Tito, il sisma dell’Ottanta – Intervista a Pasquale Giosa

Tito, intervista a Pasquale Giosa

Torniamo a parlare di quel terribile sisma che colpì Irpinia e Basilicata quarant’anni fa, il 23 novembre del 1980, e in particolare della fase di ricostruzione; oggi daremo la parola a Pasquale Giosa, cittadino lucano del comune di Tito (PZ).

Generalmente, per quanto riguarda la fase preliminare della ricostruzione, si previdero 14.000 alloggi provvisori e l’utilizzazione di containers. Col decreto legge n. 75 del 1981, poi convertito nella legge n. 219 del 1981, vennero stanziati 550 miliardi di lire per l’acquisto e la realizzazione delle dimore. L’edilizia industrializzata avrebbe dovuto far parte della fase di ricostruzione vera e propria e non si prevedevano problemi di urbanizzazione pesante. Questi erano i programmi iniziali, ma poi si fece ricorso alla prefabbricazione pesante, con conseguente aggravamento della spesa rispetto all’edilizia tradizionale e difficoltà per gli abitanti per i difetti strutturali.
I protagonisti della ricostruzione furono – ai sensi della legge n. 219 del 1981 – i comuni, che avrebbero dovuto essere indirizzati, coordinati e controllati dalle regioni, oltre che dal governo centrale.

All’edilizia abitativa furono destinati quasi 14000 miliardi e numerosi proprietari di alloggi avanzarono richieste di contributo senza che il sisma avesse causato loro alcun danno effettivo, mentre i tecnici progettisti spesso rilasciarono perizie giurate attestanti il falso e fecero incetta di lavori non eseguibili nei tempi preventivati. A molte imprese di costruzione furono addebitate l’utilizzazione di ditte appaltatrici e di fornitori fuori dalle corrette regole del mercato e violazioni delle norme a tutela dei lavoratori. Per quanto riguarda il collaudo delle opere ci fu un’insufficiente opera di controllo e scarsa qualificazione professionale da parte di tecnici. Oltre proprio ai tecnici, ai progettisti e alle imprese di costruzione, trassero vantaggio dall’andamento dell’opera di ricostruzione anche i proprietari d’immobili e gli istituti di credito. Alcune filiali di banche nazionali e locali furono favorite dalla legge n. 219 del 1981 e da due leggi successive (n. 187 e n. 898 del 1982) che consentivano ai cittadini di avvalersi di banche di fiducia per la gestione dei contributi, prevedendo il ricorso ad anticipazioni. Le banche trassero un beneficio dai ritardi della ricostruzione e utilizzarono le risorse ottenute estendendo il proprio ambito di attività con l’acquisizione, ad esempio, di partecipazioni nelle stesse imprese impegnate nella ricostruzione.
La responsabilità di questi fenomeni ed eventi è ravvisata nello stesso governo e nelle regioni.

Il sisma dell’Ottanta, il caso di Tito

Intervista a Pasquale Giosa; (82 anni – pensionato) a. 2015

(Si sono lasciati il più possibile invariati i modi di esprimersi e il “linguaggio” parlato usato dagli intervistati)

Cosa serba la sua memoria del drammatico 23 novembre 1980?

Erano le 19.34 e mi trovavo a casa mia con mia moglie e mia figlia. Tremò e noi provammo tanta paura. Ci riparammo sotto l’arco della porta, mia figlia voleva scappare, ma io non glielo permisi perché le pietre cadevano come la pioggia. Non sapevo dove fossero gli altri miei due figli in quel momento e questo mi preoccupava maggiormente. Abbiamo vissuto la nottata all’aperto. Ricordo che dopo qualche settimana nevicò e io e la mia famiglia ci trasferimmo in campagna per qualche mese. In seguito, ci ospitarono nelle scuole medie per una ventina di giorni. Il comune, poi, comprò le case e ci offrì un appartamento in rione Mancusi. Pagammo il fitto per sei, sette anni, finché la casa ci fu venduta a buon prezzo.

Ponendo la suddetta data come spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, secondo lei cosa è cambiato a Tito?

Per me non è cambiato granché. Lu terramotu m’ha m’nà la casa ‘nderra e lu Statu m’l’ha fatta nuova! Quello che facevo prima del terremoto, ho fatto dopo. Lavoravo come operaio per un’impresa, ero un impalatore meccanico. Posso solo affermare che sono sorte nuove fabbriche dopo il terremoto e Tito si è modernizzata, oltre che li figli prima s’scpusav’n e rrumanìen a la casa, mo s’ n van fuori a studià, nun s’artir’n cchiù e basta.

Attualmente, come le sembra la situazione a Tito a trentacinque anni dal terremoto, sia dal punto di vista dell’aspetto urbanistico della città, sia da quello di una ricostruzione sociale?

A differenza di prima, oggi le strade e le strutture sono migliori. La gente non cammina più a piedi, per qualunque servizio si esce in auto. Attualmente c’è poco lavoro, n’è chi s’sciaurea e chi s’n’sc’cappa, p’ffinu a l’esteru.

Nello specifico, rispetto al 1980, oggi quali sono le condizioni del centro storico della città, la zona più colpita dal sisma?

Il centro storico non è più quello di una volta, molte case sono state ricostruite e sono più sicure, ma non c’è la vitalità di un tempo.

La ricostruzione della Chiesa Madre sembra essere una grande delusione per la comunità titese. Perché e cosa si poteva fare di più?

La Chiesa Madre sembrava una reggia prima. Dopo il terremoto hanno costruito una semplice chiesetta!

Si ringrazia Pasquale Giosa per la gentile partecipazione!

A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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