Monastero di Santa Chiara: tra bellezza e mistero

Monastero di Santa Chiara: tra bellezza e mistero

Oggi il Monastero di Santa Chiara racconta le vicende della città, dalle vestigia di epoca greco romana passando per l’opera di Giovanni da Nola, gli incredibili marmi del XVI secolo fino alle architetture del medievale Chiostro delle clarisse, un luogo dove il tempo sembra fermarsi e si riesce a sentire il respiro della città. Autentico gioiello incastonato nel cuore di Piazza del Gesù, punto di snodo tra l’area di impianto greco-romano e l’ampliamento urbano di età vicereale,  la cittadella francescana voluta dal re Roberto d’Angiò e da sua moglie Sancia di Maiorca nel 1310 si erge di fronte alla chiesa del Gesù Nuovo, una delle più affascinanti di Napoli.

Il monastero è protagonista della prima e più famosa canzone napoletana Munastero ‘e Santa Chiara, scritta da Michele Galdieri e Alberto Barberis, quando il complesso versava in condizioni strazianti a causa dei bombardamenti alleati del 4 agosto 1943, che lo ridussero in macerie. La canzone rievoca il desiderio di una Napoli che risorga dalle ceneri del secondo conflitto mondiale e dalla sua stessa paura della distruzione, delle rovine, dei residui di quei bombardamenti che hanno lacerato i suoi spazi più belli, le sue piazze, le sue strade e lo stesso monastero.

Ma proprio da quella ferita vennero rimessi in luce resti della città antica, che giacevano nascosti da secoli sotto il complesso e oggi si possono visitare gli scavi archeologici in cui sorge il Museo dell’Opera, quattro chiostri monumentali e i resti degli affreschi di Giotto.

Il monastero, retto dalle Clarisse, è di rilievo assoluto nella storia di Napoli e si qualifica ancora oggi come la più grande chiesa gotica della città, che ospita il sepolcro ufficiale della dinastia dei Borbone a Napoli, dove riposano i sovrani del Regno delle Due Sicilie, da Ferdinando a Francesco II.

Cenni storici

Il Monastero di Santa Chiara fu realizzato tra il 1310 e il 1328 dall’architetto Gagliardo Primario per volere di Roberto d’Angiò e la moglie. La chiesa, costruita in forme gotiche provenzali, assurse ben presto a una delle più importanti di Napoli al cui interno lavorarono alcuni dei più importanti artisti dell’epoca, come Tino di Camaino e Giotto,  che eseguì nel coro delle monache affreschi su Episodi dell’Apocalisse e Storie del Vecchio Testamento. Assieme alla basilica fu edificato adiacente ad essa anche un luogo di clausura per i frati minori, divenuto in seguito la chiesa delle Clarisse.

Nella basilica di Santa Chiara, il 14 agosto 1571, vennero solennemente consegnati a don Giovanni d’Austria il vessillo pontificio di Papa Pio V ed il bastone del comando della coalizione cristiana prima della partenza della flotta della Lega Santa per la battaglia di Lepanto contro i Turchi Ottomani.

A  partire dal 1742 fino al 1796, il monastero di Santa Chiara fu ampiamente ristrutturato sulla base del gusto barocco dell’epoca: l’interno fu ricoperto di marmi, così come il pavimento, e molti degli affreschi della mano giottesca furono cancellati per fare spazio alle pitture di Francesco de Mura, Sebastiano Conca e Giuseppe Bonito.

Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento degli alleati del 4 agosto 1943 provocò un incendio durato quasi due giorni che distrusse in parte alcuni interni della chiesa e causò la perdita di tutti gli affreschi eseguiti nel XVIII secolo e gran parte di quelli giotteschi.

Nell’ottobre 1944 Padre Gaudenzio Dell’Aja fu nominato “rappresentante dell’ordine dei Frati Minori per i lavori di ricostruzione della basilica”. I discussi lavori di restauro si concentrarono sull’architettura medievale rimasta intatta dai bombardamenti, riportando la basilica all’aspetto originario trecentesco e omettendo in questo modo il ripristino delle aggiunte settecentesche.

