Alexis 2.0, di Aristide Rontini

Alexis 2.0 di Aristide Rontini é una performance intensa, delicata, emotivamente coinvolgente. 

L’interesse per la performance ideata per esplicitare l’importanza del coming out, rappresentata in giro per l’Italia, è ispirata al romanzo Alexis o il trattato della lotta vana di M. Yourcenar. La coreografia danzata da Cristian Cucco ha fatto nascere una serie di riflessioni e generato domande a cui il coreografo Rontini ha risposto durante una piacevole chiacchierata. 

Verso che direzione si orienta la sua ricerca artistica?

Una delle tematiche più battute nella mia ricerca è la tematica dell’identità. Di volta in volta viene esplorata da angolazioni diverse. Sono interessato a processi attivi di costruzione identitaria ma nello stesso tempo anche alla messa in discussione di un concetto di identità inteso come concetto fondativo della cultura occidentale: ad A corrisponde A. In Occidente prevale il voler dare un’etichetta unica e questa diventa poi costrittiva. Il corpo poi, in realtà, avvia dei processi identitari ma anche dei processi trasformativi e apre ad una processualità che non dico che tozzi col concetto d’identità dal punto di vista occidentale però lo mette almeno in discussione. Quindi sono interessato alla contraddizione, all’ambiguità, all’ambivalenza, alla molteplicità e alla trasformazione.   Attraverso il dispositivo del corpo, è possibile, secondo me, poter sciogliere resistenze e barriere e connettere immaginari per crearne dei nuovi. Ovviamente sono interessato al corpo che agisce in scena e determina uno spostamento. Mi piace che si chiami in causa lo spettatore, senza metterlo a disagio ma interrogandolo a livello percettivo. Il corpo per me è un corpo-archivio, pronto ad aprire nuove narrazioni e che racchiude in sé tracce biografiche, culturali, identitarie. Questo avviene con i danzatori professionisti con i quali lavoro: ognuno ha un background pregresso differente. Mi piace lavorare sul corpo e penso che sia un dispositivo che permette di mettere in moto e riciclare la gestualità. Questo lavoro un po’ emerge in Alexis, perché vengono presi spunti dal linguaggio puramente concreto, quotidiano.

Con quale criterio sceglie i danzatori per una produzione, tenendo conto anche del discorso sul corpo- archivio?

Per me la cosa fondamentale è che ci sia un clic. È  necessaria l’empatia. So che può apparire banale ma per me c’è bisogno che succeda questo, prima di tutto. Affinché io possa lavorare con qualcuno o con qualcuna, c’è bisogno che si apra un campo di risonanze condivise, deve scattare una connessione a cui non si possono dare delle ragioni logiche. Questo è il primo criterio, poi rispetto al progetto avviene una selezione di tipo diverso: a volte ho bisogno di un genere neutro, di una persona binaria, di un danzatore o più danzatori con particolari caratteristiche e background. Quindi c’è una selezione più connessa al tipo di progetto da portare avanti e alle tematiche che vengono indagate ed esplorate. La scelta dipende anche se il cast deve essere scelto per una produzione che è mia o se invece è di un’altra compagnia e lì non ho molta scelta perché sono chiamato a lavorare con cast già selezionati.

Rispetto alla creazione di Alexis2.0, quanto ritiene che la tematica dell’omosessualità debba essere trattata al giorno d’oggi?

Rispondo primariamente affermando che sento il bisogno di connettermi alla mia esperienza. Mi è capitato spesso di trovare persone che, anche in tempi molto recenti, si trovassero in difficoltà durante il processo di coming out. Quindi mi sono chiesto: c’è ancora bisogno di parlare del coming out? È una dinamica ancora sofferta? L’identità omosessuale, oggi, è più accolta. Esistono, però, situazioni singolari ancora particolari. Alcune persone non hanno attorno contesti accoglienti e quindi non è semplice riuscire ad affermare la propria identità. Ho voluto dare spazio al racconto di un’esperienza attuale, pur se prendo ispirazione da un bellissimo romanzo scritto più di cento anni fa che affronta una tematica allora taciuta. A tal proposito, mi è piaciuta l’idea di tendere un’ancora temporale tra ieri ed oggi, analizzando la questione identitaria in Italia. Mi sono voluto inserire nel dibattito sull’omosessualità con questo punto di vista, ecco.

A questo punto, una curiosità: rispetto alla tematica trattata nella sua accezione più ampia, l’intento di Alexis avrebbe avuto lo stesso effetto anche rappresentato da una danzatrice donna?

Secondo me, sì. Ovviamente il risultato avrebbe fatto emergere altre cose: l’esperienza femminile ha dinamiche differenti e specifiche. Alcuni tratti sarebbero sicuramente rimasti uguali perché la reference è sempre la stessa, il dispositivo da cui si prende ispirazione è lo stesso. Dunque, tratti legati alla performance e al contenuto sarebbero rimasti uguali. Prendendo in considerazione il corpo come archivio, l’archivio appunto sarebbe stato differente. Sarebbe interessante avere una versione femminile di Alexis perché effettivamente anche il coming out femminile è da trattare. Alexis è un nome sia femminile che maschile. Chissà, magari potrà essere un progetto futuro!

Da cosa nasce la scelta dell’audiodescrizione poetica per la performance? Perché inserirla? Rappresenta anche un modo per unire più arti?

L’audiodescrizione è un lavoro di Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino che sviluppano tutto con il coreografo e con il suo progetto. La reference, in questo caso, era il libro di Yourcenar. Il tutto nasce dalla volontà di rendere fruibile la rappresentazione ad un pubblico cieco. Inizialmente il processo creativo è stato lungo, era venuto in mente di condividere il testo dell’autrice o scriverne un altro da render visibile al pubblico. Poi l’idea è stata abbandonata. La collaborazione con Giuseppe e Camilla nasce dalla stima e dalla curiosità di lavorare con loro in questo modo. Per me è nata, dunque, come un’esplorazione personale. La modalità di trasmissione dell’audiodescrizione non è una scelta casuale: avviene tramite cuffie, è un one to one, si ricevono le parole in modo privato ed è meglio che avere la voce amplificata che parla per tutti contemporaneamente. Posso affermare che, al di là degli intenti più ampi, questo lavoro per me è stato un apprendimento.

 

Fonte immagine: Giuseppe Follacchio, presente sugli account social del Festival Fuori Programma 

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