Il male di vivere, cosa vuol dire nell’opera di Eugenio Montale

il male di vivere

Il male di vivere nell’opera di Eugenio Montale.

È il 1925 quando un giovane Eugenio Montale pubblica la sua prima raccolta di versi. L’opera, intitolata Ossi di seppia, esce presso le edizioni di Pietro Gobetti, con cui il poeta genovese aveva iniziato a collaborare già qualche mese prima, scrivendo numerosi articoli e saggi per la rivista gobettiana Il Baretti. In uno di questi, dal titolo Stile e tradizione, Montale delinea i fondamenti della sua raccolta: rifiuta le esperienze avanguardiste – incluse quelle da cui era partito Giuseppe Ungaretti – e afferma che il dovere di un poeta è di portare il proprio linguaggio verso “la semplicità e la chiarezza, a costo di sembrar poveri”.

Il male di vivere: Ossi di seppia

L’essenzialità che il poeta intende raggiungere risiede anzitutto nel titolo della raccolta: gli «ossi di seppia», infatti, simboleggiano l’aridità, l’erosione e il logoramento operato dalla natura. Il paesaggio descritto è arido e brullo, come scavato dai raggi del sole, allucinato e dalle valenze fortemente metafisiche. Inoltre, sin dall’apertura di Ossi di seppia egli non può che mostrarsi critico nei confronti dei “poeti laureati” – cioè della tradizione poetica aulica e ufficiale – che mostrano la loro presunta superiorità utilizzando termini artefatti ed astratti per definire concetti semplici.

A questi, Montale preferisce (in accordo coi crepuscolari o vociani) le “piccole cose”, ossia oggetti ed immagini ben definite che rimandano alla realtà circostante. Non certo i «bossi ligustri o acanti», dunque, ma gli orti ravvivati dal giallo e dalla freschezza dei limoni. Le figure evocate dal poeta ligure, tuttavia, sono ben distanti dall’essere semplici e lineari e rimandano sempre a qualcos’altro: sono veri e propri simboli, e in quanto tali vanno decodificati. In esse è riportato il destino dell’uomo, fatto tanto di incostanti e incerte speranze, quanto, soprattutto, di fragilità e morte.

Un esempio chiaro di questa tecnica – definita dai critici “correlativo oggettivo” – sta nella poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, in cui Montale descrive, attraverso delle immagini concrete, la condizione esistenziale dell’uomo moderno, solo, disperato e incapace persino di comunicare con gli altri uomini suoi simili: “il male di vivere” si materializza come una presenza fisica e tangibile (mediante il verbo «ho incontrato») e viene rivelato con «il rivo strozzato che gorgoglia», «l’incartocciarsi della foglia / riarsa» e «il cavallo stramazzato». Alcune di queste figure che, in altri contesti, evocherebbero senz’altro felicità e gioia di vivere diventano, nella poesia di Ossi di seppia, simboli neppure troppo opachi del malessere e del tormento affannoso che attanaglia Montale.

L’epifania del nulla, dell’assurdo di esistere viene descritto dal Montale anche in un altro breve componimento, dal titolo “Forse un mattino andando in un’aria di vento”. Qui, l’aridità della natura («in un’aria di vento / arida») è il correlativo oggettivo di quel vuoto che tormenta gli uomini. La rivelazione avviene all’improvviso, come per «miracolo», e provoca un «terrore» simile a quello di chi, perché «ubriaco», ha perso l’equilibrio e non riesce a reggersi. È la folgorazione di un attimo, dopodiché tornano a profilarsi, dinanzi agli occhi, «aberi case colli», cioè gli oggetti consueti della realtà, che però sono ormai un inganno, nient’altro che illusioni proiettate su uno «schermo».

Non c’è nient’altro da fare – per chi ha scoperto l’inganno della realtà, per chi si trova a dover convivere col “mal di vivere” – che andare «zitto / tra gli uomini che non si voltano» o, in alternativa, affidarsi al «prodigio / che schiude la divina Indifferenza», la quale, riprendendo il pensiero leopardiano, resta passiva e insensibile di fronte ai sentimenti umani. L’unico “bene” – se di bene si tratta – sta nell’assumere l’insensibilità stoica, fredda e marmorea de «la statua nella sonnolenza / del meriggio» oppure nel levarsi alti in cielo, al di sopra della miseria del mondo, come fanno «la nuvola, e il falco».

Fonte immagine: Wikipedia

Altri articoli da non perdere
Poesie di Mario Luzi, le 5 più belle
Poesie di Federico García Lorca

Mario Luzi (1914-2005) è stato un poeta, drammaturgo, critico letterario, traduttore e critico cinematografico italiano. In occasione del suo novantesimo compleanno fu Scopri di più

Luoghi da visitare ad Ōsaka: una top 5
Luoghi da visitare ad Ōsaka: una top 5

Luoghi da visitare ad Ōsaka: una top 5 Ōsaka (大阪市 Ōsaka-shi) è una città giapponese che si trova nella regione Scopri di più

Trappole turistiche di Parigi: 5 da evitare
Trappole turistiche di Parigi: 5 da evitare

Parigi, una delle capitali europee più amate, è ricordata nell'immaginario collettivo per il suo fascino romantico. Ma non bisogna credere Scopri di più

Jean-Michel Basquiat, quando un artista è vittima dell’ignoranza
Jean-Michel Basquiat

È notizia di pochi giorni fa il ritrovamento de L’angelo maledetto, opera di Jean-Michel Basquiat, appartenente all’ex banchiere Sergio Rossi Scopri di più

I viaggi di Ibn Battuta: esplorazione nel Mondo Islamico
I viaggi di Ibn Battuta: esplorazione del mondo

Ibn Battuta è stato un viaggiatore e storico marocchino, famoso per i suoi innumerevoli viaggi in Africa, Asia ed Europa. Scopri di più

Cosa vedere a Bratislava, la splendida capitale slovacca
Cosa vedere a Bratislava, la splendida capitale slovacca

Piccola guida su cosa vedere a Bratislava, capitale della Slovacchia. Nel corso degli ultimi anni, il turismo è sempre più Scopri di più

A proposito di Davide Traglia

Davide Traglia. Nato a Formia il 18 maggio 1998, laureato in Lettere Moderne, studente di Filologia Moderna presso l'Università 'Federico II' di Napoli. Scrivo per Eroica Fenice dal 2018. Collaboro/Ho collaborato con testate come Tpi, The Vision, Linkiesta, Youmanist, La Stampa Tuttogreen. TPI, Eroica Fenice e The Vision.

Vedi tutti gli articoli di Davide Traglia

Commenta