ossi di Seppia alle ultime raccolte, è possibile rintracciare una sotterranea speranza, una tensione verso la ricerca di un significato, di un “varco”, per usare un termine caro al poeta, che permetta di andare oltre le apparenze e di cogliere una verità più profonda. Questa ricerca, pur essendo destinata a rimanere inappagata, costituisce il motore stesso della poesia di Montale e si manifesta in modi diversi nelle varie fasi della sua produzione.

Nella raccolta Ossi di Seppia, la ricerca di un senso si concentra sugli elementi del paesaggio ligure, scabro e assolato, che diviene emblema della condizione esistenziale dell’uomo. Liriche come “I limoni” o “La casa dei doganieri” esprimono, attraverso immagini concrete e quotidiane, il desiderio di una pienezza di vita, di un’autenticità che sembra sempre sfuggire. Nelle Occasioni, il “varco” si sposta nella dimensione del ricordo e nella presenza salvifica di una figura femminile, Clizia, che assume i tratti di una donna-angelo, portatrice di una possibile redenzione. Con La Bufera, la riflessione di Montale si amplia e dalla dimensione metafisica si sposta a quella storica: gli orrori della guerra e del dopoguerra diventano lo scenario in cui si consuma il dramma dell’esistenza, ma anche il luogo in cui può emergere la forza morale dell’individuo.

Il correlativo oggettivo e lo stile della poesia di Montale

Eugenio Montale esprime la sua complessa visione del mondo attraverso una poetica fondata su elementi concreti e quotidiani, che assurgono a emblemi della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo. A differenza della poesia ermetica, che predilige un linguaggio allusivo e analogico, la poesia di Montale intende rappresentare il male di vivere attraverso oggetti, immagini e situazioni che rinviano a precisi stati d’animo e a precise esperienze interiori.

In Ossi di Seppia, il dolore della vita si incarna nel paesaggio ligure, arido e brullo, nel “muro” che rappresenta l’impossibilità di andare oltre i limiti della condizione umana. A partire dalle Occasioni, Montale sviluppa e affina la teoria del “correlativo oggettivo”, ripresa dal poeta anglo-americano Thomas Eliot. Il correlativo oggettivo consiste nell’utilizzare una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi come formula di un’emozione particolare. In altre parole, Montale si propone di rappresentare oggetti o situazioni, non per descriverli in modo realistico, ma per farli diventare equivalenti di precisi stati d’animo e sentimenti, in modo da poterli comunicare al lettore in modo indiretto, ma estremamente efficace.

Anche per quanto riguarda lo stile, la poesia di Montale si distingue per un’originalità e una coerenza straordinarie. In Ossi di Seppia, Montale utilizza un linguaggio volutamente aspro e disarmonico, che riproduce a livello fonico e stilistico la disarmonia tra l’io e il mondo. Nelle Occasioni, invece, il linguaggio si fa più raffinato e musicale, le scelte lessicali si impreziosiscono e la ricerca formale si fa più complessa. Con La Bufera e altro, Montale recupera un lessico più colto e letterario, evitando i termini più umili e colloquiali e costruendo periodi sintattici più articolati. Le ultime raccolte, infine, segnano una nuova svolta: si assiste a un progressivo avvicinamento a uno stile più prosastico e colloquiale, in cui prevale il tono ironico e disincantato.

Immagine: Wikipedia

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