Trezeguet: il mito del David di Rouen

Trezeguet: il mito del David di Rouen

Più di 170 reti con la maglia bianconera, odiato da tutti gli Italiani negli Europei del 2000, stimato subito dopo come un attaccante leggendario, ora ambassador Fifa: si parla di David Trezeguet, dei suoi esordi, della sua carriera e di quanto ci ha fatto sognare.

Immaginate Rouen: la sua tavolozza di colori, le case a graticcio e le forme slanciate dei campanili; immaginate il gotico, la cattedrale Notre Dame di Rouen, le pennellate di Monet che ne accarezzano le forme da ogni prospettiva e le vetrate colorate; le sinuose curve della Senna e il fascino della Normandia. Il mistero, la pietra, la poesia.

Ora combinate tutto ciò con le Pampas argentine, le tinte color pastello della provincia di Buenos Aires, le distese di mandrie e campagne intervallate dalla frenesia della metropoli. 

Eroe dalle poche parole ma dalle grandi emozioni, dall’eleganza tutta francese ma dall’impeto del sangue argentino, dal volto impassibile ma dall’animo caldo: un eroe da film, così come da film sono state quelle reti che, a ripetizione, ha messo a segno, una dopo l’altra, fino ad arrivare a toccare quota 171. Tutte con la stessa casacca, quella bianconera. Stiamo parlando di David Trezeguet.

David Trezeguet nella Walk of Fame della Juventus

Classe, tecnica e potenza: perché è solo così che si diventa il giocatore straniero più prolifico nella Vecchia Signora. È lui il bomber a cui pensano gli juventini, quando pensano all’attaccante di razza che non dà tregua ai difensori, che li bracca e li sfianca. Il numero diciassette ha ancora il suo nome marchiato a fuoco tra i ricordi più belli. E non è un caso che ancora quel Re David brilli nella Walk of Fame dello Juventus Stadium; non è un caso che proprio lui sia stato scelto quale ambasciatore nel mondo della Juventus. 

Mai nulla di troppo, tranne i gol. Sempre pronto all’occorrenza, pratico nel produrre e con una luce vivida negli occhi, espressivi, generosi, entusiasti. Tanto quanto quelli della madre, Beatriz, molto meno pacata, immancabile in tribuna con la maglia 17; sempre pronta ad esultare per ogni successo, come a disperare di ogni passo falso.

Gli esordi a Euro 2000

È sempre stata lì, sin da quando il suo David decise di seguire le orme del padre Jorge, calciatore argentino, ed esordì prima nelle giovanili del Platense e poi in prima squadra; sin da quando, a 18 anni, fu notato e subito acquistato dal Monaco, e lì, in coppia di attacco con l’ancora giovane Thierry Henry, fu subito chiaro a tutti che era fatto di un’altra stoffa, aveva un’abilità non comune, avrebbe avuto un futuro non comune. E infatti conquistò la Nazionale francese.

Nel 2000 David Trezeguet venne acquistato dalla Juventus e, a soli sei giorni dalla firma, si presentò al pubblico italiano in modo non troppo ortodosso, bisogna dirlo. L’amore per Trezeguet si generò quasi da una prima scintilla di odio. Di ammirazione, di stima, ma anche di odio. Era il 2 luglio del 2000. L’occasione era niente di meno che la finale dell’Europeo: Francia-Italia. La sfida si decise ai supplementari e a chiuderla fu proprio il golden gol di Trezeguet. Le lacrime di Pessotto, Del Piero, Ferrara, Conte e Inzaghi pesavano, quelle dei tifosi ancor di più. Gli juventini ebbero, però, anche la consapevolezza di aver fatto un gran colpo, pochi giorni prima. Quella palla spaccò l’Italia. E anche la carriera di David. Trafisse Toldo in porta come l’eroe biblico Davide aveva scagliato, con la sua fionda, la pietra che avrebbe ucciso il gigante filisteo Golia. Davide, non a caso: un nome, una garanzia.

E fu proprio dopo aver abbattuto Golia, che David fu pronto per diventare re: quando il suo destino incrociò quello della Juventus di Ancelotti. Anno 2000 e nuova storia da scrivere. Non fu semplicissimo all’inizio, bisogna ammetterlo: Trezeguet si trovò alle spalle di un duo esplosivo, formato da due maestri del goal, Alessandro Del Piero e Filippo Inzaghi, due compagni di reparto con cui sgomitare per un posto da titolare.

