La Pasqua, per i cristiani, celebra la risurrezione di Gesù, ma le sue radici affondano profondamente nella religione e nella cultura ebraica. L’evento stesso della Passione di Cristo si svolge durante la Pesach, la Pasqua ebraica. Le origini di questa festività sono narrate nella Torah, il testo sacro che per i cristiani costituisce l’Antico Testamento, e rivelano un’evoluzione da antichi riti pastorali a un potente memoriale di liberazione.
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Le origini pre-mosaiche: una festa di primavera
Prima di assumere il suo significato storico, la Pasqua era probabilmente una festa legata ai cicli della natura. Come evidenziato da studiosi come Giuseppe Ricciotti e Alberto Pincherle nella voce dell’Enciclopedia Treccani del 1935, gli antichi ebrei, popolo nomade dedito alla pastorizia, celebravano l’arrivo della primavera con il sacrificio dei primi agnelli nati nel gregge. Era un rito per propiziare la fecondità e proteggere le mandrie. Un’eco di questa pratica ancestrale potrebbe trovarsi nel Libro della Genesi, dove il sacrificio di Abele, pastore, è gradito a Dio (Yahweh):
Anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta. (Genesi 4,4)
A questa festa pastorale si sarebbe poi unita una festività agricola, la festa degli Azzimi (ḥag ha-matzot), che celebrava l’inizio del raccolto dell’orzo con l’offerta delle primizie.
Il nuovo significato: la liberazione dall’Egitto
Con Mosè e l’Esodo, la Pasqua acquisisce il suo significato centrale e definitivo per il popolo ebraico: diventa il memoriale della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Il libro dell’Esodo, come riportato dalla versione ufficiale della Bibbia CEI, narra che, prima della decima e ultima piaga (la morte dei primogeniti maschi), Dio ordinò agli israeliti di celebrare un rito solenne. Ogni famiglia doveva sacrificare un agnello senza difetti e segnare con il suo sangue gli stipiti e l’architrave delle porte di casa. Quella notte, l’angelo sterminatore, vedendo il sangue, sarebbe “passato oltre” quelle case, risparmiando i primogeniti ebrei.
Da qui deriva il nome ebraico Pesach, dal verbo pāsaḥ, che significa appunto “passare oltre”, “saltare”. La Pasqua diventa così il simbolo perenne dell’Alleanza e dell’intervento salvifico di Dio in favore del suo popolo.
Gli elementi del rito della Pesach
Il comando divino, riportato nel capitolo 12 dell’Esodo, istituisce un rito perenne (il Seder) i cui elementi sono carichi di simbolismo. Come spiegato anche dal portale Mosaico CEM della Comunità Ebraica di Milano, ogni cibo consumato durante la cena pasquale ha lo scopo di “rendere presente” il ricordo della schiavitù e della liberazione.
Elemento simbolico | Significato nell’antico testamento |
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Agnello (Korban Pesach) | Ricorda l’agnello il cui sangue protesse gli ebrei dalla decima piaga. Va consumato arrostito, senza spezzarne alcun osso. |
Pane azzimo (Matzah) | Il “pane dell’afflizione”, non lievitato, ricorda la fretta con cui gli ebrei dovettero lasciare l’Egitto, senza avere il tempo di far lievitare il pane. |
Erbe amare (Maror) | Simboleggiano l’amarezza e le sofferenze della schiavitù patita sotto il dominio del Faraone. |
Il legame con la Pasqua cristiana
Il legame tra Pesach e la Pasqua cristiana è diretto e profondo. L’Ultima Cena di Gesù con i suoi discepoli, descritta nei Vangeli, era una cena pasquale ebraica, un Seder. Durante quella cena, Gesù diede un nuovo significato agli elementi del rito: il pane azzimo divenne il suo corpo e il vino il suo sangue, simbolo della Nuova Alleanza. Per il cristianesimo, Gesù stesso diventa l’Agnello di Dio che viene sacrificato per liberare l’umanità non dalla schiavitù d’Egitto, ma dalla schiavitù del peccato. In questo modo, la Pasqua cristiana non cancella, ma porta a compimento il significato di liberazione e passaggio già presente nella Pasqua dell’Antico Testamento.
Fonte immagine di copertina: Pixabay
Articolo aggiornato il: 25/09/2025