Isabel Allende svela il suo lato umano in Amore | Recensione

Isabel Allende svela il suo lato umano in Amore

Il sesso e l’amore come rituali di iniziazione nel romanzo “Amore” di Isabel Allende

“La mia vita sessuale è iniziata presto, più o meno a cinque anni, all’asilo delle suore Orsoline a Santiago del Cile”. Così inizia una delle ultime fatiche letterarie della scrittrice Isabel Allende, “Amore” che decide di coinvolgere i propri lettori in una summa delle sue pagine più belle, quelle più sofferte e cariche di melodramma erotico.

In una rassegna variegata dei romanzi che l’hanno consacrata a regina indiscussa del realismo sudamericano femminile, l’Allende ci consegna ampi stralci di pura bellezza letteraria e descrizioni superbe di attimi ed echi, utilizzando la solita dovizia di particolari che l’ha sempre contraddistinta. Carne, amore, sangue e fremiti si mescolano e si scindono con sapienza nel mosaico delle pagine tratte dai vari romanzi, dal celeberrimo “La casa degli Spiriti” fino a “Eva Luna”, passando per “Ritratto in Seppia” e con un occhio di riguardo ad “Inès dell’anima mia”.

Le scene sono familiari agli occhi di un lettore affezionato ai romanzi di Isabel Allende, ma anche per un neofita risulterebbe facile emozionarsi e sussultare, lasciandosi coinvolgere dalla fiumana di carica esistenziale che emerge dalle pagine scelte dall’autrice: storie di amori contrastati o nati in battaglia, durante la conquista del Cile, come quello tra Inès e il conquistador Pedro de Valdivia, oppure storie vicine all’incesto, ma stemperate dalla delicatezza dell’Allende che riesce a renderle tenui e delicate, come la storia della “Bimba perversa”: “a undici anni Elena Mejìas era ancora un cucciolo denutrito, con la pelle opaca dei bambini solitari, la bocca che mostrava qualche vuoto di dentizione tardiva, i capelli color topo e uno scheletro visibile che pareva troppo contundente per la sua taglia e minacciava di sbucar fuori dalle ginocchia e dai gomiti. Nulla nel suo aspetto tradiva i suoi sogni torridi o annunciava la creatura appassionata che in realtà era. Passava inavvertita tra i mobili ordinari e le tende stinte della pensione di sua madre. Era solo una gatta malinconica che giocava tra i gerani polverosi e le grandi felci del patio o transitava tra il focolare della cucina e i tavoli della sala da pranzo con i piatti della cena”.

Ma anche storie di gelosie, di attrazioni morbose, ossessioni latenti, follie consumate nelle notti sudamericane, intrecci di amore e morte, povertà e iniziazioni. Sì, iniziazioni nel puro stile magia realistico che sublima la realtà elevandola ad un maggior grado di astrattezza, sezionandola in mille pennellate tribali che sanno di antichità, sesso e magia, quasi a rendere labilissimi i confini che la separano da una dimensione onirica e fluttuante.

Le storie di Isabel Allende, tra realtà onirica e vita 

E Isabel Allende ha sempre saputo tenuto saldamente tra le proprie mani quei confini, spostandoli a proprio piacimento e ricamandoci storie preziose e intessute di corpi, sudore acre ed ampi respiri, spesso inserendo nelle sue storie frammenti della propria esperienza autobiografica. Non è un caso che anche in questo suo ultimo libro, “Amore”, prima di procedere alla narrazione, ci siano ampi excursus sulle esperienze di questa donna, che nella giostra vorticosa della sua vita, dettata soprattutto dalla dittatura del generale Pinochet in Cile, ha conciliato il proprio risveglio di femmina latina con quello della Storia, che pur si stava risvegliando in tutta la propria crudezza. Vi è quindi la scansione tra le varie fasi dell’iniziazione dell’Allende stessa, dall’infanzia, all’adolescenza, fino alla maternità e all’episodio orribile della morte della figlia Paula (la Paula cui dedica un suo romanzo).

La commistione delle esperienze amorose della scrittrice, miscelata alla propria scrittura e alle proprie letture non è mai banale, è sempre carica emotivamente, sempre struggente e dai toni primordiali, con uno stile che non è mai scontato, ma che attinge sempre nuova linfa vitale dall’Amore stesso, che, in tutte le sue sfumature, è celebrato come unica ragione e come unico Auctor di tutto il vissuto e la scrittura dell’Allende: amore platonico, malato, disturbato, ossessivo e sessuale.

“Il mistero della sessualità si è risvegliato per me a otto anni, grazie ad un episodio che ho raccontato nel mio primo libro di memorie. Quell’avventura dell’infanzia sarebbe potuta sfociare in violenza carnale, ma così non fu, e si concluse con un crimine che sicuramente non aveva relazione con quanto era successo; tuttavia nella mia anima questi due avvenimenti rimarranno sempre legati.  Un pescatore mi trovò sulla spiaggia, mi diede da mangiare un riccio di mare e poi mi portò nel bosco dove mi accarezzò; poco dopo venne ucciso in una rissa. Sessanta anni dopo per me continuano a essere inseparabili il sesso di un uomo e il sapore di iodio e salsedine del riccio di mare; questo è il genere di ossessioni che la gente supera con la psicanalisi, ma io preferisco esorcizzare i miei demoni con la scrittura”.

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A proposito di Monica Acito

Monica Acito nasce il 3 giugno del 1993 in provincia di Salerno e inizia a scrivere sin dalle elementari per sopravvivere ad un Cilento selvatico e contraddittorio. Si diploma al liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania e inizia a pubblicare in varie antologie di racconti e a collaborare con giornali cartacei ed online. Si laurea in Lettere Moderne alla Federico II di Napoli e si iscrive alla magistrale in Filologia Moderna. Malata di letteratura in tutte le sue forme e ossessionata da Gabriel Garcia Marquez , ama vagabondare in giro per il mondo alla ricerca di quel racconto che non è ancora stato scritto.

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