Vividezza. Passione. Tecnica. Che siano ritratti paesaggistici o reportage di manifestazioni, le foto di Marco Tancredi hanno la capacità di raccontare e raccontarsi sin dal primo sguardo. E il crescente successo che la sua pagina Facebook sta riscontrando ne è sicuramente una riprova. A circa un mese dall’allestimento della sua prima mostra fotografica, abbiamo avuto la fortuna di scambiare con il giovane potentino due chiacchere.
La domanda più difficile: chi è Marco Tancredi?
Marco Tancredi è una persona come le altre, sempre alla ricerca di nuovi stimoli ma, soprattutto, alla ricerca della verità. Non quello che gli altri vogliono, non quello che la cultura e la società impone e nemmeno quello che la maggior parte della gente subisce. Sono una persona che, la verità, la ricerca a prescindere da tutto ciò, anche se dovesse rivelarsi ‘scomoda’. Sono nato a Potenza, una piccola città capoluogo della Regione Basilicata, ma sono andato via subito dopo aver conseguito il Diploma di Maturità Scientifica. Arrivo a Napoli a soli 19 anni per intraprendere gli studi presso l’Università degli Studi Federico II presso la quale ho dapprima conseguito il Diploma di Laurea in Sociologia e poi il Diploma di Laurea Magistrale in Politiche Sociali e del Territorio presso il Dipartimento di Scienze Sociali.
Come è nata la tua passione per la fotografia?
Sinceramente è una domanda che mi è stata e mi sono posto tantissime volte. Confesso, però, che non sono mai riuscito a darmi una risposta tanto da arrivare a pensare che questa passione non sia mai nata ma che sia sempre stata dentro di me. Ho sempre pensato di essere una persona molto sensibile e ho sempre lottato per cercare di esserlo il più possibile. Mai vorrei che qualcosa mi sfuggisse, mai vorrei fare del male a qualcuno e mai vorrei che qualcuno me ne facesse. Pertanto essere attenti a quanto e quanti ci circondano è per me fondamentale. La fotografia, la MIA fotografia, è soprattutto espressione della sensibilità ed è forse per questo che c’è un profondo legame con ognuna di esse. Mostrarle agli altri, all’inizio, non è stato facile ma ora sono felice di condividere attimi della mia vita, pezzi della mia sensibilità con gli altri. Ho imparato e continuo ad imparare molto dal confronto con gli altri e sono convinto che la fotografia, così intesa, possa essere uno strumento molto utile per costruire e diffondere una cultura migliore e più inclusiva.
Marco Tancredi, paesaggi e non solo
Parlaci di HUMAN (P)RIGHTS.
‘Human (P)Rights’ è la mostra fotografica che si pone l’obiettivo di descrivere e raccontare, allo stesso tempo, l’ingiusta negazione della libertà di essere se stessi quasi imposta alle persone della comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans) e la determinazione che le stesse persone mettono in campo, quotidianamente, per rivendicarla. Una libertà che, per fortuna, viene ormai chiesta anche dalle persone eterosessuali, stanche, anch’esse di vivere una realtà che discrimina fortemente le persone solo in virtù del loro orientamento sessuale o della propria identità di genere ‘differenti’ da quelle ‘normalmente’ riconosciute dalla società. Proprio da qui, il titolo della stessa, con la parola ‘Human’ che vuole sottolineare come questa ‘lotta’ non riguardi più solo le persone omosessuali e/o trans bensì anche le persone eterosessuali. ‘Human (P)Rights’, pertanto, vuole dire basta all’omotransfobia, al pregiudizio, alla discriminazione e all’esclusione sociale, nonché alla marginalizzazione alle quali la nostra cultura e la socializzazione ci sottopongono fin dai primi momenti della nostra vita. E vuole farlo attraverso i volti di chi, questa assurda lotta, la combatte ogni giorno, mettendoci la faccia.
Diritti civili e stepchild adoption, il tuo pensiero a riguardo.
Penso che sia un’altra questione su cui sicuramente è necessario confrontarsi e discutere ma che sia allo stesso tempo un altro modo per rendere evidente l’enorme incoerenza e ‘bigottismo’ che assilla la nostra società. Oltre ad essere un fotografo e un sociologo, mi occupo anche di minori a rischio e, quando si parla di cosa si a giusto o meno per un ragazzino o per una bambina, mi piacerebbe mostrare le condizioni in cui molti sono costretti a vivere. Essere genitore non è una cosa semplice, è vero, e non esiste un manuale per esserlo al meglio ma credo fermamente che non dipenda dall’essere omosessuale o eterosessuale e che ci si aspetti da tutti, soprattutto se in ballo è la vita di una creatura innocente, che le decisioni vengano prese esclusivamente in funzione del loro benessere. Pertanto è necessario tutelarli e questo deve necessariamente prescindere dall’orientamento sessuale di una persona. Diciamo tutti che quello che è importante è che ci sia amore ma se a darlo fossero delle persone dello stesso sesso allora non ci andrebbe più bene. Purtroppo viviamo in una società ancora troppo marginalizzante ma, per fortuna, sono sempre di più le persone, omosessuali o meno, stanche di subire passivamente gli stereotipi e i vincoli tipici della nostra cultura e del processo di socializzazione e che, quindi, si impegnano ogni giorno nella diffusione, innanzitutto, dell’informazione (quasi il 90% della gente non conosce davvero quello di cui si parla) e poi nella costruzione di una cultura più inclusiva e rispettosa delle ‘differenze’. Perché, nonostante tutto, nonostante tutte le differenze di questo mondo, partiamo dallo stesso punto, ossia che siamo delle persone e che è solo questo che determina quello che siamo o che saremo, quello che diamo e l’amore che riusciremo a dare ad un figlio o ad una figlia, adottato o meno che sia.
Jundra Elce