Rashomon: tra cinema e letteratura

Rashomon

Akutagawa Ryunosuke e Rashomon: il cinema incontra la letteratura

Rashomon è il dodicesimo film di Akira Kurosawa (uscito nel 1950), basato sulla storia di Ryunosuke Akutagawa, e ha come protagonista Toshiro Mifune, uno degli attori giapponesi più famosi e amati del XX secolo.

Akutagawa Ryunosuke e Rashomon 

Ryunosuke Akutagawa (1892-1927) è uno dei più grandi scrittori giapponesi del XX secolo. In Occidente, la sua fama è legata soprattutto alla storia di Rashomon, che ispirò Kurosawa a realizzare l’omonimo film e vinse il Leone d’Oro a Venezia nel 1951. Akutagawa fu affidato allo zio materno alla giovane età di uno perché sua madre aveva una grave malattia mentale.

Discendente da guerrieri samurai, la sua nuova famiglia lo accoglie amorevolmente e lo cresce in un ambiente culturalmente stimolante. Nel 1913 entra all’Università Imperiale di Tokyo per studiare letteratura inglese. Era appassionato di letteratura europea, soprattutto francese (Maupassant e France) e russa (Dostoevskij). Comincia anche a sviluppare una passione per la scrittura. Nel frattempo, incontra Yayoi, una ragazza di cui si innamora. Tuttavia, sua zia, una madre adottiva molto invadente, era così contraria a questa relazione che Akutagawa fu costretto ad abbandonare la ragazza.

Si immerge nella scrittura in modo più appassionato. Incontra Soseki Natsume, un famoso romanziere dell’epoca, e lo incoraggia con una lettera che scrisse favorevolmente a uno dei suoi racconti, Rashōmon, titolo che può essere tradotto come “La Porta dei Demoni”. Nel 1922 si recò in Cina per un giornale, ma si ammalò gravemente e, paradossalmente, peggiorò a mano a mano che aumentavano i suoi successi letterari. Soffriva di allucinazioni e nervosismo, e iniziò a temere di impazzire, fino a quando si suicidò il 27 luglio 1927 per overdose di sonniferi. Nel 1935, il suo caro amico Kan Kikuchi istituì in suo onore il Premio Akutagawa, il premio letterario più prestigioso del Giappone.

Dal passaggio letterario al mezzo cinematografico

«Un film che spiazza per qualità, originalità e importanza». André Bazin definì così nel 1952 la realizzazione di Kurosawa. Rashomon, uscito per la prima volta nel 1950, ha fatto conoscere Akira Kurosawa in Occidente e ha l’onore di far conoscere il cinema giapponese in Occidente. Qui, è fondamentale ricordare come il film sia arrivato alla selezione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia per vincere il Leone d’Oro, seguito dall’Oscar per il Miglior Film Straniero.
Dalle parole di Kurosawa:

«Sono tornato a casa depresso. Ho avuto a malapena la forza di aprire la porta. Ma qui mia moglie arriva di corsa. “Congratulazioni!”. Non ho potuto fare a meno di irritarmi. Ho chiesto. “Perché?” “Rashomon ha vinto il primo premio!”. Ho vinto il Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, e non devo più mangiare riso freddo

Rashomon è un thriller incentrato su due possibili crimini che si svolgono in una radura isolata: lo stupro di una donna e la morte violentata del marito samurai. La verità rimane però confusa, un intrigo di fatti narrati da quattro testimoni oculari e lo spettatore non sa a chi credere: la presunta vittima dello stupro o il bandito accusato di averlo commesso? Il fantasma dell’uomo morto o il taglialegna che ha ritrovato il corpo? Qual è la storia vera?

Il portale Rashomon e l’enigma

Il titolo indica il portale sud della città di Kyoto, che è l’edificio in rovina e battuto dalla pioggia dove si svolgono gli eventi-cornice del film.​ ​ I titoli di testa sono 11 frammenti dell’edificio (prima che lo si veda nella sua interezza), che sono come pezzi di un puzzle che alludono all’enigma da risolvere. ​Si tratta già di un invito allo spettatore a essere attivo e interpretante: ci viene già suggerito che l’enigma non sarà risolto all’interno delle singole immagini, ma combinandole insieme.​ ​Poi ancora nella prima sequenza le parole del boscaiolo — «Non capisco, proprio non capisco» — sollecitano ulteriormente lo spettatore all’interpretazione.

Tre stili visivi

Kurosawa usa tre retoriche visive diverse (ciascuna sperimentale a suo modo) per rappresentare i tre tempi del racconto. Per il presente viene usato un grandangolo per comprendere quanto più spazio possibile (lo spazio fortemente simbolico del portale).​ Il passato recente, quello del processo, vede l’uso di composizioni frontali, con i personaggi in mezza figura ampia inquadrati con un obbiettivo 50mm, in cui la profondità di campo è limitata soprattutto dal fatto che alle spalle hanno un muro bianco o poco più. Si noti anche la totale assenza delle voci del giudice istruttore o di altre persone che compiono l’interrogatorio.​ Nel passato (relativamente) più lontano, quello del bosco, Kurosawa propone uno sfoggio stilistico che caratterizza tutti gli elementi del linguaggio: organizzazione del profilmico, illuminazione, scala dei piani, angolazione delle inquadrature, montaggio.

Il gioco del 3

Tre luoghi principali del racconto del Rashomon, tre piani temporali distinti, tre protagonisti (bandito, samurai, donna), tre personaggi al portale (boscaiolo, monaco, viandante), tre testimoni (boscaiolo, monaco, poliziotto), tre giorni tra l’uccisione del samurai e il processo, tre identità sessuali (M, F e transgender).​ Ma poi sono quattro le versioni dell’omicidio: il tre non consente di arriviamo a nessuna sintesi.

L’allegoria sociale

Rashomon è un racconto allegorico, ovvero dotato di un significato concettuale nascosto e di un fine etico e pedagogico.​ Il bosco si configura così come un luogo antropologico e presociale, in cui possono emergere le istanze umane meno nobili.​ Sembra possibile leggere questa metafora in relazione al contesto in cui il film fu prodotto: esso è un apologo sulla difficoltà della società Giappone e un invito a rinnovare la propria immagine nel suo complesso, dopo la devastazione e il caos della guerra e della caduta del potere costituito.

L’allegoria filosofica

Ma più ancora che il legame con il contesto, pur suggestivo, sono rilevanti le valenze filosofiche ampie dell’allegoria proposta dal film. Si tratta di una riflessione:

  • sulla complessità del ricordo;
  • sull’intreccio tra racconto, desiderio e sguardo (voyeurismo);
  • sull’impossibilità della conoscenza.

Rashomon apre il reale a una continua rilettura, in cui ogni punto di approdo del senso è fatalmente parziale e temporaneo. La sfida proposta da Kurosawa non è la risoluzione dell’enigma, ma la sospensione del giudizio: sia su quanto sia effettivamente avvenuto, sia, ad un certo livello, sulla ‘verità’ morale di fondo proposta dal film.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia


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A proposito di Martina Barone

Studentessa di Lingue e Culture Comparate presso L'Orientale di Napoli. Studio inglese e giapponese e sono appassionata di cultura giapponese, letteratura, arte e cinematografia.

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