Dittatura cilena: il golpe, i massacri e i desaparecidos

La dittatura cilena

La dittatura cilena è stata una delle pagine più buie della storia del Sud America nel XX secolo. L’11 settembre 1973, un colpo di stato militare guidato dal generale Augusto Pinochet pose fine al governo democraticamente eletto di Salvador Allende, instaurando un regime durato 17 anni e caratterizzato da una sistematica violazione dei diritti umani. Questo periodo ha lasciato ferite profonde nella società cilena, segnate dal fenomeno dei desaparecidos e da una repressione spietata contro ogni forma di opposizione.

Il golpe dell’11 settembre 1973: la fine della democrazia

Il colpo di stato cileno si inserisce nel contesto della Guerra Fredda e delle tensioni internazionali. Il governo di Unidad Popular di Salvador Allende, il primo presidente marxista democraticamente eletto al mondo, aveva avviato un programma di riforme socialiste, tra cui la nazionalizzazione delle miniere di rame, che preoccupava sia le élite economiche cilene sia gli Stati Uniti. Con il sostegno logistico e finanziario della CIA, le forze armate cilene guidate da Pinochet attaccarono il palazzo presidenziale de La Moneda a Santiago. Allende morì durante l’assalto, rifiutando di arrendersi. Immediatamente dopo, Pinochet si mise a capo di una giunta militare, sciolse il parlamento e sospese la costituzione.

La repressione sistematica: chi erano i desaparecidos?

I desaparecidos erano oppositori politici, sindacalisti, studenti o semplici sospetti che venivano arrestati e fatti sparire nel nulla. Questo metodo di repressione, attuato dalla polizia segreta DINA (poi CNI), mirava a seminare il terrore. Gli arresti avvenivano spesso di notte, senza testimoni e senza alcuna motivazione formale. Le famiglie non ricevevano notizie, e le vittime venivano portate in centri di detenzione e tortura clandestini, come la tristemente nota Villa Grimaldi. L’Estadio Nacional de Chile fu trasformato in un enorme campo di prigionia. A differenza dei desaparecidos argentini, in Cile una parte delle vittime fu poi rilasciata, ma costretta a un esilio forzato. La repressione non si limitò ai confini nazionali, ma si estese a livello internazionale attraverso l’Operazione Condor, un’alleanza tra le dittature sudamericane per eliminare gli oppositori politici all’estero, come documentato da numerosi archivi declassificati e consultabili presso il National Security Archive.

Il rapporto Rettig: il conteggio ufficiale delle vittime

Dopo la fine della dittatura, il nuovo governo democratico istituì la Commissione Nazionale per la Verità e la Riconciliazione, il cui lavoro confluì nel Rapporto Rettig del 1991. Questo documento fu il primo tentativo ufficiale di quantificare le violazioni dei diritti umani. Le indagini accertarono circa 3.500 vittime, tra morti e desaparecidos, suddivise tra vittime di violazione dei diritti umani e vittime di violenza politica. Tra le figure più note assassinate dal regime ci fu il cantautore e regista Víctor Jara, torturato e ucciso pochi giorni dopo il golpe. Il lavoro di documentazione è proseguito negli anni, e istituzioni come il Museo della Memoria e dei Diritti Umani di Santiago mantengono viva la memoria delle vittime.

Il “miracolo del Cile”: propaganda e realtà economica

La dittatura di Pinochet è spesso associata a una radicale trasformazione economica. Il regime implementò politiche neoliberiste estreme, ispirate dagli economisti della Scuola di Chicago (“Chicago Boys”), che portarono a una notevole crescita del PIL. Pinochet stesso definì questo fenomeno il “miracolo del Cile”. Questa crescita, però, ebbe un costo sociale altissimo, con un drastico aumento della disuguaglianza, la privatizzazione dei servizi pubblici e lo smantellamento dello stato sociale.

La propaganda del regime La realtà documentata
Salvataggio del paese dal comunismo e dal caos economico. Rovesciamento di un governo democratico con la forza militare.
Il “miracolo economico” con crescita e modernizzazione. Aumento della povertà, della disuguaglianza e del debito estero.
Garanzia di ordine, sicurezza e pace sociale. Migliaia di esecuzioni, torture e sparizioni forzate documentate.
Uso del termine eufemistico “régimen militar” (regime militare). Una dittatura militare senza libertà di stampa, politica e di espressione.

Come finì la dittatura: il plebiscito del 1988

La fine del regime militare cileno fu sancita da un plebiscito tenutosi il 5 ottobre 1988. Sotto pressione internazionale e convinto di vincere, Pinochet indisse un referendum per chiedere al popolo di approvare un altro mandato di otto anni. Le forze di opposizione si unirono nella campagna per il “NO”. Contro ogni previsione, il NO vinse con quasi il 56% dei voti. Pinochet fu costretto ad accettare il risultato e a indire elezioni democratiche l’anno successivo, che portarono alla presidenza Patricio Aylwin e avviarono la lunga transizione del Cile verso la democrazia.

La memoria nella cultura: cinema e letteratura

La dittatura cilena è stata una tematica predominante in romanzi e film. Opere come La casa degli spiriti, tratto dal romanzo di Isabel Allende (nipote di Salvador), e il film No – I giorni dell’arcobaleno (2012) di Pablo Larraín, che racconta la campagna per il plebiscito, hanno portato questa storia a un pubblico globale. Anche il documentario Santiago, Italia (2018) di Nanni Moretti esplora il ruolo dell’ambasciata italiana nel salvare centinaia di rifugiati. In letteratura, Roberto Bolaño in Stella distante descrive le atrocità del regime attraverso la figura di un aviatore di estrema destra, riflettendo sulla propria esperienza di esilio, condizione che lo ha portato a scrivere da una “stella distante”, il Cile, visto dalla sua nuova casa a Barcellona.

Fonte immagine: Wikipedia

Articolo aggiornato il: 27/09/2025

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