David Trezeguet e la Vecchia Signora

L’incoronazione definitiva arrivò nell’anno successivo, con un incontro a dir poco folgorante: fu Marcello Lippi, il nuovo allenatore, a puntare su di lui, a caricarlo, a dargli tutta la grinta di cui aveva bisogno. Partito Inzaghi, sarebbe stato proprio David Trezeguet a completare il duo d’attacco al fianco di Del Piero. Scelta a dir poco illuminante, potranno dire i posteri: il giovane francese, ispirato come non mai, quasi invasato, riempì la rete a ripetizione.  E pensare che tutto era partito da una scommessa: «A inizio anno mi disse che se avessi fatto più di 30 gol avrei dovuto fargli un regalo, se no me l’avrebbe fatto lui: alla fine dell’anno avevo fatto 35 gol complessivi».

La sua incredibile vena realizzativa si riaccese nella stagione successiva. Ma quella stagione che avrebbe potuto rinsaldare la potenza bianconera, invece, la affossò. Fu un anno amaro per il fenomeno di Rouen; fu, però, anche l’anno che lo vide trasformarsi in imperitura leggenda. Ventitré le reti segnate in campionato. Ventitré le reti che avrebbero dovuto regalare l’ennesimo successo. Ventitré reti, per ritrovarsi a un passo dall’inferno. Ma Calciopoli non fu l’unico tormento: le difficoltà si susseguirono anche con la nazionale. Tanta panchina ed un rigore, quello decisivo, tirato un po’ troppo alto, proprio in finale dei mondiali. La vita è compensazione, si sa. E David Trezeguet, con quella traversa, si fece perdonare dai tifosi italiani del suo golden gol di Euro 2000

Guarda il gol di Trezeguet che decise EURO 2000

«A quel punto, con la Juve in B, ogni giocatore era chiamato a scegliere il suo destino. Restare o andare via. Rimanere voleva dire disputare un campionato di Serie B con 16 punti di penalizzazione. In quel momento sentii di dover dare qualcosa alla Juventus. Siamo rimasti per dare un aiuto e per iniziare una nuova storia. Emotivamente, comunque, quel campionato è stato bello».  Un’altra sfida e un’ulteriore conferma della grandezza di Trezeguet, non solo sportivamente parlando. Avrebbe potuto abbandonare la nave, avrebbe potuto scegliere la strada più semplice, ma non ha mai avvertito l’esigenza di cambiare squadra. Gli obiettivi erano più chiari che mai, l’intesa con gli altri naufraghi più empatica che mai, l’entusiasmo sempre lo stesso, la fame più forte di sempre. Tutti remavano nella stessa direzione, mentre al timone si ergeva Didier Deschamps, francese proprio come Re David.

Occhi puntati verso la vetta, socchiusi per la luce troppo ingombrante, ma costretti al buio, ancora per poco, per fortuna. Una vetta agognata, sudata, alla fine raggiunta.

Tornato lì dove era giusto essere, in Serie A, nel settembre del 2007 firmò il centesimo gol in bianconero.

Dopo il ritiro, ancora calcio

All’inizio della stagione 2009-2010 annunciò di voler chiudere la sua relazione decennale con la Vecchia Signora, a fine anno. Una stagione stellare, in cui David Trezeguet eguagliò e poi superò Omar Sìvori, per chiudere a quota 171 reti con la casacca juventina.

Il momento di appendere gli scarpini al chiodo sarebbe arrivato, tuttavia, soltanto nel 2014. Vagò tra l’ Hércules, il Baniyas, il River Plate, il Newell’s Old Boys e il Pune City.

Nel frattempo si piazzava al terzo posto, dietro soltanto a Thierry Henry e Michel Platini, per il numero di reti segnate nella nazionale dei Bleus.

Ambasciatore della Juventus nel mondo e presidente delle Juventus Legends, era ovvio che un fuoriclasse come Trezeguet con una carriera agonistica da 360 reti complessive non avrebbe smesso di respirare, vivere e parlare di calcio e mai avrebbe del tutto abbandonato la sua Signora.

“Ha un sapore bellissimo”, come tutte le più belle storie d’amore.

Fonte immagine: https://pixabay.com/it/

A proposito di M. S.

Laureata in Filologia, letterature e storia dell’antichità, ho la testa piena di film anni ’90, di fotografie e di libri usati. Ho conseguito un Master in Giornalismo ed editoria. Insegno italiano, latino e greco, scrivo quando ne ho bisogno e intervisto persone. Vivere mille vite possibili attraverso gli altri è la cosa che mi riesce meglio, perché mi solleva dalla pesantezza delle scelte.

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