Wabi-Sabi: la bellezza dell’imperfezione nella filosofia giapponese

Wabi-Sabi: la bellezza dell'imperfezione nella filosofia giapponese

Che cosa vuol dire Wabi-Sabi? Il Wabi-Sabi (侘寂) è un’antica filosofia giapponese che risale al XIV secolo e si basa sui concetti di transitorietà, semplicità e imperfezione. Spesso confuso con il termine “wasabi” (la nota pasta verde piccante usata nella cucina giapponese), il Wabi-Sabi è in realtà una visione del mondo profondamente radicata nella cultura nipponica, che celebra la bellezza delle cose imperfette, incomplete e impermanenti.

Wabi-Sabi: significato e origini di un’estetica senza tempo

Per comprendere appieno il Wabi-Sabi, è utile analizzare separatamente i due termini che lo compongono: Wabi () e Sabi (寂).

Wabi: la bellezza della semplicità e della solitudine

In origine Wabi significava vita solitaria nella natura, lontano dalla società, semplicità, tranquillità ed eleganza. Oggi il termine si riferisce più in generale a una semplicità rustica, a una freschezza o a una quiete sobria. Può essere applicato sia a oggetti naturali sia artificiali, e può anche esprimere le peculiarità o i difetti che rendono unico un oggetto.

Sabi: la bellezza del tempo e dell’impermanenza

Sabi, invece, originariamente significava “freddo”, “povero” o “avvizzito”. A partire dal XIV secolo, questi significati iniziarono a evolversi verso una connotazione più positiva. Nel giapponese moderno, Sabi si riferisce alla bellezza e alla serenità che accompagnano l’avanzare dell’età, quando l’impermanenza e il passare del tempo diventano evidenti nella patina, nell’usura e nelle eventuali riparazioni visibili di un oggetto.

Il Wabi-Sabi nel buddismo giapponese: alla ricerca dell’illuminazione

La filosofia buddista è entrata a far parte della nostra cultura occidentale da diversi anni. Grazie allo yoga, alla meditazione e all’arte tibetana, noi europei non siamo estranei al pensiero introspettivo rappresentato dal buddismo. Il Giappone è davvero un Paese “spirituale” e probabilmente non è una coincidenza che le parole che significano “visione del mondo” e “concetto di sé” abbiano origine nella lingua giapponese. Wabi e Sabi sono entrambi associati a un senso di desolazione e solitudine. Nella cosmologia buddista Mahayana, queste possono essere viste come caratteristiche positive che significano la liberazione dal mondo materiale e la trascendenza in una vita più semplice. Il pensiero buddista Mahayana afferma che la vera comprensione attraverso le parole è impossibile e l’approccio corretto può essere quello di accettare il Wabi-Sabi in modo non verbale.

Le parole Wabi e Sabi sono originariamente concetti religiosi, ma oggi sono spesso usate in modo piuttosto disinvolto nella lingua giapponese. Qui si può notare la natura sincretica del sistema di credenze giapponese. Secondo la visione buddista, questo stile di vita porta a un’esistenza più semplice e appagante. Okakura Tenshin, alias Okakura Kakuzo, scrisse nella sua opera del 1902, Il libro del tè, che la parola Wabi è molto spesso tradotta come ‘imperfetto’. Da un lato, il Sabi descrive lo stato di deterioramento delle cose. D’altra parte, il fisico e scrittore Torahiko Terada descrive la parola come “la bellezza che trapela dall’interno delle cose vecchie e non ha nulla a che fare con il loro aspetto esteriore, come ad esempio una roccia ricoperta di muschio, ha questa bellezza”.

Wabi-Sabi nell’arte e nell’arredamento giapponese: materiali e colori

Dato il profondo legame con la natura implicito nel significato di Wabi-Sabi, è facile immaginare i materiali preferiti per l’arredamento giapponese. I materiali sono il legno con le sue bellissime venature, le pietre dalle forme irregolari, il lino con le sue trame asimmetriche, le ceramiche artistiche, la carta grezza, bambù, terra e terracotta di ispirazione mediterranea che completano il design del Wabi-Sabi: sono tutti materiali destinati all’usura e tendenti all’imperfezione.

Materiali naturali e sostenibili

Data la gamma di materiali che caratterizzano lo stile Wabi-Sabi, la tendenza alla sostenibilità è quasi scontata. Il legno, la pietra e il bambù contribuiscono alla creazione di spazi sostenibili, abiti sostenibili, mentre i mobili di recupero possono essere ricercati perché ricchi di storia.

Una palette di colori tenui e naturali

Anche i colori riflettono lo stile minimalista dell’arte Wabi-Sabi e seguono una tavolozza determinata dalla scelta dei materiali. Pertanto, al bianco naturale si preferiscono i beige caldi, i colori della terra e le tonalità di grigio. Anche il rosa e il verde salvia non sono da escludere.

Come applicare il Wabi-Sabi nella vita quotidiana

Non è solo un’estetica, ma una vera e propria filosofia di vita. Applicare i suoi principi nella vita quotidiana significa imparare ad apprezzare la semplicità, l’autenticità e l’imperfezione. Significa accettare il passare del tempo e i segni che esso lascia sulle cose e sulle persone. Significa trovare la bellezza nelle cose semplici, come una tazza di tè, un fiore che sboccia o una vecchia sedia di legno consumata dal tempo. Significa coltivare la gratitudine per ciò che si ha, anche se non è perfetto.

Wabi-Sabi e Yugen: due concetti complementari

Se il Wabi-Sabi è il modo giapponese di vivere l’imperfezione, allora scoprire la bellezza delle cose imperfette può anche portare alla tranquillità e all’eleganza dello spirito che si ottengono dalla felicità che ne deriva. Questo concetto è ben racchiuso nella parola giapponese “Yugen”, anch’essa molto difficile da definire. Yugen si riferisce alla quiete e al movimento, e soprattutto alla quiete della mente e dell’anima umana. Tuttavia, “Yugen” è anche un equilibrio di elementi visivi che, una volta raggiunto, dà l’impressione di essere in presenza di qualcosa di soprannaturale. Andrew Juniper afferma nel suo libro Wabi Sabi: The Japanese Art of Impermanence che se un oggetto o un’espressione evoca in noi una tranquilla malinconia e un entusiasmo spirituale, allora quell’oggetto può essere definito Wabi-Sabi.

Wabi-Sabi: accettare l’imperfezione per una vita più autentica

Richard R. Powell riassume invece il concetto dicendo che esso nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto. Non è banale fermarsi ad apprezzare le imperfezioni reali e concrete che caratterizzano non solo le cose ma anche le persone. Se avessimo più spazio, ci renderemmo conto che il perfezionismo è una malattia che porta solo sofferenza e scoraggiamento. Se vedete il Wabi-Sabi con gli occhi e lo sentite con il cuore, forse riuscirete a intravedere una bellezza che prima non potevate vedere o sentire.

Fonte immagine in evidenza: Foto di Peter Hempel da Pixabay 

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A proposito di Martina Barone

Laureata in Lingue e Culture Comparate presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale e attualmente studentessa magistrale in Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale all'Università degli Studi di Padova. La mia passione per le arti in tutte le sue forme dal cinema alla letteratura guida il mio percorso accademico e professionale. Ogni aspetto della creatività mi affascina, e credo fermamente nel potere delle storie e delle immagini di trasformare il mondo che ci circonda!

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