È ufficiale. I System Of A Down torneranno in Italia il 25 giugno 2017: si esibiranno alla Visarno Arena di Firenze e i biglietti stanno già andando a ruba tra i cultori del gruppo di Serj e compagni. La band è stata inattiva dal 2006 al 2010, e in molti in questi ultimi anni ne avevano paventato lo scioglimento, che, come una spada di Damocle, pendeva sul capo di chi è sempre stato affezionato alla loro musica.
Il loro ritorno sulle scene, soprattutto in Italia, farà intravedere anche lo spiraglio di un nuovo album? I System of a Down sono fermi dal 2005, anno di pubblicazione di “Mezmerize” e “Hypnotize“, e Serj Tankian, il carismatico cantante della band, ha calcato dei passi da solista, così come il chitarrista Daron Malakian. Ma soltanto insieme i System sono capaci di creare quel connubio tanto mistico quasi ancestrale che trascende la durezza del nu metal e si eleva ad un ideale che tocca vette siderali.
Ma chi sono i System Of A Down?
In molti, specie in Italia, non conoscono i System, sebbene negli anni si siano imposti come uno dei gruppi di punta e in grado di sdoganare il nu e alternative metal, depauperandolo della solita patina e rivitalizzandolo a livello compositivo, ma senza farlo scadere nel mainstream. I System of A Down sono forse una delle band più originali a livello compositivo, e le loro radici, saldamente legati alle storie personali di ognuno dei componenti, parlano chiaro e raccontano la storia della loro musica. Il loro nome nasce dalla fusione tra la parola “System” e una poesia, “Victim of a Down“, e sembra quasi voler ricalcare la potenza e il valore dell’arte. Serj Tankian e Daron Malakian, due giovani di origine armena, si conoscono nel 1993 e decidono di formare un gruppo, in virtù dei loro gusti musicali affini, e ingaggiano Shavo Odadijan, in qualità di bassista e batterista: la formazione embrionale della band prende così il nome di Soil. Diventeranno ufficialmente i System of a Down nel 1995, e debutteranno con Serj in qualità di cantante, Daron alla chitarra, Shavo esclusivamente al basso e John Dolmayan alla batteria.
È impossibile racchiudere o incapsulare i System in un genere predefinito (come ha affermato lo stesso Malakian), poiché riescono a fondere sapientemente più gradazioni di colori in modo da farli liquefare l’uno nell’altro: la loro musica è sia l’abisso e la voragine di Lonely Day e Holy Mountains, che l’inquietudine di Spiders e Sad Statue, ma anche il respiro scanzonato e quasi demenziale di Radio/Video o Psycho Groupie Cocaine Crazy, così come l’afflato mediorientale di tanti pezzi che sembrano cuciti su una tela finemente decorata con tinte armene e sfumature di porpora.
Ed è proprio l’Armenia che si agita e vibra nella voce versatile e plastica di Serj, nelle schitarrate di Daron e nei loro virtuosismi che dal rock arrivano a toccare delle vette in cui l’ascoltatore smarrisce quasi se stesso, per poi morire e rinascere in un acuto che sa di misticismo ed eternità. Basti ascoltare Chop Suey!, e lasciarsi travolgere come una fiumana incandescente e pura dalle urla finali, in cui Serj sembra immergersi in una catarsi quando parafrasa le ultime parole di Gesù Cristo sulla croce, che chiede al Padre perché lo ha abbandonato.
È in quel “Self-righteous suicide”, urlato con una voce che scavalca l’umano, che si condensa il timbro del dolore delle viscere dei System. È lì che sta l’afflato delle loro radici: i quattro, appartenenti a famiglie sopravvissute al genocidio armeno del 1915, sfogano in una chiosa liberatoria la propria coloritura mediorientale, che da quel tocco inconfondibile alla loro arte. La canzone Chop Suey! si configura come sofferta e dolorosa poesia sul significato del sentirsi vittime (“I cry when angels deserve to die”), sul suicidio (doveva chiamarsi infatti Suicide) e sull’innocenza, che si annida sulla pelle come un tatuaggio. È impossibile, per un fan dei System, non tremare almeno un po’ sul finale di questa canzone, o almeno sentirsi un po’ più vulnerabile.
Così come è impossibile non apprezzare ogni album della loro discografia come un tassello che rimanda una luce diversa, di un mosaico composto da perle di colori tanto cupi quanto scintillanti. C’è l’abisso, il fuoco, la desolazione, le urla politiche di BYOB , ci sono le spezie mediorientali e ci sono le lacrime salate: i System sono questo, dalle ritmiche veloci e cadenzati della batteria fino ai virtuosismi vocali ai limiti del surreale, da Toxicity a Steal This Album, passando per Mezmerize e Hipnotyze.
Un grande show per apprezzare le urla e le parole bisbigliate da Serj
Tutto ciò arriverà in Italia in estate e si prevede, o almeno si spera, in un live capace di emozionare tutti coloro che almeno una volta nella vita sono stati salvati dalla musica di Serj e compagni. Tutti coloro che hanno trovato in loro uno sfogo o uno stralcio di poesia capace di cristallizzare la quotidianità e renderla rarefatta come l’aria, la terra e il fuoco in cui si parla nella loro canzone ATWA, (che tra l’altro è dedicata al killer Charles Manson e alla sua particolare storia). Partecipare ad un concerto è sempre un’esperienza catartica e i System riusciranno, con il loro misto di durezza e parole sussurrate a filo di microfono, a far tremare chi ha tanto sentito la loro mancanza in questi anni.