Il termine epifania in letteratura: da Joyce a D’Annunzio

il termine epifania nella letteratura

Il termine epifania in letteratura 

Il termine epifania (dal greco ἐπιϕάνεια, «manifestazione») venne usato per la prima volta dai Greci: lo si utilizzava in senso religioso per indicare un segno – ad esempio un sogno, come nel caso del dio guaritore Asclepio, o una visione – tramite il quale una divinità poteva manifestarsi.

Con la nascita del cristianesimo il termine è stato dotato di un nuovo uso, ovvero quello di indicare la festa che ricorda tutte le manifestazioni divine di Gesù, in particolar modo l’adorazione dei Magi; quasi sicuramente, questa festa ha origine orientale e affonda le sue radici non prima del terzo secolo. Eppure, pur tenendo a mente la sua nascita come sostantivo profondamente religioso, è possibile sentire ed utilizzare il termine epifania in altri ambiti, il più famoso dei quali è sicuramente quello della letteratura, e più precisamente quello della letteratura internazionale. Ma chi ha introdotto il termine epifania in letteratura?

Il primo che introdusse il termine epifania in letteratura fu lo scrittore irlandese James Joyce (Dublino, 1882 – Zurigo, 1941), conosciuto in tutto il mondo come il pioniere della tecnica di scrittura nota come stream of consciousness (ovvero lo scrivere i pensieri così come vengono pensati, aiutando il lettore a comprendere meglio i personaggi e andando così a toccare il campo della psicanalisi).

Per il nostro discorso sul termine epifania in letteratura, ci concentreremo sul concetto noto appunto come epifania, che è quasi una naturale conseguenza della tecnica dello stream of consciousness e che Joyce introdusse in una delle sue opere maggiori, Dubliners (in italiano Gente di Dublino): è una raccolta di quindici novelle pubblicata sul settimanale The Irish Homestead nel 1906 (uscita poi come un libro in tre parti – infanzia, adolescenza, e età adulta – nel 1914) in cui l’autore racconta Dublino, la sua città natale, e il suo rapporto con essa – tramite alcune figure conosciute nella vita reale – denunciandone allo stesso tempo la paralisi morale e l’ostilità al cambiamento, che porteranno l’autore ad allontanarsene.

Il termine epifania in letteratura – secondo Joyce – ritorna dunque al suo significato originale di manifestazione: si tratta di una rivelazione spirituale improvvisa, un’illuminazione che può essere causata da qualsiasi cosa che sembra in apparenza banale ma che nasconde un significato inaspettato quanto profondo, e collega due cose solitamente distanti tra loro (un elemento materiale, molto spesso un semplice e piccolo dettaglio, viene collegato ad un elemento spirituale).

Vediamo dunque come D’Annunzio vede il termine epifania in letteratura

Spostandoci in Italia, il termine epifania in letteratura cambia di significato nella poesia del poeta Gabriele D’Annunzio,  uno dei più grandi e famosi nell’Italia del Novecento, il quale ha avuto la maggiore influenza sulla poetica di Joyce. Esponente della corrente letteraria del Decadentismo, è noto soprattutto per la sua particolare attenzione verso la propria immagine, oltre che per essere stato uno dei maggiori interventisti durante la Prima Guerra Mondiale e per la sua maggiore opera, Il piacere. D’Annunzio dedicò una poesia all’Epifania – l’evento religioso – in uno dei suoi progetti più conosciuti, le Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi (una serie di cinque libri – sette nel progetto originale, di cui uno fu pubblicato postumo – pubblicata tra il 1903 e il 1912); essa prende il nome de I Re Magi, ed è incentrata appunto sulle figure degli stessi.

Ecco un esempio dell’uso del termine epifania in letteratura: Una luce vermiglia // risplende nella pia // notte e si spande via // per miglia miglia e miglia. // Oh nova meraviglia! // Oh fiore di Maria! // Passa la melodia // e la terra si ingiglia. // Cantano tra il fischiare // del vento per le forre, // i biondi angeli in coro; // ed ecco Baldassarre, // Gaspare e Melchiorre // con mirra, incenso e oro.

Cerchiamo di capirci di più: nella poesia si parla di una campagna che durante la notte risplende di luce bianca pur non essendoci la luna, perché ormai Gesù è nato; viene poi descritto il canto soave del coro di angeli, che fa in modo che le piante e i fiori crescano come se fosse primavera, anche se è inverno. Il poeta racconta poi l’arrivo dei Magi (il Re Vecchio, il Re Giovane e il Re Moro) alla grotta a Betlemme dove il Bambino è nato. Come è solito ritrovare nella struttura delle Laudi, tramite il suo affascinante stile di scrittura D’Annunzio fa in modo che l’io narrante diventi quasi un tutt’uno con il paesaggio suggestivo che viene descritto, fino a sfiorare una forma di pienezza vitalistica e dunque il termine epifania in letteratura indica in questo caso una vera e propria epifania dello spirito, della quale anche l’arrivo dei Magi fa parte; è infatti questo che collega la gloria celeste a quella terrestre.

(Fonte immagine: Wikipedia)

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