Le opere scultoree sopravvissute, dopo la ricostruzione, sono state spostate nelle sale del monastero, oggi Museo dell’Opera, mentre i sepolcri monumentali, per lo più reali, che invece caratterizzavano la basilica sono rimasti in loco, anche se fortemente danneggiati.

Monastero di Santa Chiara: il chiostro maiolicato

Sono quattro chiostri monumentali di Napoli appartenenti al complesso monastico di Santa Chiara. Nel corso del tempo, con la trasformazione del refettorio dei Frati Minori in chiesa delle Clarisse, due dei quattro chiostri sono entrati a far parte dello spazio destinato a quest’ultima chiesa.

Il chiostro maiolicato (il più famoso dei quattro) è uno dei più famosi e suggestivi di Napoli. Passare dal caos del centro storico all’interno di questa piccola oasi rappresenta un sollievo per l’anima e permette ai visitatori di ammirare veri e propri musei all’aperto, oltre che vivere dei profondi momenti di raccoglimento.

Anche il Chiostro di Santa Chiara, così come la basilica,  sorto in stile gotico, non appare come fu edificato, ma fu modificato nella prima metà del Settecento da Domenico Antonio Vaccaro, che ha realizzato due viali che dividono in quattro parti il giardino, oggi circondato da 64 pilastri maiolicati e decorati con bellissime mattonelle policrome in stile roccocò. I decori raffigurano viti e glicini, le spalliere dei sedili sono impreziositi da raffigurazioni mitologiche, agresti e marine. Il giardino, gli agrumi, il cielo, tutti i colori rendono il chiostro una delle oasi di pace della città, dove la bellezza degli elementi architettonici riesce a fondersi con l’armonia dell’anima.

Santa Chiara: tra bellezza e mistero

Non stupisce che Napoli, città esoterica e aristocratica, ospiti il ritorno dall’oltretomba di molti suoi nobili concittadini. Numerosi, infatti, sono stati gli avvistamenti che si sono susseguiti nel corso di decenni. Tutt’oggi infatti nella Basilica di Santa Chiara ciò che inquieta e incuriosisce è la presenza di uno spirito: il fantasma di Sancha che, dal 28 luglio del 1345, giorno in cui la donna venne tumulata nel monastero, vaga per la chiesa, i chiostri, i viottoli e il giardino. Vestita con un abito lungo cammina a passo lento senza meta e con la testa china sulle mani giunte in preghiera. Viene descritta triste, spaurita, con il volto pieno di lacrime, e si narra che chi in passato ha osato interrompere la sua preghiera si è ritrovato davanti una donna in carne ed ossa con il volto terrorizzato bagnato di lacrime. Altri invece credono che il fantasma sia quello di Giovanna I d’Angiò, fatta assassinare da Carlo di Durazzo nel 1382 ma, essendo scomunicata e dunque non potendo essere inumata in “terra santa”, si decise di riporre il suo corpo in un luogo sconosciuto della sacrestia. Per lei non ci fu né funerale né tomba solenne. Durante i lavori di rifacimento a seguito del bombardamento del 1943 fu rinvenuta, nei pressi dell’ingresso del chiostro di Santa Chiara una strana tomba con il corpo di una nobildonna e si pensò di aver ritrovato l’ultima dimora della regina.

Ma Napoli pullula di storie, le leggende si intrecciano, si ampliano, modificano. Alcuni attestano che Sancha di Majorca sia stata tutrice della regina Giovanna d’Angiò. Allora il fantasma, dall’espressione triste, rappresenterebbe due figure, la regina Sancha piangerebbe pregando l’anima della sua giovane amica che, invece, vaga per il monastero come anima dannata, in pena per essere morta da scomunicata.

«Munasterio ‘e Santa Chiara… Tengo ‘o core scuro scuro… Ma pecché, pecché ogne sera, penzo a Napule comm’era penzo a Napule comm’è?!»

Fonte Immagine: NapoliCity

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