Philip Roth e Fëdor Dostoevskij: gli spazi discorsivi del “volontario” isolamento di David Kepesh e l’uomo-topo

Philip Roth (Newark, 19 marzo 1933 – New York, 22 maggio 2018) è stato uno degli scrittori statunitensi più noti e premiati della sua generazione, diventato famoso con Lamento di Portnoy, romanzo del ’69 che si presenta come un lungo monologo del narratore, Alexander Portnoy, al suo psicanalista. L’opera è il ritaglio di una “scandalosa confessione” della libertà sessuale e individuale del protagonista.

Il percorso letterario di Philip Roth, dai racconti d’esordio Addio, Columbus e i cinque racconti, i seguenti romanzi Lasciarsi andare, Quando lei era buona, e ancora la satira politica con La nostra gang, del 1971, procede con un romanzo dal clima surrealista, Il seno del 1972 nel quale compare il professore David Kepesh. Questi ritorna ne Il professore di desiderio del ’77 e in L’animale morente del 2001. È interessante notare che proprio quest’ultimo libro ha dei punti di contatto con Memorie dal Sottosuolo di Fëdor Dostoevskij, specialmente se facciamo riferimento alla dialettica servo-padrone di hegeliana memoria.

Philip Roth e Dostoevskij

I romanzi di Dostoevskij sono stati definiti “romanzi polifonici”, accezione bachtiniana, per intendere la voce singolare di un personaggio che è coscienza e autocoscienza, capace di staccarsi dal brusio di fondo. In sostanza essa sa essere una coscienza indipendente dal narratore-autore, “in confronto-contrasto con altre coscienze autonome” [1].

Anche il romanzo di Roth propone un tipo di “dialogicità individuale” meno intermittente, ma allo stesso modo “stratificata”, volta a definire e a reprimere un aspetto caratteriale o pulsionale contenuto inconsciamente. In questo modo il discorso diventa un groviglio di possibilità e di analisi nell’alternanza tra servilismo e dominio sia nei confronti della società per l’uomo-topo, sia per la bellezza femminile e l’immagine feticcio del seno e di Consuela Castillo per Kepesh.

David e l’uomo-topo scelgono volontariamente l’isolamento, così padroni del proprio benessere egoistico e “padroni” del proprio vissuto.

David è un professore universitario, padrone e vittima della bellezza e della sua inclinazione, liberamente lontano dagli uomini, dalle convenzioni borghesi, pur essendo inserito negli schemi della società. L’uomo-topo invece è la stratificazione di una coscienza che sfila le sue contraddizioni per reprimere la vergogna di non essere come gli altri.

Nel romanzo di Roth, il professore risponde alle necessità che la società impone, nonostante cerchi di allontanare la figura di marito e di padre, o di professore perfetto, o di uomo integrato negli ingranaggi del sistema: “Guardammo l’Anno Nuovo che arrivava sulla terra, assistemmo all’inutile isterismo di massa che accompagnò la celebrazione del millenario giorno di San Silvestro. […] L’attesa della catena di orrende Hiroshima che collegassero in una distruzione sincronizzata le antiche civiltà della terra. Ora o mai più. E non accadde. […] La Tv che fa quanto le riesce meglio: il trionfo della banalizzazione sulla tragedia. […] Né bombe che scoppiano, né spargimento di sangue: il prossimo bang che sentirete sarà il boom del benessere e l’esplosione delle borse. La minima chiarezza sull’infelicità resa ordinaria dalla nostra era sedata dallo stimolo grandioso della massima illusione”[2].

Tuttavia, Kepesh e l’uomo-topo non riescono ad abbattere il dominio che la società e l’ortodossia delle consuetudini hanno sulla loro vita. Il dominio della massa, infatti, esacerba la volizione dei due personaggi ad un “volontario” isolamento, quando essi sono costretti all’isolamento. Lo stesso dominio della società sull’uomo-topo è quello di Consuela Castillo   sul professore. Infatti la realtà, la “vita viva”, non manca di mostrare ciò che i due personaggi reprimono: la bestialità, e lo fa attraverso due oggetti.

Il volontario isolamento secondo Philip Roth

La “macchia giallastra” è la Realtà che si palesa come da uno specchio, ciò che costringe all’isolamento. Allo stesso modo l’assorbente per il professore indica la potenza della sua perversione su Consuela Castillo e il dominio che la donna ha sull’uomo col suo oggetto-feticcio. La realtà, degradata dagli sguardi del professore e dell’uomo-topo, chiude i due individui nella vergogna e nelle loro rispettive pulsioni. Il fatto di porsi al di sopra di tutto e di tutti, come un organo che si stacca e che vive da solo, da sé, cela tutto il loro servilismo.

Ad esempio l’uomo del sottosuolo si pone sin dal principio al di sopra degli altri, come un essere dotato di una fine intelligenza e per questo solo. Tuttavia, pur scegliendo il suo isolamento, perché è “disabituato alla vita viva”, si contraddice: “Facevo il depravato in solitudine, di notte, di nascosto, spaurito, e in modo sozzo, con dentro una vergogna che non mi abbandonava nemmeno nei momenti più ripugnanti e che, anzi, in quei momenti arrivava fino alla maledizione”[3]. Così come quando Kepesh afferma: “Io sono l’autore del suo dominio (Consuela) su di me”, analogamente l’uomo-topo è l’autore del dominio della realtà su di sé e del dominio di Lisa sulla sua virilità.

L’isolamento è, dunque, per la mostruosità, per essere “una personuccia sguisciante”(MS, 76): “Io sono solo, e loro invece sono tutti”(MS, 66), ma è anche dura repressione dell’ordine esterno: “Ma cosa ci puoi fare? […] O uno impone le sue idee o se le vedrà imporre. Volenti o nolenti, questa è la situazione. Ci sono sempre delle forze contrapposte, e così, se non si ha una sfrenata passione per la subordinazione, si è sempre in guerra” (AM, 83).

[1] Opificio di Letteratura Reale, Borghesia Approssimazioni, Diogene Edizioni, 2017, p. 334.

[2] Philip Roth, L’animale morente, Einaudi, pp. 105-106.

[3] Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, Oscar Mondatori, p.71.

Fonte immagine: wikipedia

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A proposito di Chiara Rotunno

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