Giuditta e Oloferne, la storia biblica più famosa dell’arte

Giuditta e Oloferne

Tra i soggetti biblici più rappresentati nella storia dell’arte, uno dei più noti è quello di Giuditta e Oloferne. Gli artisti di ogni tempo si sono cimentati con questo motivo, regalandoci le loro diverse versioni e interpretazioni di una vicenda che ha come protagonista una donna che salva il suo popolo dall’oppressione militare.

Qual è la storia di Giuditta e Oloferne?

La storia di Giuditta e Oloferne si trova Libro di Giuditta, composto in ebraico attorno al II secolo a.C. e contenuto nel Vecchio Testamento (ma non nel Nuovo).

Il re assiro Nabucodonosor è impegnato in una lunga campagna militare contro i Medi, un popolo che occupava l’Iran centrale. Ad occuparsi della campagna occidentale è il suo generale Oloferne il quale intraprese una guerra con il popolo di Israele, costringendolo a sottomettersi al suo volere. L’avanzata del generale assiro sembrava inarrestabile, ma giunto nella città di Betulia si scontrò col destino che aveva assunto le forme di una bellissima e sensuale donna: Giuditta.

Giovane, ricca e vedova. Chi non ne approfitterebbe di queste caratteristiche? Giuditta ha capito qual è il punto debole di quel generale invincibile. Così si presenta con la sua serva nei suoi accampamenti e gli fa credere di essere dalla sua parte poiché il suo Dio le ha mostrato i peccati del suo popolo il quale, come punizione, verrà conquistato dalle sue armate.

Perché Giuditta uccide Oloferne?

Oloferne si rallegra e per festeggiare organizza un banchetto a cui anche Giuditta è invitata ed è proprio lì che la donna attua il suo piano. Fa ubriacare Oloferne e lo fa addormentare, decapitandolo con una spada. Presi dal panico nel vedere il corpo senza testa del loro generale gli Assiri si disperdono, mandando in fumo la conquista della città di Giuditta che fu accolta come eroina e liberatrice dal suo popolo. Giuditta, quindi, uccide Oloferne per la salvezza del suo popolo. 

La ricezione nel mondo dell’arte: Caravaggio, Klimt e Artemisia Gentileschi

La storia di Giuditta e Oloferne racchiude in sé una quantità indefinita di significati derivati dall’arte e dall’iconografia di ogni tempo. Dalle miniature dei codici medievali ai grandi dipinti del secolo scorso tutti gli artisti sono accomunati dall’aver sempre e comunque rappresentato il momento clou dell’episodio biblico: la decapitazione di Oloferne.

Il primo pittore a cui si pensa istintivamente per questo tema è Caravaggio che attorno 1598-1599 dipinse l’omonimo quadro esposto oggi all’interno di Palazzo Barberini a Roma. Quello che colpisce è l’incredibile messa in scena delle figure: Caravaggio dà alla vicenda un tocco quasi teatrale, favorita dal buio sullo sfondo e dalla luce che illumina le sue tre figure: una Giuditta dall’espressione a tratti disgustata che decapita il generale assiro, colto in un grido di terrore e dal cui collo sgorga un fiume di sangue e la serva, anziana e impassibile nell’assistere a quel cruento momento.

Anche Artemisia Gentileschi era affascinata da questa storia, come dimostra il Giuditta che decapita Oloferne realizzato attorno al 1620 e di cui esistono due versioni: la prima conservata al museo di Capodimonte a Napoli e la seconda presso la Galleria degli Uffizi a Firenze. Rispetto a quanto fatto da Michelangelo Merisi la pittrice, soprattutto nella versione fiorentina del dipinto, ci mostra una Giuditta che fin dallo sguardo mostra forza e fermezza nel decapitare Oloferne. Anche qui una scena scura e dalle carattere disturbante, come si vede dalla fontana di sangue che sgorga a zampilli dal collo dell’uomo. C’è chi ha visto in questo quadro la volontà da parte di Artemisia Gentileschi di tradurre in arte lo stupro che subì da parte di Agostino Tassi, un altro pittore, quindi un simbolo di rivalsa femminile nei confronti di questo tremendo episodio

Ma celebre è anche il dipinto di Gustav Klimt del 1901, chiamato semplicemente Giuditta. Dentro i confini di una cornice in legno si staglia su uno sfondo dorato la vedova palestinese che tiene tra le mani la testa mozzata di Oloferne in basso a sinistra, con una veste che le lascia scoperto il seno e che ammicca l’osservatore con uno sguardo fiero e sensuale.

Immagine copertina: Wikipedia

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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