Poesie di Eugenio Montale, le 7 più belle

Poesie di Eugenio Montale, le 5 più belle

Eugenio Montale (1896-1981) è stato un poeta, scrittore, critico e pittore italiano. La sua poetica del negativo, in cui il “male di vivere” si esprime attraverso la corrosione dell’Io lirico tradizionale e del suo linguaggio, si unisce ad una poetica dell’oggetto, in cui il poeta concentra la sua attenzione su oggetti e immagini che spesso provengono dal ricordo, per cui sono rivelazioni momentanee destinate a svanire. Nel 1967 è nominato senatore a vita e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura.

Ecco le 5 poesie più belle di Eugenio Montale!

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale 

È una delle poesie più belle di Eugenio Montale, scritta in memoria della moglie Drusilla Tanzi che era deceduta da poco. Fa parte della raccolta Xenia II (1964-1966).

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Forse un mattino andando in un’aria di vetro 

In essa è contenuta la rivelazione del vuoto che caratterizza il reale. Fa parte della raccolta Ossi di seppia (1925).

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Spesso il male di vivere ho incontrato 

È una delle poesie più belle di Eugenio Montale, in cui il poeta indaga e testimonia la tragica realtà interiore dell’uomo moderno: il male di vivere. La poesia è contenuta nella raccolta Ossi di seppia (1925).

Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato 

È una delle poesie che testimonia ancora una volta la crisi e la mancanza di certezze dell’uomo moderno. Fa parte della raccolta Ossi di seppia (1925).

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Anche questo è un componimento della raccolta “Ossi di seppia“. Lo sfondo delle poesie di Montale che appartengono a questa raccolta è il paesaggio della Liguria, ossia la terra natale del poeta. L’obiettivo della poesia è quello di dare una spiegazione al male di vivere ma la mancanza di certezza provoca anche l’impossibilità di dare una risposta a questa condizione.

Meriggiare pallido e assorto 

Questa poesia parla delle difficoltà della vita attraverso il paesaggio della Riviera ligure di levante. Fa parte della raccolta Ossi di seppia (1925).

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Non recidere, forbice, quel volto 

“Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.”

Spesso il male di vivere ho incontrato

“Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.”

Tra le più importanti poesie di Montale, c’è: “Spesso il male di vivere ho incontrato“, che racchiude l’essenza della sua poetica. All’interno di questo componimento, il poeta utilizza il correlativo oggettivo, ossia un espediente per spiegare situazioni senza esporre l’io narrante. Attraverso le figure del rivo, della foglia, del cavallo, della statua, della nuvola e del falco, Montale spiega cosa rappresenta per lui il male di vivere.

Si tratta di un componimento che appartiene alla raccolta “Le occasioni“, ossia le poesie di Montale scritte in momenti casuali della giornata, in cui il poeta cerca di capire il significato dell’esistenza. In particolare, questo componimento sottolinea la precarietà della vita umana e la tristezza che gli uomini provano a non potersi rifugiare nei propri ricordi per scappare dalla loro condizione presente.

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Fonte immagine: Pixabay

Articolo di Sofia Bianco e Rosalba Rea

A proposito di Rosalba Rea

Sono Rosalba, amo leggere e imparare cose nuove. Scrivere poesie è sempre stata la mia passione più grande.

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