Benvenute stelle al Ridotto del Mercadante | Recensione

Benvenute stelle al Ridotto del Mercadante | Recensione

Benvenute stelle va in scena al Ridotto del Mercadante da martedì 21 novembre a domenica 26. Scritto e diretto da Eleonora Danco, interpretato da lei stessa e da Federico Majorana che, per la prima volta, debutta in teatro.

Eleonora Danco è conosciuta, nel mondo del cinema e del teatro, come «un’artista di razza randagia»: il suo stile, antipedagogico e per nulla moralistico, attrae un pubblico di giovani intellettuali e non, curiosi di conoscere un nuovo linguaggio. Il romanesco, con Eleonora Danco, compie un percorso stilistico e semantico: da volgare dialetto si trasforma in poesia, da grido d’aiuto in lamento funebre.

Così, vuote espressioni si riempiono di significati altri, riescono a rappresentare le condizioni di un’intera parte dell’umanità, completamente dimenticata e scartata. Accompagnato dal suono e dal movimento, anche un burino può rendersi partecipe della magia dell’arte, e un delinquente estremo può «sembrà ‘na stella». Lo spettacolo è un ibrido di parole e musica: il dj set costante dà il ritmo allo scambio di battute, ma ognuno dei due attori ascolta solo le proprie, perché nella periferia si finisce per «parlà da soli» e «non te poi fidà de nessuno».

Benvenute stelle, ferme e fisse, con tutta quella luce che emanate, e neppure sapete di «aveccela»!

Eleonora Danco è illuminata da un solo fascio di luce gialla, la scena è interamente buia. Sin dal primo momento si capisce chiaramente che protagonisti di Benvenute stelle sono le persone, i disgraziati di Tor Bella Monaca, le stelle cadute sulla parte sbagliata della Terra.

Il dj set diventa una nenia lamentosa, una cantilena ininterrotta. La voce di Eleonora Danco è quella di una narratrice coinvolta direttamente nei fatti, ma anche di un’interprete, che riesce benissimo, in maniera assolutamente credibile, a calarsi nei panni di Giovanna, la mamma senza una lira che va a rubare la camomilla al supermercato per il suo bambino.

In Benvenute stelle l’autrice vuole restituirci «una sensazione, che parte dalla pancia», non darci un insegnamento. Sembra che Eleonora Danco reciti quasi come una rapper: con la stessa rabbia, entra con tutto il corpo, con la nudità dei seni, e con l’espressione facciale, nel personaggio di «una donna, moglie, e madre», che vive nell’anonimato e che ogni mattina si sveglia con il desiderio implacabile di fuggire via dalla sua vita.

Ciò che interessa, in Benvenute stelle, è arrivare alle viscere, solcare, e fare luce sulle tracce – evidenti, ma fin troppo ignorate ancora oggi – di una differenza abissale, che separa chi per vivere è costretto a spacciare e chi, invece, si ferma davanti allo scaffale del supermercato per scegliere il prodotto di migliore qualità, rigorosamente Bio e importato da un paese straniero, di cui conosce solamente il nome.

In Benvenute stelle originale è anche l’idea di creare degli stacchi, riproducendo una voce registrata, come quella di un altoparlante inquietante, che fa pubblicità alle arance biologiche, alle more essiccate dell’Himalaya, e a tutto l’inimmaginabile e il desiderabile. Così, in questo caos di «rumori del quotidiano», di spese necessarie e vitali, Eleonora e Federico corrono, sballottati avanti e indietro, passando, indistinti, tra la folla impegnata e frettolosa. A noi, però, è concessa la possibilità di vederli, perché sulla scena sono i Benvenuti, illuminati in maniera nitida, penetrati a fondo dalla luce gialla di due stelle fisse nel cielo del teatro.

Federico è un ragazzaccio, capelli biondi e piercing, tatuaggi sparsi su tutto il corpo. Lui è cresciuto in carcere, si è calato di tutto in vita sua: cocaina, eroina, e chi altro sa cosa. Federico sembra uscito da un film di Caligari, piombato per caso sul palcoscenico di un teatro. Ci si rotola smarrito, per trasportarci nell’ambiente in cui ha imparato a sopravvivere, o a strisciare, come un serpente, senza mai smettere di credere nella «potenza» che ogni essere umano ha piantata nel cervello, e «manco sa di aveccela» e a volte «manco la vole».

Quando era piccolo, Federico sognava di essere un uccello, per volare via: era troppo timido per parlare con gli altri, e allora doveva per forza farsi, per lasciarsi andare. Federico è il frutto di una terra marcia, che ci ostiniamo ancora a guardare da lontano e a calpestare come fosse merda. L’interpretazione di Federico fa male per la crudezza delle parole, che pronuncia in maniera così naturale. I suoi occhi grandi, a palla, sono come mitragliette: minacciano e, al contempo, puntano al futuro, sognanti.

Benvenute stelle è uno spettacolo realizzato completamente al buio: gli spettatori vengono risucchiati da quel buco nero di Tor Bella Monaca, ne vivono il disagio per il tempo sospeso di un’ora e un quarto, ma quanto basta per fargli accapponare la pelle, per raccapricciarli e disturbare la loro quiete.

La scrittura della messinscena è stata pensata a partire dalla raccolta di testimonianze vere, di interviste a gente che quella realtà la vive in prima persona. Eleonora Danco entra in empatia con loro, non li percepisce come diversi o reietti, anzi li innalza, li illumina, li rende divi di quell’ordinario decadente. Federico è la sua star ma, come un attore pasoliniano, non necessita di orpelli, erudizioni e costumi particolari: gli basta indossare i suoi panni.

Benvenute stelle è «uno strappo nel cielo di carta» che sta sopra le nostre teste e ci garantisce una vita di apparente benessere e serenità, ma ignara della verità. Il romanesco diventa poesia nelle ultime battute pronunciate da Eleonora, evoca tutta la disperazione di quelle vite interrotte o mai cominciate, sempre più vicine alla fine che a un nuovo inizio.

In Benvenute stelle il racconto prosaico, infine, si fa poetico: è un’elegia che trasmette tutto il sentimento della perdita e dell’abbandono, della lontananza di quegli astri rispetto alla terraferma, del loro lugubre e disperato canto.

Fonte immagine in evidenza: Ufficio stampa

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A proposito di Chiara Aloia

Chiara Aloia nasce a Formia nel 1999. Laureata in Lettere moderne presso l’Università Federico II di Napoli, è attualmente studentessa di Filologia moderna.

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