Il Saṃsāra: i sei regni nel Buddhismo

Il Saṃsāra: I sei regni nel Buddhismo

Cos’è il Saṃsāra?

Nel Buddhismo, il termine sanscrito Saṃsāra corrisponde alla sequenza di rinascita e morte a cui l’essere senziente è sottoposto, non a caso è iconograficamente rappresentato come una ruota: la cosiddetta “ruota dell’esistenza ciclica” o “ruota del Divenire”. Si contrappone endemicamente al Nirvana, quale liberazione da tale ciclicità, qualora si raggiunga l’Illuminazione (Bodhi).
Tuttavia, per rispondere esaustivamente a questa domanda, è bene soffermarsi su di un altro principio chiave della dottrina buddhista: il Karma. Se è vero che la parola “Karma” (dal sanscrito “Karman”) è entrata a far parte del lessico comune come esplicativa dei rapporti di causa-effetto che governano il fare quotidiano, è anche vero che il ciclo del Saṃsāra è profondamente legato a tale meccanismo. Ogni azione è guidata da un’intenzione e, in quanto tale, produrrà delle conseguenze secondo una legge di retribuzione che riflette il dualismo bene-male.
La legge karmica non può essere scissa dal sistema di reincarnazioni, in quanto la nascita/rinascita in uno dei sei regni dipende esclusivamente dalla qualità delle azioni che si sono compiute in una vita. Pertanto, ad un karma positivo coinciderà una rinascita positiva, al contrario, ad un karma negativo, conseguirà una rinascita “infelice”.

I sei regni del Saṃsāra

Il primo regno è quello dei “Deva”, in sanscrito significa “divinità”.
Nel Buddhismo giapponese, il luogo in cui risiedono le divinità è chiamato “Tendō” (天道, Regno degli Dei). Che connotazione hanno le divinità del Saṃsāra? Si tratta di esseri celesti che dimorano nei loro paradisi e che vivono un’esistenza prospera e favorevole. Tuttavia, proprio a causa di tale condizione, potrebbero dimenticare che la vita è sofferenza”, pericolo tangibile in forza del fatto che nonostante siano divini, non sono illuminati.
È per questo che, ad una nascita nel regno dei Deva, è probabile segua una reincarnazione meno positiva.

Complementari ai Deva sono gli “Asura“. In giapponese il regno degli Asura è detto “Ashuradō” (阿修羅道, Regno degli Ashura). Essi sono semi-divinità contraddistinte da stati d’animo quali ossessione per il potere, desiderio di violenza, sopraffazione e gelosia nei confronti dei più divini Deva, motivo per cui spesso sono chiamati anche “Titani”, richiamando la lotta eterna tra dei e titani nella mitologia greca. Pur essendo molto forti, più forti degli umani, la nascita come Asura non è considerata felice, tra quelle possibili nel Saṃsāra.

Il contrario è quanto può dirsi del “Manusya“. In giapponese Ningendō (人間道, Regno degli Uomini), corrisponde alla rinascita come essere umano.
Essa è intendersi come positiva poiché, attraverso la pratica buddhista, si può raggiungere la salvezza e la liberazione.

Un destino infausto è quello riservato ai “Preta“, in giapponese Gakidō (餓鬼道, Regno dei Gaki). Sono esseri che nelle vite precedenti hanno sperimentato un surplus di avidità e il cui contrappasso è quello di essere sempre affamati e assetati. Particolarmente efficace è l’iconografia a loro ispirata: sono rappresentati con pance assai voluminose, in grado di accogliere qualunque cosa, se non fosse per le loro gole sottilissime, perennemente incapacitati di appagare tale bisogno. 

Un regno a sé è quello dei “Tiryagyoni“. Nella tradizione giapponese prende il nome di Chikushōdō (畜生道, Regno degli Animali). Nel Buddhismo, gli animali sono esseri senzienti e in quanto tali, partecipano al sistema di reincarnazione del Saṃsāra. Se l’uomo è caratterizzato dall’attaccamento ed è sopraffatto dall’illusione, il problema degli animali è la loro incoscienza come capacità di raziocinio.

Il regno più suggestivo è il “Naraka”, in giapponese Jigokudō (地獄道, Regno degli Inferi). Il termine Naraka sta ad individuare la peggiore tra le rinascite del Saṃsāra. Sebbene esistano molteplici inferni, essi sono temporanei.
È il regno in cui vi è maggiore sofferenza: sono esseri sono consumati da rabbia e aggressività. Nelle epoche passate, l’iconografia degli inferni assunse un ruolo fondamentale, vista la peculiare funzione didattica di insegnare cosa fosse la reincarnazione e a cosa si andasse incontro nell’accumulare un karma negativo. A tal fine, le raffigurazioni risultano essere visivamente cruente e d’impatto. Famoso è l’esempio dell’Inferno della Pozza di Sangue (contenuto nel Ketsubon-kyō) riservato alle donne, la cui colpa è quella biologica di sanguinare nel momento del parto.
Ciò si ricollega al concetto di impurità e contaminazione legato al sangue. Tuttavia, giacché gli inferni non sono eterni, attraverso l’intercessione divina, si poteva sperare di migliorare il proprio status.

Fonte immagine: Wikipedia

A proposito di Diana Natalie Nicole

Studentessa di Letterature Comparate, sostengo la continuità tra filosofia e letteratura, con qualche benigna interferenza di linguistica, arte e cultura.

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