Poesie di Ugo Foscolo, le 5 più belle

Poesie di Ugo Foscolo, le 5 più belle

Poesie di Ugo Foscolo (1778–1827): uno dei principali letterati del neoclassicismo e del preromanticismo italiano.

Il legame con la sua amata patria (l’isola greca di Zákynthos), da cui fu costretto ad allontanarsi in giovane età per motivi politici, è uno dei tanti temi che intercorrono nelle sue nostalgiche e passionali poesie.

Ecco le 5 poesie più belle di Ugo Foscolo!

1. Alla sera

Alla sera, del 1803, è una delle poesie più belle di Ugo Foscolo. È dedicata alla sera, il momento della giornata che fa scomparire ogni forma di vita, portando quiete e silenzio.

Forse perché della fatal quiete
Tu sei l’immago a me sì cara vieni
0 sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquiete
Tenebre e lunghe all’universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai cò miei pensier su l’orme
Che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
Questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
E mentre lo guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

2. In morte del fratello Giovanni

Del 1801, è una delle poesie più belle di Ugo Foscolo e si lega alla vita personale dell’autore che quell’anno perse suo fratello minore, morto dopo una lunga malattia. Foscolo immagina di far finalmente visita alla tomba del fratello, ma è tormentato dal pensiero della povera madre e dal pensiero di non trovare pace.

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, nú vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,
Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta,
E prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.

3. A Zacinto

Composta nel 1802/1803, è senza dubbio una delle poesie più famose di Ugo Foscolo, che racconta il dolore del suo esilio, identificandosi con Ulisse, che, come lui, non riesce a trovare una casa stabile e continua il suo vagare fino alla morte.

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

4. Non son chi fui

È una delle poesie più belle di Ugo Foscolo e si ispira al perduto amore tra il poeta ed Isabella Roncioni, ma soprattutto tratta dell’intolleranza del poeta nei confronti dei moti rivoluzionari e della guerra.

Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro, speme al giovenil mio canto.
Perché dal dì ch’empia licenza e Marte
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro, arte è in me fatta, e vanto.
Che se pur sorge di morir consiglio,
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio.
Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.

5. Di se stesso

Di se stesso è una delle poesie più struggenti di Ugo Foscolo, in cui egli dà un giudizio su se stesso, sui suoi sforzi e sull’idea del suicidio, in cui trionfa la contrapposizione tra mente e core.

Perché taccia il rumor di mia catena
Di lagrime, di speme, e di amor vivo,
E di silenzio; ché pietà mi affrena,
Se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.
Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
Ove ogni notte Amor seco mi mena,
Qui affido il pianto e i miei danni descrivo.
Qui tutta verso del dolor la piena.
E narro come i grandi occhi ridenti
Arsero d’immortal raggio il mio core,
Come la rosea bocca, e i rilucenti
Odorati capelli, ed il candore
Delle divine membra, e i cari accenti
M’insegnarono alfin pianger d’amore.

Fonte immagine: Pixabay

A proposito di Rosalba Rea

Sono Rosalba, amo leggere e imparare cose nuove. Scrivere poesie è sempre stata la mia passione più grande.

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